Offendersi è una scelta. Potrà sembrare una follia, ma possiamo scegliere se offenderci o meno.
Questo non vuol dire che possiamo impedire alle azioni o ai commenti negativi di qualcuno nei nostri confronti di suscitare in noi delle emozioni di disagio o rabbia, ma che possiamo scegliere se e come reagire a tali emozioni.
Un esempio di questo è Pahoran, uno dei giudici supremi dei Nefiti di cui si parla nel Libro di Mormon, che decise di rispondere con amore e carità ad alcune accuse ingiuste che gli furono rivolte dal profeta e comandante Moroni.
Offendersi è una scelta: l’esempio di Pahoran
Era in corso l’ennesimo conflitto tra Nefiti e Lamaniti. Nonostante tutti gli sforzi di Moroni per rafforzarle e proteggerle, molte delle città nefite erano state espugnate dai Lamaniti.
L’esercito nefita guidato da Helaman si trovava in un momento di grande difficoltà a causa della scarsità di uomini e risorse.
Essendone a conoscenza, Moroni aveva inviato a Pahoran, giudice supremo, un’epistola chiedendo rinforzi e provviste, che però non arrivarono.
In seguito a questa mancata risposta e in preda alla rabbia, Moroni inviò a Pahoran un’altra epistola molto aspra, accusando il governo di negligenza e condannandolo a dover rispondere davanti a Dio del mancato soccorso.
I capitoli 59, 60 e 61 di Alma contengono il botta e risposta di epistole tra Moroni e Pahoran. Eccone un estratto:
E avvenne che Moroni si irritò con il governo, a causa della sua indifferenza riguardo alla libertà del loro paese.
E avvenne che egli scrisse di nuovo al governatore del paese, che era Pahoran, e queste sono le parole che scrisse, dicendo: Ecco, indirizzo la mia epistola a Pahoran, che è il giudice supremo e il governatore del paese, nella città di Zarahemla, ed anche a tutti coloro che sono stati scelti da questo popolo per governare e per dirigere gli affari di questa guerra.
Poiché ecco, ho qualcosa da dirvi a mo’ di condanna; poiché ecco, voi stessi sapete di essere stati nominati per raccogliere uomini, per armarli di spade, di scimitarre e di ogni sorta d’armi da guerra d’ogni specie e per mandarli contro i Lamaniti in qualsiasi parte essi venissero nella nostra terra.
Ed ora ecco, vi dico che io, e anche i miei uomini ed Helaman pure e i suoi uomini, abbiamo sofferto enormi sofferenze, sì, la fame, la sete, la fatica e afflizioni di ogni specie.
Ma ecco, grande è stata la strage fra il nostro popolo; sì, migliaia son caduti per la spada, mentre avrebbe potuto essere altrimenti se aveste inviato rinforzi e soccorsi sufficienti ai nostri eserciti. Sì, grande è stata la vostra negligenza verso di noi.
Ed ora ecco, noi desideriamo sapere il motivo di questa estrema negligenza; sì, desideriamo conoscere il motivo della vostra indifferenza.
[…]
Ed ora, miei diletti fratelli — poiché dovreste essermi diletti; sì, ed avreste dovuto muovervi più diligentemente per il bene e la libertà di questo popolo; ma ecco, lo avete abbandonato, tanto che il sangue di migliaia ricadrà sulle vostre teste per essere vendicato; sì, poiché tutte le loro grida e tutte le loro sofferenze sono note a Dio.
[…]
Ecco, io attendo aiuto da voi; e a meno che non ci forniate soccorso, ecco, verrò da voi, nel paese di Zarahemla, e vi colpirò con la spada, tanto che non avrete più il potere di impedire il progresso di questo popolo nella causa della nostra libertà.
Quello che Moroni non sapeva, però, è che all’interno del governo erano in corso delle insurrezioni per mano degli uomini del re, che volevano sovvertire l’ordine di governo costituito e prendere il potere.
In sostanza, Pahoran fu accusato ingiustamente.
Ecco come rispose lui:
Ecco, io ti dico, Moroni, che non gioisco delle vostre grandi afflizioni, sì, esse addolorano la mia anima.
