Durante un suo discorso alla Conferenza Generale, il presidente de La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, Russell M. Nelson, ha invitato i membri a “lasciare che Dio prevalga” nella loro vita.
Egli dice di aver “…parlato di Israele in almeno 378 degli oltre 800 discorsi che ha tenuto durante i suoi 36 anni di apostolato”.
Nelle Scritture, la parola “Israele” può essere applicata sia alla famiglia di Giacobbe che a un luogo geografico o alle persone che sono disposte a lasciare che Dio prevalga nelle loro vite.
Lo scopo principale del suo discorso è aiutare i membri a valutare la traiettoria della loro vita quotidiana, chiedendo loro quanto segue:
- Siete disposti a lasciare che Dio prevalga nella vostra vita?
- Siete disposti a lasciare che Dio sia l’influenza più importante nella vostra vita?
Questo è un invito ad approfondire la propria motivazione, comprensione, fede e dedizione, in modo personale e privato.
La storia di Giacobbe, che andremo a leggere, contiene le chiavi per comprendere meglio questo invito.
La chiamata a prepararsi al cambiamento
Per comprendere come possiamo essere disposti a “lasciare che Dio prevalga”, dobbiamo fare un tuffo più profondo nel viaggio di crescita personale di Giacobbe.
Quando guardiamo alla sua vita, vediamo un uomo che ha usurpato, attraverso un inganno organizzato da sua madre, l’eredità fisica di Esaù, la ricchezza di suo padre e l’eredità spirituale della primogenitura di suo fratello.
Il suo stesso nome ha un significato particolare. Giacobbe “deriva dalla radice ebraica עקב ʿqb che significa ‘seguire, essere dietro’ ma anche ‘soppiantare, aggirare, assalire, superare.’”
Giacobbe, da giovane, non è il ragazzo che sta fermo ed accetta la sua posizione di secondogenito con umiltà e sottomissione. Esaù, con il cuore spezzato e in lacrime, esclama: “Non si chiama giustamente Giacobbe?” (Genesi 27:36).
E fino a questo punto, Giacobbe sicuramente non vince alcun premio per la sua nobiltà di carattere. Ma Dio vede oltre (e questo dovrebbe dare speranza anche a noi, nelle nostre imperfezioni).
È arrivato il momento che Giacobbe vada via di casa.
Con la benedizione di Isacco e l’enorme preoccupazione di Rebecca, Giacobbe viene incaricato di andare dal popolo di sua madre, oltre i confini di Canaan, in cerca di una moglie (vedere Genesi 28:1-20).
Ha bisogno di iniziare la sua vita altrove, al di fuori della terra promessa, anche se ancora gode dei benefici delle benedizioni associate al Patto di Abrahamo.
Pensando all’esilio dei suoi antenati in Egitto, Giacobbe attraversa il fiume Giordano, ma tornerà. Possiamo rivedere noi stessi nell’esperienza di Giacobbe fino a questo punto: è imperfetto, egocentrico, emarginato.
Ma non viene dimenticato, è guidato nella sua solitudine e c’è un piano pronto per lui.
La chiamata a ritornare a casa
Sul suo ritorno, bisogna che ci soffermiamo un momento.
Se riusciamo a vedere noi stessi e la nostra condizione fisica e spirituale nell’esilio di Giacobbe, allora siamo anche in grado di rivedere noi stessi nel suo processo di cambiamento e nella sua lotta interiore avvenuti mentre torna verso casa.
Giacobbe se n’è andato da molti anni, quando si sente spinto a tornare dove vive suo padre e a stabilire la sua casa a Canaan. Ma il suo conflitto con Esaù non è mai stato risolto e questo lo preoccupa.
Quando arriva al confine del paese, manda il suo messaggero ad esplorare l’area e questo è ciò che accade (Genesi 32:6-9):
E i messaggeri tornarono da Giacobbe, dicendo: “Siamo andati da tuo fratello Esaù, ed eccolo che ti viene incontro con quattrocento uomini”.
