Dal 2010 la Chiesa mormone ha condotto, prettamente in segreto, un esperimento. Che cosa succede quando i missionari possono usare internet e Facebook per svolgere il lavoro missionario?

La donna che stava cercando di contattare non rispondeva mai al telefono, e viveva a più di 80 chilometri di distanza.

Inoltre doveva tenere il contachilometri sotto controllo. Perciò Brandon Gonzales, al tempo un ventenne missionario per la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni collocato a Slatington, in Pennsylvania, l ‘ha cercata su Facebook.

Il giovane mormone ha così scoperto che lei era quasi sempre disponibile per chattare online le mattine, e quindi in poco tempo si trovarono a scriversi tutti i giorni.

Lui le mandava link di video della Chiesa e i sermon,i che spiegavano alcuni  aspetti della fede mormone, della loro vita familiare, o della teologia della Chiesa.

Ciò è avvenuto nel 2010 e, per quanto ne sapevano la maggior parte dei mormoni, ciò che faceva era completamente vietato.

Le restrizioni sulla tecnologia sono da tempo una caratteristica principale della missione mormone, un’opera di proselitismo a tempo pieno che dura tipicamente due anni per gli uomini e 18 mesi per le donne.

I missionari non hanno cellulari personali, non navigano su Internet né guardano film, eccetto alcuni film prodotti dalla Chiesa. Non leggono null’altro che le scritture mormoni e testi a stampo missionario.

Chiamano a casa solo due volte all’anno: alla festa della Mamma e a Natale. Fino all’aprile del 2013, essi potevano restare in contatto con i loro amici solo tramite lettere; oggi hanno accesso alle email tramite un server gestito dalla chiesa per un periodo limitato, settimanalmente.

Il loro stile di vita è costruito per minimizzare le distrazioni mondane, e concentrare i missionari sul loro compito, e cioè predicare il Vangelo.

Motivo per cui fa parecchio scalpore il fatto che Brandon Gonzales era andato su Facebook.

Al tempo egli non lo sapeva, ma  nel 2010, l’anziano Gonzales (cresciuto nella West Valley, nello Utah, e ora studia contabilità in Salt Lake City) stava servendo in una delle parecchie missioni scelte dalla Chiesa per dei test segreti, la quale ha iniziato in quest’anno a valutare i rischi e benefici dell’introdurre i social media sul campo di missione.

Mentre la Chiesa non rilascerà alcun dato riguardante questi test, sappiamo che ci sono almeno 30 missioni “test” al mondo, di cui alcune di esse vanno avanti dal 2010, mentre altre hanno appena iniziato.

Alcune missioni, come quella di Gonzales in Philadelphia, hanno avuto molto successo con Facebook.

In West Billings, nel Montana, a ogni missionario è stato chiesto di scrivere su un blog da utilizzare come interfaccia pubblica per potenziali convertiti.

Una missione a Mosca ha distribuito ai missionari degli iPod Touch, completi di dizionari e scritture in russo.

Perché inserire la tecnologia nel lavoro missionario?

Le nuove tecnologie al predicare il vangelo

Le nuove tecnologie ci mostrano ciò che è sempre stato il duplice scopo della missione: convertire persone e rafforzare la fede dei giovani mormoni.

Un missionario sul campo, L., mi ha spiegato che il principio di base è “devi convertire te stesso prima di poter convertire gli altri” (I missionari sul campo mi hanno chiesto di non essere identificati, dato che non stavano parlando in qualità di missionari).

Predicando il vangelo ogni giorno per due anni, i missionari portano testimonianza anche a loro stessi.

Per tanti, l’isolamento dovuta all’abbandono dei social media ha giocato un ruolo fondamentale nella loro crescita spirituale.

Questo è un tipo di esperienza che pochi adolescenti possono immaginare di poter fare: due anni senza Facebook.

La Chiesa mormone è sempre stata tecnologica. La prima linea telegrafica transcontinentale americana non avrebbe potuto essere stata costruita senza l’aiuto di volontari mormoni, motivati dall’entusiasmo di Brigham Young per le nuove tecnologia comunicative. La televisione è stata inventata da un mormone.

Nell’era dell’Internet, la Chiesa ha adottato il termine mormone per i loro siti web di divulgazione – nonostante esso era un nomignolo dispregiativo – consapevole del fatto che gente non scriverà su Google “Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni”.

Nel 2011 hanno lanciato la campagna “Sono un mormone”, appoggiandosi sempre di più sul potere di Internet. (La Chiesa non ha neanche evitato l’opportunità di sfruttare altri sviluppi secolari: quando il musical del Libro di Mormon ha spopolato a Broadway, la chiesa ha messo delle pubblicità nella locandina, invitando i partecipanti a leggere il vero Libro di Mormon.

I missionari inoltre si sono messi davanti ai teatri a chiedere alla gente se ora volevano incontrare un vero missionario mormone).

Ma il permesso di andare su Internet ha scioccato comunque i missionari. “Cioè, fino a quel giorno ogni cosa era fatta per evitare ogni contatto col mondo esterno” ha detto Brendan Elwood, che nel 2010 è stato uno dei primi quattro missionari ad usare i social media nella missione di prova a Philadelphia.