Ma ecco, vi son di quelli che gioiscono delle vostre afflizioni, sì, tanto che si sono ribellati contro di me e anche contro quelli del mio popolo che sono uomini liberi; sì, e coloro che si sono ribellati sono assai numerosi.
E son quelli che hanno cercato di togliermi il seggio del giudizio che sono stati causa di questa grande iniquità; poiché hanno usato grandi lusinghe ed hanno distolto i cuori di molte persone, il che sarà causa di gravi afflizioni fra di noi; essi hanno trattenuto i nostri rifornimenti ed hanno spaventato i nostri uomini liberi, cosicché non sono venuti a voi.
Ed ora, nella tua epistola mi hai censurato, ma non importa; non sono in collera, ma gioisco per la grandezza del tuo cuore (enfasi aggiunta).
Io, Pahoran, non cerco il potere, salvo soltanto il mantenere il mio seggio del giudizio, per poter preservare i diritti e la libertà del mio popolo. La mia anima persiste in quella libertà nella quale Dio ci ha resi liberi.
Pahoran avrebbe potuto offendersi. Avrebbe potuto prendersela con Moroni per aver dubitato della sua lealtà e del suo interesse per il benessere dell’esercito.
Avrebbe potuto rispondere a Moroni in modo altrettanto aspro e fomentare la diatriba. Avrebbe potuto pretendere delle scuse. Ma non lo fece.
Comprese che la rabbia di Moroni era guidata dal suo forte desiderio di difendere il suo popolo e, soprattutto, da una mancata conoscenza delle circostanze. Non solo non accusò o rimproverò Moroni, al contrario lo elogiò per “la grandezza del [suo] cuore”.
Offendersi è una scelta: Fatti per agire e non per subire
Come possiamo applicare questa grande dimostrazione di amore ed umiltà nella nostra vita?
In un discorso del 2006, intitolato “E non c’è nulla che possa farli cadere”, l’Anziano David A. Bednar ha parlato di come offendersi sia una scelta e di come possiamo scegliere di non offenderci.
Ai più scettici le sue argomentazioni potranno sembrare prive di senso, ma effettivamente sta in noi il potere di decidere come reagire a ciò che accade intorno a noi.
Non possiamo controllare le emozioni che questi accadimenti ci provocano, ma possiamo controllare il modo in cui noi rispondiamo.
L’Anziano Bednar ha detto:
Quando crediamo o diciamo di essere stati offesi, di solito intendiamo che ci sentiamo insultati, trattati male o senza rispetto o disprezzati.
E di certo nei nostri rapporti con le altre persone si dicono cose senza tatto, imbarazzanti, dolorose che possono farci sentire offesi.
Ma alla fine è impossibile che un’altra persona offenda voi o me. In realtà, credere che un’altra persona ci ha offeso è fondamentalmente falso. Offendersi è una scelta che facciamo; non è una condizione inflitta o imposta da qualcuno o qualcos’altro.
Credere che qualcosa o qualcuno possa farci sentire offesi, arrabbiati, feriti o dispiaciuti, diminuisce il nostro arbitrio morale e ci trasforma in oggetti che devono subire.
Come agenti, voi ed io abbiamo il potere di agire e scegliere come reagire a una situazione offensiva o dolorosa.
In molti casi, scegliere di offendersi è sintomo di un più profondo e grave disagio spirituale.
Il dono del libero arbitrio è un dono meraviglioso che il Padre celeste ci ha fatto. Spesso lo sottovalutiamo e crediamo di non poter controllare le cose che ci succedono o il modo in cui ci comportiamo. Per certi aspetti è vero.
Non possiamo controllare le malattie che ci colpiscono, le calamità naturali o le scelte degli altri che hanno un effetto su di noi.
In alcuni casi, quando siamo afflitti da disturbi psicologici o dipendenze di una certa gravità non riusciamo (o comunque è molto difficile farlo) a controllare alcuni dei nostri comportamenti. Per queste situazioni c’è bisogno di un aiuto professionale.
Leggi anche: Alma 37: le scritture come guida per la nostra vita quotidiana
Ma per tutto il resto c’è qualcosa che possiamo fare. Spesso abbiamo più potere di quello che crediamo, e quando ce ne rendiamo conto abbiamo più possibilità di vivere una vita più gioiosa e soddisfacente.