Allora Giacobbe fu preso da gran paura ed angosciato, divise in due schiere la gente che era con lui, le greggi, gli armenti, i cammelli, e disse:
“Se Esaù viene contro una delle schiere e la batte, la schiera che rimane potrà salvarsi”. Poi Giacobbe disse: “O Dio di Abramo mio padre, Dio di mio padre Isacco! O Eterno, che mi dicesti: ‘Torna al tuo paese e dal tuo parentado e ti farò del bene’.
Tornare a casa—o meglio— passare attraverso il processo del cambiamento, significa che Giacobbe deve fare ammenda. Sembra pericoloso. È pericoloso. Egli si sta preparando a subire la giustizia.
E questa non va a suo favore. La lotta per cambiare implica un tipo di astuzia e di strategia molto simile a quella associata alla vita precedente di Giacobbe.
Tuttavia, questa volta, invece di usarla ingiustamente, Giacobbe la usa per proteggere la sua famiglia, sanare la frattura familiare e tornare nella Terra Promessa.
Il vizio viene rielaborato in virtù. Dopo aver fatto tutto ciò che poteva fare per essere fisicamente preparato ad affrontare lo scenario peggiore, si rivolge a Dio e prega, con intento reale, per tutta la notte.
Lasciare che Dio prevalga
Il giorno seguente, ha un’idea su come aumentare le sue possibilità di sopravvivenza. Prepara un enorme dono di oltre 330 animali per Esaù e chiede ai suoi servi di consegnarlo, in una sfilata di ricchi doni.
Questo dono di Giacobbe è il simbolo della sua umiltà, di come vede la sua posizione e del suo desiderio di contribuire, non di prendere. Alla fine della giornata, Giacobbe divide la sua famiglia e la manda in zone opposte ed è da solo in quella sera:
Giacobbe rimase solo, e un uomo lottò con lui fino all’apparire dell’alba. E quando quest’uomo vide che non lo poteva vincere, gli toccò la giuntura dell’anca; e la giuntura dell’anca di Giacobbe fu slogata, mentre quello lottava con lui.
E l’uomo disse: “Lasciami andare, ché spunta l’alba”. E Giacobbe: “Non ti lascerò andare prima che tu mi abbia benedetto!”. E l’altro gli disse: “Qual è il tuo nome?”. Ed egli rispose: “Giacobbe”.
E quello disse: “Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, poiché tu hai lottato con Dio e con gli uomini, e hai vinto”. E Giacobbe gli chiese: ‘Ti prego, svelami il tuo nome”.
E quello rispose: “Perché mi chiedi il mio nome?”. E lo benedisse lì. E Giacobbe chiamò quel luogo Peniel, “perché”, disse, “ho veduto Iddio a faccia a faccia, e la mia vita è stata risparmiata” (Genesi 32:24-30).
Giacobbe dimostra la sua determinazione ad obbedire al comandamento di tornare e, come ricompensa, gli viene dato un nuovo nome: Israele.
Jeff A. Benner, che scrive per il sito online Ancient Hebrew Research Center, chiarisce che “Il nome ‘Israele’ è in realtà una frase completa che significa “Colui che gira la testa di Dio”.
In sintesi, egli interpreta la parola ‘Israele’ in questo modo: “quando Israele (o Giacobbe o i suoi discendenti) parla a Dio, Dio, il padre di Israele, interrompe ciò che sta facendo e si rivolge a suo figlio e chiede ‘Cosa vuoi, figlio mio?’”.
Il nome “Israele” rappresenta l’alleanza. Giacobbe ha dimostrato il suo discepolato e vive in modo tale da lasciare che Dio sia l’influenza più importante nella sua vita.
Egli, quindi, interromperà qualsiasi cosa stia facendo quando Dio lo chiamerà, indipendentemente dal costo, dal pericolo o dal disagio. E Dio farà lo stesso, rispondendo alla chiamata del Suo fedele figlio nel bisogno.
Tuttavia, ci sono alcune domande da fare: in che modo Giacobbe mantenne questa promessa? Con chi sta lottando esattamente Giacobbe? È il Salvatore, un angelo celeste, un angelo demoniaco?