“Il presidente di missione ha chiamato quattro dei nostri nel suo ufficio e ci ha detto: ‘la nostra missione è stata scelta per pilotare questo programma.

Vorrei che vuoi quattro faceste una prova prima di iniziare su larga scala’”.

Reazioni e opinioni sulla novità di Facebook

MTC

Gonzales pensava che fosse tutto uno scherzo. “Ci sono rimasto davvero” ha detto. “Non me l’aspettavo proprio, ero quasi convinto che mi stesse prendendo in giro” ha detto.

A Gonzales, dopo sei mesi di servizio, fu data la scelta di aprire una nuova pagina Facebook o di utilizzare quella vecchia. Scelse di restare su quella vecchia, poi ha cancellato alcune foto e ha pubblicato uno stato su Facebook dicendo che lo avrebbe utilizzato solo a scopi missionari.

Quando gli chiesero che regole aveva a riguardo, Gonzales riferì che gli è stato solo detto di “usare la testa” e che il suo collega doveva sempre vedere il suo schermo.

Ci sono tre elementi principali contro l’uso di internet da parte dei missionari: un possibile spreco di tempo online, l’accesso alla pornografia, e la sicurezza. In tutti i casi, Gonzales è sicuro che la maggior parte dei missionari agirà saggiamente a riguardo.

Ciò potrebbe significare il non usare internet del tutto, come hanno scelto di fare molti nella sua missione. Ma non è così comune come scelta, dato che molti sentono che internet non è una tentazione più forte del mondo stesso.

Quando gli è stato chiesto se andare online lo esponeva a contenuti inappropriati, Gonzales ha riso. “Siamo a Philadelphia. Non puoi cancellare ciò che trovi sulla strada”.

Il 23 giugno 2013 l’anziano L. Tom Perry, ai tempi 91enne, del quorum dei Dodici Apostoli (il consiglio governante della Chiesa) ha annunciato in una trasmissione online che tutti i missionari inizieranno gradualmente ad usare i social media e internet nell’anno seguente.

Le reazioni furono estremamente positive, per non dire sbalordite. “Questo è un enorme cambiamento” ha detto Lon Nally, il presidente dell’MTC (Missionary Training Center, Centro di addestramento missionario) di Provo, Utah, durante un tour dell’edificio.

“Normalmente i missionari vanno a bussare di casa in casa, mentre adesso con questi apparecchi i metodi di lavoro missionario cambieranno”. Ciò è stato visto come qualcosa di positivo.

Fedeli alla loro reputazione di ottimisti, la maggior parte dei mormoni che ho incontrato aveva solo fede nella generazione più giovane.

L’anziano Gary Batchelor, ex presidente della missione di Little Rock, Arkansas, ha detto che era molto felice all’idea di ridurre il tempo speso a bussare alla porta di sconosciuti.

Come ex presidente di missione sa bene che l’affrontare rifiuti su rifiuti può scoraggiare parecchio i missionari.

Lui vuole che dei missionari che insegnino e non che camminino per strada, e se Facebook può farlo, allora per l’anziano Batchelor “è una vera benedizione”. “Nessuno più apre la propria porta oggigiorno” ha detto.

Ma che differenza c’è, ora che i missionari possono usare internet?

Il lavoro missionario mormone

Mi ci è voluto poco per scoprire quanto i missionari detestino bussare a porte di sconosciuti. Il “porta a porta” è sin dal XX secolo la spina dorsale del lavoro missionario.

I manuali per i missionari degli anni ‘40 dedicano un intero capitolo su come approcciarsi efficacemente nel porta a porta.

Questo metodo ha perso molta popolarità negli ultimi decenni, specialmente nelle culture occidentali, e in molte missioni è stato abbandonato in favore di un approccio basato più sui riferimenti.

Buona parte dell’ottimismo riguardo alla tecnologia si concentrava sul come avrebbe potuto infatti essere una sostituta per il porta a porta.

Alan Hurst, un laureato in Legge a Yale che ha servito dal 2002 al 2004, faceva porta a porta dalle nove a mezzogiorno ogni mattina, in certi periodi della sua missione.

L’unico scopo di questa attività era di “far avere [ai missionari] la mentalità giusta, anche se non portava alcun frutto”.

Mentre non negava i benefici collaterali della “vecchia scuola” (il rafforzamento del proprio carattere), ha affermato che era un metodo di proselitismo inefficace.

Parti dell’Africa o dell’America latina, ha detto, rispondeva positivamente al porta a porta, come anche molte comunità di immigrati negli Stati Uniti. Ma “deve essere fatto nel posto giusto al momento giusto” ha detto.

Durante la sua trasmissione, l’anziano Perry ha riconosciuto questo cambiamento. “La natura del lavoro missionario deve cambiare se il Signore compirà la Sua opera” ha detto.

“La gente ora è spesso meno disposta a far entrare degli sconosciuti in casa. Il loro punto di contatto principale è spesso tramite internet”.