Questo significa forse che controllare le proprie reazioni ad eventi spiacevoli o offese sia facile? Assolutamente no.
Anziano Bednar continua:
Il Salvatore è il più grande esempio di come dovremmo rispondere alle situazioni o eventi potenzialmente offensivi.
Grazie al potere dell’espiazione di Gesù Cristo che dà forza, voi ed io possiamo avere la benedizione di evitare l’offesa e trionfare su di essa.
Anche se le persone non vogliono intenzionalmente ferire od offendere, possono comunque essere sconsiderate e senza tatto. Voi ed io non possiamo controllare le intenzioni o il comportamento degli altri.
Possiamo però stabilire come reagiremo noi. Vi prego di ricordare che voi ed io siamo agenti investiti del libero arbitrio, e possiamo scegliere di non offenderci.
Uno dei maggiori indicatori della nostra maturità spirituale è dato da come reagiamo alle debolezze, all’inesperienza e alle azioni potenzialmente offensive degli altri.
Una cosa, un evento o un’espressione possono essere offensive, ma voi ed io possiamo scegliere di non offenderci, e dire insieme a Pahoran: «Non importa».
Il Salvatore venne ridicolizzato, sbeffeggiato, picchiato ed infine innalzato sulla croce, e nonostante questo disse “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
Cunei nascosti: le conseguenze dell’offesa
Se al contrario decidiamo di accogliere l’offesa, quali possono essere le conseguenze?
Alcuni anni fa, il presidente Thomas S. Monson ha riferito una storia scritta da Samuel T. Whitman, una sorta di parabola moderna, intitolata “Cunei nascosti”:
«La tormenta di ghiaccio [quell’inverno] di solito non causava eccessivi danni. Vero; qualche linea elettrica cadeva e aumentavano improvvisamente gli incidenti sulle autostrade…
Normalmente il grosso noce avrebbe sopportato facilmente il peso della neve che gravava sui suoi rami, ma fu il cuneo di ferro nel suo cuore a causare il danno.
La storia del cuneo di ferro cominciò alcuni anni prima, quando il contadino, [che adesso abitava nella proprietà dove si trovava il cuneo] ormai incanutito dagli anni, era ancora un ragazzo che lavorava nella fattoria del padre.
La segheria solo recentemente era stata trasferita dalla valle, e i contadini continuavano a trovare qua e là vecchi arnesi e parti di attrezzature. Quel particolare giorno il ragazzo aveva trovato nei pascoli a sud un pesante cuneo da spaccalegna, lungo più di trenta centimetri, con la testa allargata dai possenti colpi di mazza.
Poiché era già tardi per la cena, il ragazzo pose il cuneo… tra i rami del giovane noce che suo padre aveva piantato nelle vicinanze del cancello principale. Avrebbe portato il cuneo nella legnaia subito dopo la cena, o quando si fosse trovato di nuovo a passare di lì. Intendeva veramente farlo, ma non lo fece.
Il cuneo era là tra i rami, stretto da ogni parte, quando il ragazzo era ormai diventato un giovanotto. Era là, irrimediabilmente incastrato nel legno, quando si sposò e cominciò a mandare avanti la fattoria di suo padre. Era quasi ricoperto il giorno in cui gli operai addetti alla mietitura consumarono il pranzo all’ombra dell’albero…
Infisso profondamente e ricoperto, il cuneo era ancora nell’albero quando venne la tormenta di neve invernale. Nel freddo silenzio di quel gelido inverno… uno dei tre rami principali dell’albero si spaccò dal tronco e cadde a terra. Ciò sbilanciò l’albero, così anche gli altri rami si spaccarono e caddero.
Quando la bufera cessò, non rimase un ramoscello di quello che era una volta un maestoso albero. Il mattino dopo il contadino andò sul posto, dispiaciuto per la perdita… Poi i suoi occhi caddero su un oggetto che emergeva dal ceppo.
‹Il cuneo che trovai nei pascoli a sud›, mormorò, rimproverandosi. Immediatamente si rese conto del motivo della caduta dell’albero. La presenza del cuneo infisso nel tronco aveva impedito alle fibre di unirsi come avrebbero dovuto».
