È ancora il sacrificio a definire la famiglia? Il nuovo Lilo & Stitch preferisce la cura comunitaria all’abnegazione personale.
Pochi film contemporanei riescono a incarnare con tanta forza i valori familiari cara ai Santi degli Ultimi Giorni quanto Lilo & Stitch, il capolavoro Disney del 2002.
Il suo semplice ma toccante motto — “’Ohana’ vuol dire famiglia, e famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato” — è divenuto una sorta di parabola moderna sul sacrificio e la lealtà.
Tuttavia, il remake del 2025 — uscito di recente — riscrive quel finale. E nel farlo, riflette non solo il mutamento culturale degli ultimi ventitré anni, ma suggerisce anche possibili vie di adattamento efficaci.
Pur indebolendo il messaggio originario sul sacrificio familiare, ma sopratutto come sono importanti i valori familiari, il remake evita di affrontare apertamente la questione e propone in sua vece una visione di cura comunitaria interdipendente, sinceramente ispiratrice.
Anche se il cuore del film sembra battere altrove, la soluzione narrativa che propone indica una direzione auspicabile: quella di comunità solidali e partecipative.
Un nuovo finale, una nuova etica
Il nuovo film ricalca fedelmente i primi due atti della pellicola originale. Ritroviamo Lilo vivere insieme alla sorella maggiore Nani dopo la morte dei genitori.
Nani, diciannovenne, lotta per mantenere l’affidamento della sorella mentre affronta colloqui di lavoro e la convivenza con uno strano “cane” — Stitch — che si rivelerà essere un alieno fuggitivo frutto di ingegneria genetica.
In mezzo al caos e ai conflitti, i tre personaggi si legano fino a formare una famiglia improvvisata, coronata dalla celebre battuta di Stitch: “Questa è la mia famiglia… È piccola e disastrata, ma bella.”
Nel film del 2002, il vero conflitto ruota attorno al tentativo di Nani di impedire che i servizi sociali le tolgano la custodia di Lilo, sforzandosi nel frattempo di ottenere un impiego stabile. L’originale si chiude con la vittoria di Nani, che riesce nel suo intento.
Il trionfo del film consiste anche nel riconoscere e celebrare il sacrificio personale di Nani per mantenere unita la famiglia.
Il film si conclude grazie ad una scappatoia narrativamente forzata ma soddisfacente e commovente— i cacciatori di taglie intergalattici non possono portare via Stitch perché costretti a rispettare il regolamento di un canile terrestre, secondo cui Lilo è la padrona ufficiale di Stitch.
La famiglia si stabilizza definitivamente con l’arrivo di due amici alieni di Stitch.
Nonostante sia poco logico o verosimile, il finale è piuttosto commovente perché, in fin dei conti, Nani deve compiere un sacrificio per il bene di sua sorella, ma quel sacrificio viene ripagato dalla felicità familiare.
Il remake, al contrario, opta per una conclusione più lineare sul piano narrativo ma assai più problematica sul piano emotivo.
Stavolta, i cacciatori di taglie tentano di cancellare l’empatia acquisita da Stitch, e Lilo viene rapita mentre cerca di salvarlo.
Nani interviene eroicamente per salvare entrambi. Tuttavia, anziché tornare alla loro fragile ma affettuosa unità familiare, Nani decide di partire per il college e studiare biologia marina.
Di conseguenza, Lilo viene affidata ai servizi sociali. Fortunatamente, la vicina Tūtū si offre di prendersi cura di lei.
Dal sacrificio all’autorealizzazione
Questa svolta, pur volendo semplificare la trama originale, racconta qualcosa di più profondo: riflette un cambiamento culturale e un diverso modo di concepire i “lieti fine” che oggi il pubblico è disposto ad accettare.
Nel film del 2002, l’identità di Nani è caratterizzata dal sacrificio: rinuncia ai propri sogni per tenere unita la famiglia.
Nel remake, viene invece incoraggiata a seguire prima di tutto le proprie aspirazioni.
Nessuno le chiede esplicitamente di mettere da parte i legami familiari, ma deve fare una scelta, e la sceneggiatura opta per quella che oggi viene considerata più significativa: un messaggio coerente con una cultura che antepone la realizzazione personale a ogni altra cosa.
Questo cambiamento non è privo di rischi. Le responsabilità familiari vengono presentate come ostacoli, e i rapporti affettivi diventano optional, accessori da bilanciare con ambizioni e obiettivi personali, anziché essere essi stessi la ragione d’essere.
