Tra l’ampia varietà di film che sono stati proiettati al Sundance Film Festival 2022 nell’ultima settimana, è stato presentato anche “The Mission”, uno sguardo intimo e senza precedenti sull’esperienza dell’essere un missionario a tempo pieno per la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni.
Ancora più sorprendente è il fatto che il team di lavoro dietro al film non abbia alcun legame con la Chiesa. Semplicemente, si sono resi conto che si trattava di una storia la cui narrazione era attesa da tempo.
Sundance Film Festival: The Mission
“Mi ha sorpreso che questo film non sia stato girato prima” ha detto la regista Tania Anderson nella sua introduzione alla prima proiezione del film.
“Mi sento molto onorata di essere stata io a raccontare questa storia”.
L’idea del film le è venuta mentre stava camminando per le strade di un villaggio molto piccolo della sua nativa Finlandia e ha sentito qualcuno parlare in Inglese, nell’oscurità di una stradina.
Ha visto due giovani uomini in giacca e cravatta che cercavano di scaldarsi e discutevano tra loro. Per la prima volta, ha intravisto le persone reali al di là dei missionari e, questo, ha aperto la sua mente ad una serie di domande:
“Cosa fanno i missionari quando si prendono una pausa?”, “E dove si prendono una pausa?” e “Chi sono i ragazzi dietro agli abiti da missionario?”
E così è iniziato il viaggio che ha richiesto molta costanza per trovare le persone giuste, tra i dirigenti della Chiesa, che le dessero il permesso di avere un accesso senza precedenti all’intera esperienza della missione, dalla partenza al ritorno a casa.
Siamo tutti figli di Dio
Il suo lavoro ha anche fatto sì che il team cinematografico apprendesse qualcosa di totalmente nuovo, come la terminologia dei Santi degli Ultimi Giorni, a partire da parole basilari e dottrinali come “ordinanza” fino ad arrivare a parole culturali e specifiche come “verdino” (una persona che è appena arrivata in missione).
“Ho chiesto ai missionari di spiegarmi le cose come se avessi cinque anni” ha detto la regista, riguardo al processo di apprendimento del gergo dei membri della Chiesa.
Una volta ricevuti tutti i permessi, Anderson e il suo team sono stati in grado di seguire l’esperienza di due sorelle e due anziani durante la missione al servizio del popolo finlandese che, secondo Anderson, è “probabilmente tra i popoli più riservati, scettici e non religiosi del mondo”.
Ma come dice il padre di sorella Megan Bills nel film: “Ci saranno mille cose che ti rendono diverso dalle persone che vivono lì. Ma c’è una cosa molto importante che avete in comune: siete tutti figli di Dio”.
Non esiste il missionario perfetto
Mentre i quattro futuri missionari vengono seguiti attraverso i loro preparativi, è subito chiaro che questi giovani uomini e donne sono molto diversi l’uno dall’altro nei loro punti di forza, nelle loro paure e nelle loro aspettative.
Questo ha dato un nuovo impatto all’ammonimento del loro presidente di missione al loro arrivo in Finlandia, quando gli ha detto:
“Portate tutta la vostra personalità sul campo di missione. Non pensate di dover diventare un missionario perfetto, perché non esiste. No, il Signore vi ha chiamato a motivo della vostra personalità”.
Oltre ai loro vari punti di forza, ad esempio sorella McKenna Field ha un ottimismo ed un umorismo che emergono anche se abbinati ad una collega che è più lenta a ridere, il film ritrae anche alcune difficoltà abbastanza serie che essi affrontano.
L’anziano Tyler Davis inizia con l’ambizioso obiettivo di aumentare la percentuale totale dei membri della Chiesa in Finlandia da meno dell’1% fino ad arrivare alle due cifre, ma descrive anche una crescente lotta con la depressione e gli attacchi di panico, ed è piuttosto schietto riguardo ai suoi problemi di salute mentale, che sono così comuni in quella fascia di età.
Nella sessione di domande e risposte che ha seguito la proiezione in anteprima, quando è stato chiesto ai missionari, ora ritornati, com’è stato guardare le loro missioni nel film, l’anziano Davis ha detto:
“Ho visto la mia crescita personale e l’amore e il progresso che ho avuto. Vorrei solo dire, a chiunque sia in missione o stia pensando di andarci… alla fine le cose andranno meglio”.
La missione: un’esperienza in continua evoluzione
Ha anche parlato della sua esperienza con il professionista della salute mentale assegnato alla missione (e a molte altre missioni), una risorsa che non c’era in precedenza.
In effetti, sebbene gli spettatori possano aver servito personalmente una missione negli anni passati, è interessante dare un’occhiata al modo in cui alcuni aspetti dell’esperienza si stiano evolvendo e cambiando, e continuano a cambiare ancora di più dal momento della ripresa del film, avvenuta durante tutta la pandemia.
Nonostante non abbia alcuna affiliazione con la Chiesa, il film mostra in modo imparziale la dottrina e la testimonianza dei suoi soggetti, senza emettere alcun giudizio.
Presenta i sentimenti spirituali nella sincerità con cui sono espressi.
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I produttori hanno mostrato una mano molto ferma e compassionevole nell’includere lotte, dubbi, testimonianze e trionfi senza mai essere apertamente promotori della fede o cinici spudorati.
Fedele alla sua trama, il film non segue nei minimi dettagli le storie dei simpatizzanti con cui i missionari lavorano. Le telecamere e l’attenzione rimangono davvero concentrate sempre sulle sorelle e sugli anziani e sul viaggio che ha descritto anziano Kai Pauole, dicendo:
“Penso che sia vero che la maggior parte delle battaglie venga combattuta nelle emozioni che proviamo dentro di noi, ed è lì che la maggior parte di esse viene vinta”.
Sundance Film Festival: presentato il film-documentario sull’esperienza missionaria è stato scritto da Mariah Proctor e pubblicato sul sito latterdaysaintmag.com. Questo articolo è stato tradotto da Cinzia Galasso.
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