Cosa significa “lottare” in questo contesto? È una lotta fisica, emotiva, spirituale o tutte e tre? Cosa significa questo per noi? E forse cosa più importante, come arriviamo a questo punto della nostra vita? Credo che la risposta, almeno in parte, stia nella “lotta”.
La lotta
Ci sono varie storie che illustrano bene cosa significhi lottare per le questioni spirituali e temporali. Sono tutte istruttive e fanno luce su quanto le persone giuste, sebbene imperfette, lottino per conoscere Dio e per assicurarsi la propria rinascita spirituale.
Mi concentrerò su una tra esse: la storia di Enos, nipote di Nefi (nel Libro di Mormon in Enos 1:1-12).
Nello studio di questo esempio dobbiamo tenere a mente queste domande principali: in che modo la sua “lotta” è simile a quella di Giacobbe? Chi combatte? Perché sta lottando? Qual è il risultato?
Diamo uno sguardo alla lotta di Enos:
Ecco, avvenne che io, Enos, sapendo che mio padre era un uomo giusto — poiché mi aveva istruito nella sua lingua e anche nella disciplina e negli ammonimenti del Signore — e benedetto sia il nome del mio Dio per questo — E vi narrerò della lotta che sostenni dinanzi a Dio, prima di ricevere la remissione dei miei peccati.
Ecco, andai a cacciare bestie nella foresta; e le parole che avevo spesso sentito pronunciare da mio padre riguardo alla vita eterna e alla gioia dei santi penetrarono profondamente nel mio cuore.
E la mia anima era affamata; e io caddi in ginocchio dinanzi al mio Creatore, e gridai a lui in fervente preghiera e in suppliche per la mia anima; e gridai a lui per tutto il giorno; sì, e quando venne la notte, io alzavo ancora la mia voce, alta che giungeva al cielo.
Non sappiamo molto di Enos, ma riusciamo a comprendere alcune cose: le tavole vengono passate di padre in figlio e la sacra responsabilità di tenerle al sicuro e mantenerle aggiornate è ricaduta nelle mani di Enos.
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Anche se è grato per la sua educazione, si può quasi sentire la sua insicurezza. Forse non si sente all’altezza. Dopotutto, Nefi e Giacobbe ricevettero entrambi visite personali di Cristo (2 Nefi 11:2-3). E sostenere un confronto con loro, è difficile.
Le risposte ottenute durante la lotta
Trovando conforto nella caccia – lontano dalla famiglia, dal lavoro, dalla società, dalle pressioni mondane – Enos ha il tempo di pensare ed affrontare questo fardello, questa perpetuazione spirituale: “Sono degno? Sono capace?
Non sono mio padre; non sono mio nonno! Sono solo io e sono debole”. Questa è una lotta che tutti conosciamo, in un modo o nell’altro.
Nella sua lotta, Enos riceve una risposta chiara e confortante:
E mi giunse allora una voce che diceva: Enos, i tuoi peccati ti sono perdonati, e tu sarai benedetto. E io, Enos, sapevo che Dio non poteva mentire; pertanto la mia colpa fu cancellata.
E io dissi: Signore, come avviene ciò? Ed egli mi disse: Per la tua fede in Cristo, che tu non hai mai prima d’ora né udito né visto. E molti anni trascorreranno prima che egli si manifesti nella carne; pertanto va’; la tua fede ti ha guarito.
Il risultato della lotta di Enos è chiarezza, perdono, pace. Come Giacobbe, Enos non lascia il suo deserto fino a quando non riceve una risposta.
Attraverso la loro lotta, entrambi gli uomini trovano il coraggio di tornare alle loro chiamate. Con questa scintilla di speranza nel suo cuore, Enos continua a chiedere:
Ora avvenne che quando ebbi udito queste parole, cominciai a sentire un desiderio per il bene dei miei fratelli, i Nefiti; pertanto riversai tutta la mia anima a Dio in loro favore.
E mentre io stavo così lottando nello spirito, ecco, la voce del Signore giunse ancora alla mia mente, dicendo: Io visiterò i tuoi fratelli secondo la loro diligenza nell’obbedire ai miei comandamenti.