È vero che il film mitiga il tutto con trovate fantascientifiche — come un portale che consente a Nani e Lilo di comunicare a distanza — ma il messaggio sottinteso resta problematico: nel nuovo “lieto fine”, la famiglia non costa nulla.
Non è la prima volta che il cinema propone questa visione: basti pensare a Mangia, prega, ama o alla Frozen di casa Disney.
Ed è proprio questo messaggio, e la nostra accettazione passiva dello stesso, che alimentano molte delle fragilità del nostro tempo.
Elevare l’autonomia al di sopra dei rapporti familiari porta all’isolamento, non alla libertà. La nostra cultura è sempre più sola, ansiosa e malinconica.
Non è un caso: sono i frutti amari di un’ideologia individualista che anche Lilo & Stitch, nel suo finale riveduto, finisce per riflettere.
E non va dimenticato che, come ampiamente dimostrato dalle ricerche, i bambini allontanati dalle loro famiglie — anche con le migliori intenzioni — tendono ad avere esiti peggiori nel sistema di affido.
Così, per quanto ordinato possa apparire, il finale del remake mina un principio fondamentale: le famiglie solide si costruiscono con amore e sacrificio personale, non delegando ad altri il compito di amare al posto nostro.
Uno spiraglio di speranza verso nuovi valori familiari
Eppure, qualcosa nel finale del remake merita di essere valorizzato: l’introduzione di Tūtū, la vicina premurosa e materna che si offre di accogliere Lilo durante l’assenza della sorella.
A differenza dell’originale, dove la soluzione arriva per mano di alieni benevoli, qui l’elemento salvifico è una figura del tutto umana e terrena.
Non si tratta soltanto di una soluzione utile alla trama: è una visione concreta di quella che il professor Daniel Burns dell’Università di Dallas ha definito “famiglia forgiata”.
Secondo il giornalista David Brooks, inserire la famiglia all’interno di reti comunitarie offre i migliori esiti possibili.
Queste “famiglie forgiabili” sono reti di supporto costruite su legami di sangue, ma rafforzate dalla presenza di vicini, amici, mentori e comunità religiose.
Grazie a Tūtū, Lilo resta comunque circondata dall’affetto. E sebbene il film non celebri apertamente il sacrificio, offre un’immagine potente e silenziosa: quella di una persona che si fa avanti per il bene di un bambino.
A conti fatti, Lilo trarrà beneficio dal fatto che sua sorella possa laurearsi.
Purtroppo, nella realtà, figure come Tūtū sono sempre più rare. Oggigiorno, il tessuto sociale è logoro e il coinvolgimento comunitario è ai minimi storici.
Ma l’idea che una Tūtū possa esistere, e che si possano costruire comunità dove gli anziani si prendono cura dei più giovani e vulnerabili, apre uno spiraglio su una concezione più ricca di famiglia e società.
Va però osservato che il lieto fine del film è possibile solo perché Tūtū non è anch’ella impegnata nella rincorsa ai propri sogni individuali.
Ha tempo, energia e disponibilità per aiutare. Eppure, non è lei la protagonista — e forse, proprio questo suggerisce un messaggio ambiguo: che qualcun altro si farà carico del sacrificio necessario.
Il remake, pur non fondandosi sull’etica dell’abnegazione familiare che contraddistingue l’originale, sceglie di eludere la questione ricorrendo alla fantascienza.
Al suo posto, però, propone una versione comunque degna di considerazione. Non tutte le famiglie possono reggere senza aiuto.
Ma l’aiuto a cui dovremmo aspirare non è un’ulteriore istituzionalizzazione, bensì più vicinato, più mentori, più Tūtū. Il nuovo Lilo & Stitch riflette l’erosione dei valori familiari tradizionali.

Ma, forse anche inconsapevolmente, indica anche la via d’uscita: un modello comunitario dove l’interdipendenza, non l’indipendenza, diventa il bene supremo. Probabilmente non è il finale che volevamo.
E non insegna più quel senso di sacrificio per la famiglia che resta ancora oggi il fondamento indispensabile per far funzionare un autentico modello comunitario.
Eppure, potrebbe comunque essere il tipo di messaggio positivo di cui, in questo momento, abbiamo davvero bisogno.
I valori familiari secondo Disney: quando ‘ohana diventa facoltativa è stato pubblicato su https://publicsquaremag.org. Questo articolo è stato tradotto da Ginevra Palumbo