Nel famosissimo discorso intitolato “Nessuno era con Lui”, della conferenza generale di Aprile 2009, l’Anziano Jeffrey R. Holland ripercorre gli ultimi istanti di vita del Salvatore e le tremende sofferenze patite, prima nel Getsemani e poi sulla croce.
Egli sottolinea l’estrema solitudine di Gesù nel vivere tali esperienze, e ci aiuta a capire perché fosse tanto necessaria per il compimento della Sua missione.
Le sofferenze del Getsemani continuarono sulla croce
Ho sempre pensato che le sofferenze spirituali dell’Espiazione di Gesù si fossero concluse nel giardino del Getsemani. Non avevo mai capito invece che fossero continuate anche sulla croce.
Come membri della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, crediamo che l’Espiazione di Gesù Cristo comprenda tre eventi principali: le sofferenze nel Getsemani, la morte sulla croce e la Risurrezione.
Tuttavia, tendiamo a porre molta enfasi sull’esperienza del Getsemani, considerando la morte sulla croce semplicemente come il culmine delle sofferenze fisiche.
In realtà, secondo le parole di alcuni profeti moderni, il processo di espiazione per i nostri peccati, sofferenze, malattie e debolezze non si concluse affatto nel Getsemani, ma continuò e terminò sulla croce.
Nel suo famoso testo “Gesù il Cristo” l’anziano James E. Talmage afferma:
“Sembra che, oltre alla spaventosa sofferenza conseguente alla crocifissione, si fosse riaccesa l’agonia del Getsemani, resa più intensa di ogni possibile sopportazione umana.
In quell’amarissima ora, Cristo morente era solo, solo nella realtà più terribile.
Affinché il supremo sacrificio del Figlio si potesse adempiere in tutta la sua pienezza, sembra che il Padre lo privasse del conforto della Sua diretta Presenza, lasciando al Salvatore degli uomini la gloria della completa vittoria sulle forze del peccato e della morte (Talmage, Gesù il Cristo, 491).
Inoltre, l’anziano Bruce R. McConkie ha detto:
“Tutta l’angoscia, tutto il dolore e tutta la sofferenza del Getsemani ricorsero durante le ultime tre ore sulla croce […]
Verso la fine delle tre ore di buio calate al momento della crocifissione, il Salvatore gridò: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (vedere Matteo 27:46; Marco 15:34).
Le sofferenze per i peccati dell’umanità iniziate nel giardino del Getsemani riaffiorarono sulla croce. Se ci pensiamo, il Salvatore possedeva il potere di deporre la propria vita in qualunque momento. Poteva farlo subito dopo essere stato crocifisso.
Tuttavia, attese tre lunghe ore prima di esclamare “Tutto è compiuto” e rendere lo spirito. Doveva essere sicuro che la Sua missione fosse realmente giunta al termine.
A differenza del Getsemani, dove ricevette qualche forma di aiuto divino tramite l’angelo mandato a confortarLo (vedere Luca 22:43), nella sofferenza sulla croce il Salvatore fu privato dell’influenza consolatrice del Padre.
Soffrendo le conseguenze eterne dei nostri peccati, sperimentò l’infelicità dell’essere banditi dalla presenza di Dio.
La solitudine di Gesù nelle sofferenze era necessaria
Un aspetto importante dell’Espiazione di Gesù Cristo è che, al fine di poter comprendere appieno tutte le sofferenze e pagare per i peccati di tutta l’umanità, dovette affrontare quest’esperienza senza la presenza e il sostegno, che non gli erano mai mancati, di Suo Padre.
Anziano Holland dice:
“Parlo del compito solitario del Salvatore di portare da solo il fardello della nostra salvezza.
Egli disse giustamente: «Io sono stato solo a calcar l’uva nello strettoio, e nessun uomo fra i popoli è stato meco… Io guardai, ma non v’era chi m’aiutasse; mi volsi attorno stupito, ma nessuno mi sosteneva»
[…]
Così, per necessità divina, la cerchia che sosteneva Gesù si rimpicciolì sempre di più, dando un significato alle parole di Matteo che «tutti i discepoli, lasciatolo, se ne fuggirono»”.
Non solo i discepoli non erano riusciti a vegliare con Lui in quelle ore di profonda sofferenza, lasciandolo senza il sostegno delle persone care, ma anche la presenza del Padre, che Lui sempre aveva avuto nella Sua vita, si era ritirata da Lui.
