Il libro di Esodo è la storia di Mosè.
È anche la storia del popolo d’Israele, della sua cattività, della sua liberazione, della sua testardaggine e disobbedienza, ed infine del suo arrivo nella terra promessa, dopo un viaggio lungo 40 anni che sarebbe potuto durare 6 giorni, secondo Google Maps.
Ma nulla di tutto questo sarebbe successo se non fosse stato per alcune figure femminili rilevanti presenti nell’infanzia di Mosè.
I precedenti: le levatrici
Cominciamo dall’inizio. Il libro di Esodo esordisce dipingendo un quadro molto diverso sulla condizione degli Ebrei in Egitto rispetto alla Genesi.
Li abbiamo lasciati con Giuseppe, pieni di privilegi, serviti e riveriti, e con la possibilità di scegliere le terre in cui abitare.
Li ritroviamo (presumibilmente alcuni secoli dopo), sebben di gran lunga in numero maggiore, in una condizione di schiavitù.
Il narratore del libro di Esodo infatti ci informa che in Egitto era sorto un nuovo re, “che non conosceva Giuseppe”.
Quest’ultimo era preoccupato dal fatto che il popolo Israelita fosse più numeroso del popolo egizio, e temeva che in caso di invasione da parte di un nemico, gli Ebrei si unissero a quest’ultimo.
Per ovviare al problema, emanò un editto secondo cui, ogni figlio maschio nato da donna ebrea, dovesse essere immediatamente messo a morte (per il momento sorvoleremo sulle similitudini tra la vita e la nascita di Mosè e quella di Gesù).
È a questo punto che entrano in gioco le prime due donne “salvatrici” dell’infanzia di Mosè: le levatrici Scifra e Pua.
Era loro il compito di uccidere tutti i bambini ebrei maschi appena nati.
Ma le scritture ci dicono che esse:
“… temettero Iddio, e non fecero quello che il re d’Egitto aveva ordinato loro: lasciarono vivere i maschi. […] e Dio fece del bene a quelle levatrici; e il popolo moltiplicò e divenne oltremodo potente”.
Abbiamo molto da imparare dal coraggio e dall’esempio delle levatrici. Scelsero di fare ciò che era giusto agli occhi di Dio a discapito della loro stessa vita.
Sapevano che le conseguenze per loro potevano essere molto gravi, ma scelsero ugualmente di agire rettamente. In risposta alla loro rettitudine Dio le protesse e le benedì grandemente.
La madre e la sorella
Esodo continua informandoci sulla nascita di un bambino presso la casa di Levi. Sappiamo che la madre lo nascose per tre mesi (nel frattempo il faraone era ancora intento ad eliminare ogni figlio maschio nato nel casato d’Israele).
Quando non poté più farlo, prese una cesta di giunchi, la cosparse di bitume, vi mise dentro il bambino e lo adagiò in mezzo al canneto sulla riva del fiume.
Quanta disperazione deve aver provato questa madre per lasciare il proprio figlio in balìa di un fiume? E soprattutto quanta fede nella benevolenza e protezione divine deve avere avuto?
La sorella maggiore inseguì la cesta con il bambino fino a quando non fu al sicuro tra le mani della figlia del re d’Egitto.
È proprio vero quello che disse una volta il presidente Joseph F. Smith, ovvero che l’amore di una madre è quello che più si avvicina all’amore di Dio per i suoi figli.
Questa madre fu disposta a rinunciare al proprio figlio pur di salvargli la vita. La massima espressione di amore e coraggio. Ancora di più quando scopriamo che dovette separarsene non una, ma ben due volte.
Infatti, le scritture ci dicono che la figlia di faraone trovò la cesta e quando vide il bambino al suo interno “ella n’ebbe compassione”, ma non essendo madre non aveva i mezzi per allattarlo.
A quel punto si fece avanti la sorella di Mosè, proponendo di andare a chiamare “una balia tra le donne ebree” che potesse allattare il piccolo.
Dietro il consenso della figlia di Faraone, la sorella andò a chiamare la madre del bambino, e di nuovo le scritture ci informano “quando il bambino fu cresciuto, ella lo menò dalla figliuola di Faraone.
Non sappiamo per quanto tempo ancora Mosè rimase con sua madre, se per alcuni mesi o un paio d’anni, sappiamo solo che per la seconda volta, una madre dovette separarsi dal proprio figlio, e questa volta per sempre.