Questa ammissione ha acceso i giornali e i blog mormoni, nei quali non si faceva altro che parlare di come i giorni del porta a porta stavano finendo.

Successi e preoccupazioni

Predicare il mio vangelo

Il fatto che la Chiesa ha continuato ad aprire missioni al test e ha deciso di inserire gradualmente Facebook, blog e iPad nel mondo indica il successo di questi strumenti.

Sin da quando hanno iniziato le chat online nell’MTC di Provo, i missionari hanno convertito gente in 42 stati e 20 paesi diversi.

Due missionari che ho incontrato nello Utah hanno seguito il battesimo di una donna in Texas (il battesimo è il rito che conferma l’entrata formale nella Chiesa); un presidente di missione a Mosca mi ha detto che due sorelle missionarie hanno portato al battesimo una donna tenendosi in contatto via Skype.

Ken Woolley è l’amministratore delegato di Extra Space Storage, e uno dei fondatori della More Good Foundation, un’organizzazione dedicata al diffondere informazioni e contrastare la disinformazione sui mormoni nel mondo di internet.

Quando ha ricevuto la sua chiamata a servire come presidente di missione, ha iniziato a creare una serie di siti web in russo, e a mettere pubblicità sui siti dei social media russi. Insieme a sua moglie Athelia hanno comprato 25 iPod Touch per i loro 50 missionari e, mentre gli iPod non permettevano ai missionari di trovare nuove persone, sono stati molto utili nel battezzare persone che avevano già manifestato dell’interesse.

“Non stai sostituendo la tecnologia alle conversazioni faccia a faccia” ha detto. “Stai usando la tecnologia come un’aggiunta”. Woolley pensava che la tecnologia ispirava i missionari, invece che distrarli. “Gli dava maggiore entusiasmo” ha detto “perché avevano un successo maggiore e si divertivano di più”.

Ad essere sinceri sono i giovani ad essere i più preoccupati riguardo all’accesso a Facebook e internet. “Penso di essere rimasto a bocca aperta per 10 minuti dopo l’annuncio” ha detto l’anziano Drew Brown nell’MTC di Provo, Utah, dove prima di partire per la sua missione in Taiwan stava apprendendo la lingua del posto.

Brown era preoccupato che “avrebbe passato più tempo in una stanza piuttosto che faccia a faccia” ad insegnare alla gente, come invece aveva fatto suo padre.

I mormoni più giovani, specialmente quelli nelle missioni di test, sono cauti.

“Una parte di me era preoccupata” ha detto Ben Caraway “perché credo che un nuovo missionario non dovrebbe poter usare Facebook finché non è in missione da un po’.

Se sei nuovo, allora pensi sempre a casa, ed è facile essere tentati di andare a controllare a casa e vedere che cosa stanno facendo i tuoi amici”.

In un discorso del 2002 dell’anziano Ballard, “La più grande generazione di missionari”, ha detto “ È finito il giorno del missionario «pentiti e vai». “ Non voleva missionari che stavano ancora cercando una testimonianza.

“Non possiamo mandarvi in missione per diventare nuovamente attivi, correggervi o ricevere una testimonianza. Non ne abbiamo il tempo”.

Queste affermazioni furono da lui ripetute (citando un addestramento del presidente Gordon B. Hinckley) in un discorso intitolato “Uno in più”:

“È giunto il momento, fratelli, in cui dobbiamo elevare gli standard di coloro che sono chiamati… quali ambasciatori del Signore Gesù Cristo… Semplicemente non possiamo permettere a coloro che non si qualificano in quanto a dignità, di andare nel mondo ad annunciare la buona novella del Vangelo”

Conclusioni: un cambiamento, sì, ma positivo

i missionari mormoni

È innegabile che Facebook e gli iPad cambieranno il campo di missione: non è mai stato così facile separare gli ostili o ignorare i non interessati (anche se, in altri modi, è diventato molto più facile attirare gli ostili).

I missionari che usano i social media affronteranno molti rifiuti in meno nel loro lavoro e si connetteranno molto più prontamente con coloro che sono interessati ad ascoltare il loro messaggio.

Sentiranno anche molti più messaggi anti-mormoni, e avranno un maggiore accesso a storie “alternative”.

Passeranno più tempo davanti a degli schermi. Le loro missioni probabilmente saranno meno avventurose di quelle dei loro padri, che camminavano su strade buie seguendo null’altro che una sensazione che c’era una casa che li aspettava.

I missionari del futuro probabilmente visiteranno solo persone con cui hanno già parlato, messaggiato e concordato un appuntamento.

Ma se da una parte abbiamo perso “l’avventura”, dall’altra abbiamo molta più efficienza. Questa potrebbe essere la prima generazione che reinventa l’esperienza del proselitismo mormone.

Al posto di paura, ho trovato grande ottimismo ed eccitazione per la tecnologia nel lavoro missionario, sebbene affiancata a cautela. Invece che nostalgia del passato, ho trovato molta fede per il futuro.

Questo articolo è stato scritto da Shira Telushkin, pubblicato su theatlantic.com ed è stato tradotto da Stefano Nicotra.