Alla disperata richiesta d’aiuto “Padre allontana da me questo calice amaro”, e l’accorata dichiarazione di sottomissione “ma pur la tua volontà sia fatta e non la mia”, venne dato in risposta un silenzioso no.
Il Padre, infatti, non poteva allontanare il calice amaro da suo Figlio, perché era proprio questo il motivo per cui suo Figlio era stato mandato nel mondo: redimere l’intera famiglia di Dio.
Né il Padre stesso poteva venire in aiuto del Figlio, perché questo non Gli avrebbe dato la vittoria completa di cui aveva bisogno sul peccato, sul dolore, sulla sofferenza, sull’inferno e sugli effetti della caduta.
Il Padre è vita pura, glorificata, non adulterata, e nel Getsemani il Salvatore ha dovuto vivere tutto, persino scendere al di sotto di tutto, per soddisfare le esigenze della giustizia.
Tra le cose che dovette attraversare c’erano la morte spirituale, il ritrarsi della presenza del Padre e l’allontanamento della sua influenza immediata: in verità, l’atmosfera stessa dell’inferno.
Affinché questo si potesse avverare, la solitudine di Gesù nelle Sue sofferenze era necessaria.
Anziano Holland continua:
“[…] la discesa conclusiva nella disperazione paralizzante dell’abbandono divino quando gridò in estrema solitudine: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». La perdita del sostegno degli esseri umani l’aveva prevista, ma di certo non aveva compreso questo.
Non aveva forse detto ai Suoi discepoli: «Ecco, l’ora… è venuta, che sarete dispersi, ciascun dal canto suo, e mi lascerete solo; ma io non son solo, perché il Padre è meco» e «Egli non mi ha lasciato solo, perché fo del continuo le cose che gli piacciono»?
Con tutta la convinzione della mia anima attesto che Egli compiacque Suo Padre perfettamente e che un Padre perfetto non abbandonò Suo Figlio in quel momento.
Infatti, è mia convinzione personale che in tutto il ministero terreno di Cristo, il Padre non sia mai stato più vicino a Suo Figlio come in quei momenti finali di agonia e sofferenza.”
Gesù era perfetto e obbediente, quindi non poteva sperimentare l’assenza dello Spirito e della presenza divina a meno che non gli fosse tolta di proposito.
E se questo non fosse accaduto non avrebbe potuto mai capire cosa vuol dire soffrire per l’assenza di Dio causata dal peccato.
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Dio non poteva confortarlo durante l’Espiazione, perché solo così Gesù avrebbe potuto pagare le richieste della Giustizia e rivendicare su di noi i diritti della Misericordia. Solo così Egli poteva diventare il Salvatore.
La solitudine di Gesù vissuta nel Getsemani e sulla croce è ciò che Gli permette di comprendere le nostre difficoltà in modo così perfetto e personale.
Anziano Holland prosegue:
“Perché la Sua espiazione fosse infinita ed eterna, Egli doveva provare com’è morire non solo fisicamente ma anche spiritualmente, provare come ci si sente quando lo spirito divino viene ritirato, facendo sentire una persona totalmente, miseramente e disperatamente sola.”
Dio non potè soffrire con Lui ma soffrì per Lui
Nonostante il Padre non poté allontanare la coppa amara dal Suo beneamato e perfetto Figlio, e nonostante dovette momentaneamente negarGli la Sua divina presenza, nell’infinito amore di Padre perfetto e glorioso soffrì per Lui.
L’anziano Melvin J.Ballard, del Quorum dei Dodici Apostoli, ha scritto:
“In quel momento in cui avrebbe potuto salvare suo Figlio, lo ringrazio e lo lodo perché non ci ha delusi, perché non aveva in mente solo l’amore per suo Figlio, ma anche l’amore per noi.
Mi rallegro che non abbia interferito e che il suo amore per noi gli abbia permesso di sopportare le sofferenze di suo Figlio e di donarlo infine a noi, nostro Salvatore e nostro Redentore.
Senza di lui, senza il suo sacrificio, saremmo rimasti qui e non saremmo mai arrivati glorificati alla sua presenza. E così questo è ciò che è costato, in parte, al nostro Padre nei cieli fare il dono di suo Figlio agli uomini”.