Questa storia ci insegna che quando permettiamo al rancore e al risentimento di penetrare tra le fibre della nostra anima, condanniamo noi stessi ad una vita di dolore ed infelicità, che alla fine ci farà crollare.
Non offendersi non significa permettere agli altri di continuare a ferirci
Allora, se offendersi è una scelta, significa forse che dovremmo permettere a qualcuno di continuare a farci del male in modo da poter perdonare e non offenderci? Ovviamente no.
Decidere di non offendersi o di non reagire con la stessa moneta ad un’offesa, non vuol dire permettere agli altri di non rispettarci, trattarci male o di prevaricarci.
Così facendo, saremmo ancora una volta soggetti che subiscono e non che agiscono.
4 indicazioni per il viaggio della vita: da un discorso di Presidente Monson
Il Padre Celeste ha a cuore la nostra libertà e la nostra felicità, e per questo, anche se ci comanda di perdonare e porgere l’altra guancia, ci comanda anche di amare il prossimo “come noi stessi”.
Amare sé stessi implica il sapersi allontanare da quelle situazioni in cui la nostra libertà e dignità personale non vengono rispettate.
L’anziano Jeffrey R. Holland del Quorum dei Dodici Apostoli ha spiegato:
È importante, tuttavia, che chi di voi sta provando un’angoscia autentica tenga presente ciò che [Cristo] non ha detto. Egli non ha detto:
“Non vi è consentito provare vero dolore o vera sofferenza a causa delle esperienze devastanti che avete vissuto per mano di un’altra persona”, e neppure ha detto:
“Per poter perdonare pienamente, dovete ritornare nuovamente all’interno di un rapporto deleterio o di una situazione distruttiva e di maltrattamenti”. (Jeffrey R. Holland, “Il ministero della riconciliazione”, Liahona, novembre 2018, 78–79).
Per molti anni Nefi sopportò i soprusi, la violenza e le ingiustizie inflitte dai suoi fratelli. Nonostante questi abbiano tentato più volte di togliergli la vita, per molto tempo continuò a predicare loro il Vangelo e a richiamarli al pentimento, perché aveva a cuore il loro benessere spirituale.
Tuttavia, anche lui ad un certo punto si rese conto che non c’era più nulla che potesse fare, e dopo la morte di Lehi, i due popoli emergenti prendettero strade diverse e si separarono. In 2 Nefi troviamo il suo resoconto:
Ecco avvenne che io, Nefi, gridai molto al Signore mio Dio, a causa dell’ira dei miei fratelli.
Ma ecco, la loro ira aumentò contro di me, tanto che cercarono di togliermi la vita.
[…]
E avvenne che il Signore mi avvertì che io, Nefi, mi allontanassi da loro e fuggissi nel deserto, con tutti coloro che avessero voluto venire con me.
Pertanto, avvenne che io, Nefi, presi la mia famiglia […] E prendemmo le nostre tende e tutto ciò che ci fu possibile, e viaggiammo nel deserto per lo spazio di molti giorni. (2 Nefi 5:1-7)
È importante notare che fu il Signore a dire a Nefi di allontanarsi dai suoi fratelli. Ogni persona vive una situazione peculiare e specifica, pertanto non sempre gli stessi principi sono applicabili a tutti allo stesso modo.
Quando ci troviamo in una situazione in cui la nostra dignità viene calpestata abbiamo il diritto di allontanarci da tale situazione. Questo però non vuol dire che abbiamo anche il diritto di interrompere qualunque relazione interpersonale al primo inconveniente.
Come è già stato ripetuto, siamo noi a scegliere di offenderci quando qualcuno ci attacca o “pensiamo” che lo stia facendo. Per questo abbiamo la rivelazione personale, per sapere come comportarci e se abbandonare o meno delle circostanze sfavorevoli.
Allo stesso tempo, possiamo confidare nei meriti dell’Espiazione del Salvatore e nel Suo amore perfetto per non farci scalfire dalle offese e dalle azioni scortesi (o presunte tali) del prossimo.
Ecco perché offendersi è una scelta: la lezione di Pahoran è stato scritto da Ginevra Palumbo.
Commenti