Io ho dato loro questa terra, ed è una terra santa; e io non la maledico se non a causa dell’iniquità; pertanto io visiterò i tuoi fratelli secondo quanto ho detto; e le loro trasgressioni le farò ricadere con dolore sul loro capo.
E dopo che io, Enos, ebbi udito queste parole, la mia fede cominciò a diventare incrollabile nel Signore; e lo pregai con molte lunghe lotte per i miei fratelli, i Lamaniti.
E avvenne che dopo che io ebbi pregato e faticato in tutta diligenza, il Signore mi disse: Io ti accorderò secondo i tuoi desideri, a motivo della tua fede.
Dopo che Enos ha lottato per sé stesso, lotta per la sua famiglia, poi per gli amici ed, infine, per i nemici. E riceve sempre conforto e consiglio.
Qualcosa cambia in lui. Egli testimonia: “la mia fede cominciò a essere incrollabile nel Signore”. Non è lo stesso Enos che era entrato nella foresta.
È diventato un uomo di fede, di potere, di chiarezza, di scopo.
La chiamata ad agire
Giacobbe, o “Israele”, ed Enos mostrano con le loro lotte la loro volontà di “lasciare che Dio prevalga” nelle loro vite. Lottano, e con il Suo aiuto rimangono “irremovibili” nella loro fede.
Fanno delle alleanze e vengono radunati, letteralmente e figurativamente, sotto il Patto abramitico, eredi di tali promesse ed arruolati per prendersi l’incarico di raccogliere ed aiutare a radunare anche tutti gli altri che sono disposti a ‘lasciare che Dio prevalga’.
Giacobbe è nostro antenato, per sangue o per adozione e, come ogni fedele erede, ci viene richiesto di portare avanti la sua opera.
Gli scopi di Giacobbe diventano i nostri, cerchiamo di vivere secondo le responsabilità del Patto di Abrahamo e di avere speranza nelle benedizioni promesse di quell’eredità.
La sua storia evidenzia i passi che dobbiamo fare per la nostra salvezza: viaggiare attraverso un deserto spirituale, affrontare il pericolo, lottare per ottenere la rinascita spirituale e la promessa di salvezza, rimanere fedeli alle alleanze della rinascita ed, infine, entrare nella terra promessa, in cui vivere alla presenza di Dio per sempre.
Come si traduce questo nella nostra vita quotidiana?
Lasciare che Dio prevalga – Conclusione
Il presidente Nelson ci da il suo consiglio:
“Quando il vostro più grande desiderio è lasciare che Dio prevalga, far parte di Israele, tante decisioni diventano più facili. Così tante questioni diventano non-problemi!
Sapete come auto-governarvi al meglio. Sapete cosa guardare e leggere, dove trascorrere il vostro tempo e con chi associarvi. Sapete cosa volete ottenere. Sapete che tipo di persona volete diventare.
Ora, miei cari fratelli e sorelle, ci vuole fede e coraggio per lasciare che Dio prevalga. Ci vuole un lavoro spirituale persistente e rigoroso per pentirsi e spogliarsi dell’uomo naturale tramite l’Espiazione di Gesù Cristo.
Ci vuole uno sforzo costante e quotidiano per sviluppare abitudini personali, per studiare il Vangelo, per imparare di più sul Padre celeste e Gesù Cristo e per cercare e rispondere alla rivelazione personale.”
Egli, inoltre, ci incoraggia a:
- Fare un elenco di tutto ciò che il Signore ha promesso di fare nel patto con Israele.
- Riflettere su queste promesse.
- Parlarne con la nostra famiglia e i nostri amici.
- Vivere ed osservare come queste promesse si adempiono nella nostra vita.
Forse questa sarà proprio la nostra prossima lotta: obbedire, “cercare l’istruzione, mediante lo studio ed anche mediante la fede” (Dottrina e Alleanze 88:118), essere pronti.
La promessa che ci ha fatto il presidente Nelson è: “Rimarrete sbalorditi!”. Lasciamo che il nostro Padre Celeste possa adempiere questa promessa.
Questo articolo è stato tradotto ed estratto dall’originale scritto da Heather R. Butler e pubblicato sul sito thirdhour.org. Questo articolo è stato tradotto da Cinzia Galasso.
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