Quanto deve essere costato caro al Padre non rimuovere il calice amaro dal Suo figlio Perfetto, Unigenito e Beneamato. In un certo senso anche Lui ha bevuto da quella coppa amara, proprio come un genitore soffre delle sofferenze dei propri figli.
Nel 1998, l’Anziano Yoshihiko Kikuchi ha descritto in modo molto sentito e toccante quello che può aver provato il Padre Celeste nel lasciare da solo il Salvatore:
“Immaginate, al centro dell’universo, il nostro amorevole e gentile Padre Celeste deve aver asciugato le Sue sante lacrime. Immaginate la grande gratitudine del Padre per la disponibilità di Suo Figlio a dare sé stesso per tutti i figli del Padre.
Il Padre avrebbe potuto inviare una moltitudine di schiere celesti per salvare suo Figlio da quella terribile situazione. Ma il nostro Padre deve aver chiuso gli occhi in quegli ultimi momenti affinché voi, io e gli altri figli potessimo avere speranza.”
Poiché Lui soffrì in solitudine noi non dobbiamo fare lo stesso.
Anziano Holland conclude il suo discorso con delle parole molto confortanti per noi:
“Grazie al fatto che Gesù percorse un sentiero talmente lungo e solitario, noi non dobbiamo fare altrettanto.
Il Suo viaggio solitario ha fornito grande compagnia per la nostra piccola versione di quel sentiero: la cura misericordiosa del nostro Padre nei cieli, la compagnia costante del Suo Figlio diletto, il dono meraviglioso dello Spirito Santo, gli angeli in cielo, i membri della famiglia da tutte e due le parti del velo, i profeti e gli apostoli, gli insegnanti, i dirigenti e gli amici.”
Ognuno di noi, nella propria vita, vive in certa misura l’esperienza del Getsemani, del Calvario e della croce, talvolta anche più di una volta. In questi momenti, potremmo gridare anche noi “Mio Dio perché mi hai abbandonato?”.
Se vi è mai capitato di sentirvi così, sappiate che c’è qualcuno che ha posto questa domanda prima di voi. E cosa più importante, poiché questa affermazione fu vera per Lui, non deve essere vera per noi.
Non ci sarà mai momento di dolore e tristezza, sconforto e disperazione che possiamo attraversare nella nostra vita, in cui ci verranno negati la presenza, l’aiuto e il conforto del nostro infinitamente amorevole Padre Celeste.
Grazie alla Sua infinita Espiazione, Gesù è in grado di comprendere ogni aspetto della nostra vita. Dobbiamo solo permetterGli di prendere su di sé i fardelli che ci aggravano.
Nel Libro di Mormon il profeta Alma insegnò:
“Ed egli andrà, soffrendo pene e afflizioni e tentazioni di ogni specie; e ciò affinché si possa adempiere la parola che dice: egli prenderà su di sé le pene e le malattie del suo popolo.
E prenderà su di sé la morte, per poter sciogliere i legami della morte che legano il suo popolo; e prenderà su di sé le loro infermità, affinché le sue viscere possano essere piene di misericordia, secondo la carne, affinché egli possa conoscere, secondo la carne, come soccorrere il suo popolo nelle loro infermità.
Ora, lo Spirito conosce ogni cosa: nondimeno il Figlio di Dio soffrirà, secondo la carne, per poter prendere su di sé i peccati del suo popolo, per poter cancellare le loro trasgressioni, secondo il potere della sua liberazione; ed ora, ecco, questa è la testimonianza che è in me.”
(Alma 7:11-13).
Gesù il Cristo sa come soccorrerci. A questo proposito l’anziano Maxwell ha scritto:
“La compassione del divino Gesù per noi non è la compassione astratta di un individuo senza peccato incapace di soffrire; piuttosto, è la compassione e l’empatia di uno che ha sofferto in modo profondo, anche se innocente, per tutti i nostri peccati, che sono stati aggravati in qualche modo che non comprendiamo.
Pur essendo senza peccato, ha sofferto più di tutti noi. Non possiamo dirgli nulla sulla sofferenza. Questa è una delle meraviglie intrinseche dell’espiazione di Gesù Cristo!”.
Così la sua espiazione ha reso perfetta la sua empatia, la sua misericordia e la sua capacità di soccorrerci, per la quale possiamo essere eternamente grati, quando ci assiste nelle nostre prove.
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Fonti
Nessuno era con Lui | Jeffrey R. Holland Of the Quorum of the Twelve Apostles
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