Quando il fratello di Giared espresse le sue preoccupazioni riguardo la mancanza di luce nelle imbarcazioni che il Signore aveva chiesto loro di costruire, il Signore rispose: “Cosa vuoi che faccia affinché possiate aver luce nei vostri vascelli?” (Ether 2:23).
In risposta a questo invito, il fratello di Giared “estrasse da una roccia sedici piccole pietre; ed erano bianche e chiare, proprio come vetro trasparente” (Ether 3:1).
A quel punto il fratello di Giared chiese al Signore di toccare “queste pietre con il tuo dito e preparale affinché possano brillare nell’oscurità;” (Ether 3:4).
Come richiesto, il Signore le toccò “una ad una” (v. 6), il che fece sì che “brillassero nell’oscurità, per dar luce agli uomini, alle donne e ai bambini, affinché non dovessero traversare le grandi acque nell’oscurità.” (Ether 6:3).
Come venne in mente al fratello di Giared di proporre tale soluzione?
Hugh Nibley, in un suo libro, pone questa domanda: “Ma chi diede in primo luogo al fratello di Giared l’idea delle pietre? Non fu il Signore, che lo aveva lasciato completamente a sé; eppure quell’uomo agì immediatamente come se sapesse esattamente cosa stava facendo.
Chi fu a spingerlo in quella direzione?”
Anche se agli occhi di un lettore moderno, delle pietre che si illuminano potrebbero sembrare un’assurdità, leggende riguardo la loro esistenza ed importanza erano ampiamente diffuse nel mondo antico.
Prendendo spunto da un nutrito gruppo di testi antichi, John A. Tvedtnes ha collegato le pietre luminose in Ether ad artefatti quali l’Urim e, idoli risplendenti, teraphim, pietre del santuario e pietre splendenti medioevali.
Tvedtnes ha così concluso: “Il racconto delle pietre utilizzate per fornire luce nelle imbarcazioni giaredite si inserisce ottimamente in un più vasto corpus della letteratura antica e medievale.”1
Di particolare importanza è il modo in cui le pietre luminose erano collegate strettamente con l’arca di Noè. Nel Talmud Babilonese, per esempio, un commentatore ebraico ha riportato che il Signore diede istruzioni a Noè di “Porre ivi gioielli e pietre preziose, che possano darti luce, splendente come a mezzogiorno.”
Un altro antico rabbino ebreo spiegò: “Durante tutti i dodici mesi che Noè rimase nell’arca non ebbe bisogno della luce del sole di giorno o della luce della luna di notte, ma aveva delle gemme lucide che appese all’interno.”
Come mai il fratello di Giared decise di seguire l’esempio di Noè?
Queste ricerche ebraiche sono considerevoli se pensiamo che proprio il testo in Ether 6:7 traccia esplicitamente un parallelo tra i vascelli giarediti e l’arca di Noè: “non v’era acqua che potesse nuocer loro, perché i loro vascelli erano stagni come una tazza ed erano pure stagne come l’arca di Noè;” (corsivo aggiunto).2
Tenendo a mente che questo popolo stava già costruendo imbarcazioni in maniera simile all’arca di Noè, è possibile che il fratello di Giared sapesse qualcosa riguardo le pietre che la illuminavano e che pensasse a qualcosa di simile come potenziale fonte di luce per le imbarcazioni del suo popolo.3
Nibley infatti era convinto che il fratello di Giared stesse semplicemente “agendo in base al modello dell’arca di Noè, della quale si raccontava sin dai più antichi resoconti della razza umana che fosse illuminata da tali pietre luminose.”
Una conoscenza di antiche fonti che discutono di pietre luminose e dell’arca di Noè può offrire spunti di riflessione addizionali sulla storia del fratello di Giared.
Ad esempio, piuttosto che affidarsi all’illimitata capacità creativa della propria immaginazione, il fratello di Giared potrebbe aver voluto intenzionalmente dimostrare la sua fede nella miracolosa storia di Noè e della sua famiglia, incluse quelle preziose pietre che, secondo diverse antiche fonti, garantirono luce nel mezzo del diluvio.
Mentre il fratello di Giared applicava la sacra storia di Noè al suo proprio popolo, pensò ad una soluzione simile per i problemi che doveva affrontare.4
Una storia applicabile ad ognuno di noi
In diversi modi, questa storia aiuta anche a dimostrare in che modo il Signore interagisce con i Suoi figli. In alcuni casi, Dio elargisce liberamente le Sue benedizioni o le soluzioni ai Suoi figli, semplicemente perché questi hanno la fede necessaria per chiederle (vedere Ether 2:19-21).
In altre situazioni il Signore richiede iniziativa, creatività ed uno sforzo diligente da parte di coloro che ricercano tali benedizioni o soluzioni. Anziano Jeffrey R. Holland ha insegnato:
“Chiaramente il Signore stava mettendo il fratello di Giared alla prova. Il Signore aveva fatto la Sua parte, miracolosamente, profondamente ed ingegnosamente.
