La storia di Davide e Golia è una delle storie più conosciute dell’Antico Testamento, anche tra i meno religiosi e i non credenti. Racconta di un ragazzino in grado di sconfiggere un gigante con una banale fionda da pastore e “cinque pietre ben lisce”.
Sembra quasi uscita da un racconto fantasy o da una favola.
Eppure, per i più credenti, è una storia di speranza e una metafora della capacità dei figli di Dio di superare anche le sfide all’apparenza più insormontabili tramite il Suo aiuto.
Quella di Davide, però, non è esattamente una storia a lieto fine, perché il giovane pastorello diventato re, ad un certo punto commetterà un errore, un gravissimo errore, che lo porterà a perdere la gloria e il favore di Dio.
La storia di re Davide è la storia dell’ascesa di un uomo e della sua sventurata caduta, da cui ancora oggi possiamo imparare qualcosa per evitare di fare lo stesso.
Ma partiamo dagli esordi, chi è Davide, come fece a diventare re, e cosa causò la sua caduta?
Gli antecedenti
Con la morte di Giosuè, il popolo non volle più essere governato dai giudici e chiese al profeta Samuele di nominare un re.
Nonostante non fosse favorevole, Dio accontentò il popolo ma lo avvertì di scegliere un uomo saggio e fedele che non avrebbe condotto il popolo ad ulteriore traviamento.
Nel capitolo 9 di 1 Samuele si legge di come Dio guidò il profeta Samuele verso Saul, giovane forte e valoroso di origine Beniaminita.
“[…] aveva un figlio di nome Saul, giovane e bello; non ve n’era tra i figli d’Israele uno più bello di lui: era più alto di tutta la gente dalle spalle in su” (1 Samuele 9:2).
Attraverso una serie di eventi miracolosi, Dio li fece incontrare, e una volta appurata la dignità di Saul, Samuele lo unse primo re del popolo d’Israele.
“L’indomani si alzarono presto; allo spuntar dell’alba, Samuele chiamò Saul sul terrazzo, e gli disse: “Vieni, così che io ti lasci partire”. Saul si alzò, e uscirono fuori ambedue, egli e Samuele.
Quando furono scesi all’estremità della città, Samuele disse a Saul: “Di’ al servo che passi, e vada innanzi a noi (e il servo passò); ma tu adesso fermati, e io ti farò udire la parola di Dio.
Allora Samuele prese un vasetto d’olio, lo versò sul capo di lui, baciò Saul e disse: “L’Eterno non ti ha forse unto perché tu sia il capo della sua eredità? (1 Samuele 9:26-27; 10:1).
Purtroppo, Saul non mantenne la propria fedeltà ed iniziò a commettere dei peccati gravi al cospetto di Dio, motivo per cui Dio comandò a Samuele di destituire Saul e ungere un altro re.
“Ora dunque, ti prego, perdona il mio peccato, ritorna con me, e io mi prostrerò davanti all’Eterno”. E Samuele disse a Saul:
“Io non ritornerò con te, poiché hai rigettato la parola dell’Eterno, e l’Eterno ha rigettato te perché tu non sia più re sopra Israele” (1 Samuele 15:25-26)
L’unzione di Davide
L’incontro tra il profeta Samuele e Davide è altrettanto miracoloso:
1 L’Eterno disse a Samuele: “Fino a quando farai tu cordoglio per Saul, mentre io l’ho rigettato perché non regni più sopra Israele? Riempi di olio il tuo corno, e va’; io ti manderò da Isai di Betlemme, perché mi sono provveduto di un re tra i suoi figli”.
E Samuele rispose: “Come andrò io? Saul lo verrà a sapere, e mi ucciderà”. L’Eterno disse: “Prenderai con te una giovenca, e dirai: ‘Sono venuto ad offrire un sacrificio all’Eterno’.
Inviterai Isai al sacrificio; io ti farò sapere quello che dovrai fare, e mi ungerai colui che ti dirò”.
Samuele dunque fece quello che l’Eterno gli aveva detto; si recò a Betlemme, e gli anziani della città gli si fecero incontro tutti turbati, e gli dissero: “Porti tu pace?”.
Ed egli rispose: “Porto pace; vengo ad offrire un sacrificio all’Eterno; purificatevi, e venite con me al sacrificio”. Fece anche purificare Isai e i suoi figli, e li invitò al sacrificio.