Dovette rinunciare ad una parte di sé per il suo bene, e senza saperlo, per il futuro bene di un intero popolo.
La figlia di faraone
Tornando alla figlia del faraone, come è già stato menzionato salvò il piccolo Mosè perché “n’ebbe compassione”.
Questa donna vide un bambino e ne ebbe compassione, tenerezza, pietà forse.
Chi, alla vista di un neonato, qualunque siano le sue origini, non è sopraffatto da un improvviso istinto di protezione nei suoi confronti?
Ella sapeva bene che il bambino fosse un ebreo, e che il suo stesso padre aveva comandato che quelli come lui fossero lasciati annegare nel fiume, ma il lui vide solo un bambino e decise di prendersene cura e di amarlo.
Esodo 2 ci dice che il bambino “fu per lei come un figliuolo, ed ella gli pose nome Mosè; Perché disse, io l’ho tratto dall’acqua”.
Piccola digressione sul nome di Mosè. Ci sono in realtà alcune ipotesi riguardo a quale possa essere l’origine effettiva.
In Ebraico Mosè vuol dire “estratto”, in questo caso dall’acqua, in riferimento al fatto che la figlia di Faraone lo salvò estraendolo dal fiume.
Altri sostengono che il nome possa invece avere origini egiziane, e derivare dal termine egiziano ms(w), che vuol dire “ragazzo”, “figlio”, frequentemente utilizzato nella formazione di nomi propri, in particolar modo accompagnato dal nome di una delle divinità pagane egiziane.
Ad ogni modo, la traduzione che troviamo all’interno delle scritture è significativa sia del destino di Mosè, in quanto fu salvato più volte durante la sua infanzia, sia come prefigurazione della missione salvifica che avrebbe svolto nei confronti del popolo ebraico, ovverno nell’ “estrarlo” dal paese d’Egitto e trarlo fuori dalla schiavitù.
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Quindi, vediamo come, paradossalmente, la figlia dell’uomo che intendeva indebolire il popolo ebraico, fu un tassello integrante nel piano che Dio aveva stabilito per Mosè fin dalla sua nascita, liberare il popolo d’Israele dalla schiavitù.
Quello che sappiamo sull’infanzia di Mosè
In realtà, sappiamo molto poco sul resto dell’infanzia di Mosè. A questo punto le scritture fanno un salto temporale in avanti di molti anni e ritroviamo un Mosè già adulto.
Immaginiamo che, sotto le cure della figlia del Faraone, sia cresciuto secondo la cultura e le usanze egiziane. Tuttavia, alcune scritture ci lasciano intendere che egli non fosse totalmente all’oscuro delle proprie origini ebraiche.
Esodo ci presenta il Mosè già cresciuto in questo modo:
“Or in que’ giorni, quando Mosè era già diventato grande, avvenne ch’egli uscì a trovare i suoi fratelli, e notò i lavori di cui erano gravati; e vide un Egiziano, che percoteva uno degli Ebrei suoi fratelli” (Esodo 2:11-12 enfasi aggiunta).
Da qui ha inizio il resto della storia di Mosè. L’uccisione dell’Egiziano che aveva percosso lo schiavo ebreo, la fuga nel paese di Madian per paura di essere ucciso egli stesso dal Faraone, l’incontro felice con Sefora, sua futura sposa e figlia di Jethro, sacerdote di Madian, la visione del pruno ardente e l’incontro con Dio, e la sua chiamata quale profeta e liberatore del popolo d’Israele.
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Anche in questo caso, non conosciamo la distanza temporale tra il suo arrivo a Madian e la sua chiamata da profeta.
Sappiamo però che grazie ad una serie di “coincidenze” miracolose messe in moto dall’amore di 5 donne nell’infanzia di Mosè, e il ruolo salvifico che svolsero nei suoi confronti, un bambino in una cesta di giunchi cullato dal fiume si ritrovò, molti anni più avanti, nella posizione di liberare il casato d’Israele dalla schiavitù e dalla sofferenza, diventando il più grande profeta di tutti i tempi.
E per voi, quali sono le donne che più hanno influito nella vostra vita? Fatecelo sapere nei commenti!
Le donne dell’infanzia di Mosè: cosa (non) sarebbe successo senza di loro è stato scritto da Ginevra Palumbo.
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