Aveva fornito navi uniche, assolutamente degne di poter navigare attraverso l’oceano… Ora voleva sapere che cosa il fratello di Giared sarebbe stato capace di fare per i dettagli finali.”
La storia di queste pietre è anche arricchita da un simbolismo ricco e profondo. M. Catherine Thomas, per esempio, ha suggerito che le pietre “richiamino l’Urim e il Thummim” così come le “pietre bianche menzionate in Apocalisse 2:17”.
Thomas R. Valletta ha notato che come la Liahona, le pietre “similmente guidarono i giarediti alla terra promessa per il potere di Cristo”.
Robert E. Clark ha visto nelle pietre trasparenti, inizialmente prive di luce, un riflesso “delle limitazioni, le proprie mancanze” del fratello di Giared, le quali avevano bisogno di essere “riempite di luce”. Sempre Thomas, allo stesso modo, ha notato come queste fornissero “non solo luce fisica, ma anche luce spirituale”.
Tenendo a mente queste interpretazioni, è importante notare come le pietre vennero riempite di luce solo dopo che il Signore le toccò “una ad una con il Suo dito” (Ether 3:6).
In questo senso, si può capire che la luce che ci porta rivelazione, che rivela la vera identità di ognuno di noi, che è una guida costante in tempi di oscurità e pericolo e che riempie il vuoto del cuore mortale con vera gioia e con una tensione verso il divino, può essere attivata solamente tramite un contatto personale con Gesù Cristo.
Infine, il fratello di Giared credeva che le pietre potessero risplendere di luce propria poiché aveva fede in Gesù Cristo, la vera “luce e vita del mondo” (3 Nefi 11:11).
1.“Le poche fonti che potessero essere disponibili al profeta Joseph Smith, erano oscure e confuse, raccolte in testi che neanche una mezza dozzina di uomini erano in grado di leggere, limitati dal fatto che molte fonti classiche erano completamente incomprensibili fino alla scoperta della chiave, la grande Epopea di Gilgamesh, avvenuta molto tempo dopo la pubblicazione del Libro di Mormon.
Questa chiave collega la pietra pyrophilus, il Ciclo di Alessandro, i riti siriani e le storie babilonesi sul diluvio e l’Urim e Thummim in una tradizione comune di profonda antichità, rendendo la storia delle pietre giaredite non solo plausibile, ma tipica.” Vedere “Glowing Stones” di Tvedtnes, pag. 122-123, oppure “An Approach to the Book of Mormon” di Hugh Nibley, pag 290-291.
2. Hugh Nibley ha spiegato: “La descrizione delle imbarcazioni giaredite non ha richiami nella Bibbia, dove al di là delle generali dimensioni (che sono simboliche), nulla viene detto sull’aspetto effettivo dell’arca; ma corrisponde esattamente alla descrizione delle sacre imbarcazioni magur con le quali, secondo le più antiche storie babilonesi, l’eroe del Diluvio fu salvato dalla distruzione.” Vedere “Since Cumorah” di Hugh Nibley, pag 209-210.
Per dei paralleli tra i vascelli giarediti e le imbarcazioni nelle storie babilonesi sul diluvio, vedere “An Approach to the Book of Mormon” di Hugh Nibley, pag 276-281.
3. La storia di Noè e del diluvio era sicuramente di storia relativamente recente per i giarediti, i quali erano scappati dalla “grande torre, al tempo in cui il Signore confuse la lingua del popolo” (Ether 1:33).
Per informazioni sulla storicità della torre di Babele, vedere “Challenging Issues, Keeping the Faith: Is the Tower of Babel Historical or Mythological?” di Michael R. Ash su Deseret News del 27 settembre 2010:
“Quando gettiamo la luce della scienza e dello studio accademico sulla Torre di Babele, scopriamo delle cose interessanti. Primo, la parola ‘Babele’ deriva da una parola assiro-babilonese che significa ‘Porta Divina’ ed è associata ad una parola ebraica che significa ‘confusione’.
Sembrerebbe che l’autore (o gli autori) del racconto della Torre di Babele abbia voluto utilizzare un gioco di parole per sottolineare un particolare aspetto della storia.
C’è anche da notare che il libro di Ether non menziona mai ‘Babele’ ma solamente la ‘Grande Torre’.”
4. Quando Moroni inserì il suo lungo intermezzo in Ether 12, diede numerosi esempi di profeti fedeli e poi descrisse il fratello di Giared come l’esempio principe di fede (Ether 12:20-21).
Allo stesso modo in cui il fratello di Giared ottenne maggiore fede seguendo l’esempio di Noè, i lettori possono ottenere maggiore fede seguendo l’esempio del fratello di Giared, la cui fede era talmente forte che “il Signore non poté celare più nulla alla sua vista; pertanto gli mostrò tutte le cose, poiché non poteva più essere trattenuto al di là del velo.” (v. 21).
Questo articolo è stato scritto e pubblicato originalmente su knowhy.bookofmormoncentral.org e poi tradotto da Andrea Sorgiacomo
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