Mentre entravano, egli scorse Eliab, e disse: “Di certo ecco l’unto dell’Eterno davanti a lui”.
Ma l’Eterno disse a Samuele: “Non badare al suo aspetto né all’altezza della sua statura, perché io l’ho scartato; poiché l’Eterno non guarda a quello a cui guarda l’uomo: l’uomo guarda all’apparenza, ma l’Eterno guarda al cuore”.
Allora Isai chiamò Abinadab, e lo fece passare davanti a Samuele; ma Samuele disse: “L’Eterno non si è scelto neppure questo”.
Isai fece passare Shamma, ma Samuele disse: “L’Eterno non si è scelto neppure questo”.
Isai fece passare così sette dei suoi figli davanti a Samuele; ma Samuele disse ad Isai: “L’Eterno non si è scelto questi”.
Poi Samuele disse ad Isai: “Sono questi tutti i tuoi figli?”. Isai rispose: “Resta ancora il più giovane, ma è a pascere le pecore”.
E Samuele disse a Isai: “Mandalo a cercare, perché non ci metteremo a tavola prima che sia arrivato qua”. Isai dunque lo mandò a cercare, e lo fece venire. Ora, egli era biondo, aveva dei begli occhi e un bell’aspetto. E l’Eterno disse a Samuele: “Alzati, ungilo, perché è lui”.
Allora Samuele prese il corno dell’olio, e l’unse in mezzo ai suoi fratelli; e, da quel giorno in poi, lo spirito dell’Eterno investì Davide. E Samuele si alzò e se ne andò a Rama.” (1 Samuele 16:1-13)
Da questo episodio è possibile imparare un principio importante, ovvero che Dio non bada tanto all’aspetto esteriore delle persone, quanto più alle loro qualità interiori, al loro cuore.
Pur essendo il più piccolo dei Suoi fratelli, Dio sapeva che Davide era il più fedele, ed è grazie a questa fede che riuscì ad affrontare Golia e guadagnarsi il favore dell’Eterno.
Tuttavia, passò molto tempo prima che Davide potesse salire sul trono che gli spettava. Saul continuò a regnare senza la guida e l’aiuto di Dio, e tormentato da uno “spirito cattivo”.
Grazie alle sue doti caratteriali e musicali, Davide trovò favore agli occhi di Saul, il quale lo accolse presso di sé come scudiero e per avere l’animo sollevato dal suono dell’arpa. Anche in questo, ovviamente possiamo vedere la mano del Signore.
Lo scontro tra Davide e Golia
Come spesso accadeva, gli Israeliti si trovarono ad affrontare ancora una volta i Filistei. Saul affrontò i Filistei nella Valle di Elah, che si trova a sud-ovest di Gerusalemme e Betlemme.
Questi inviarono uno dei loro campioni, un certo Golia di Gat, definito un gigante, il quale sfidò chiunque avesse il coraggio tra gli Israeliti ad affrontarlo:
“Ora, dal campo dei Filistei uscì come campione un guerriero di nome Golia, di Gat, alto sei cubiti e un palmo.
Aveva in testa un elmo di rame, indossava una corazza a squame il cui peso era di cinquemila sicli di rame,
portava delle gambiere di rame e, sospeso dietro le spalle, un giavellotto di rame.
L’asta della sua lancia era come un subbio di tessitore; la punta della lancia pesava seicento sicli di ferro, e colui che portava il suo scudo lo precedeva.
Egli dunque si fermò; e, rivolto alle schiere d’Israele, gridò: “Perché uscite a schierarvi in battaglia: non sono io il Filisteo, e voi dei servi di Saul? Scegliete uno fra voi, e scenda contro di me (1 Samuele 17:4-8).”
A quei tempi il “campione” era “l’uomo che si impegna a risolvere le controversie tra due eserciti o nazioni”. Così i campioni risolvevano le dispute tra le parti contendenti con quella che veniva chiamata battaglia campale.
Per comprendere più chiaramente le misure di Golia, bisogna sapere che 6 cubiti coincidevano a circa 2 metri e mezzo, e che il peso dell’armatura fosse di circa 70 Kg. Non c’è da stupirsi se veniva considerato un gigante.
Le scritture ci dicono che Golia sfidò il popolo d’Israele ad affrontarlo per 40 giorni. 40 è un’espressione ebraica usata per esprimere un lungo lasso di tempo, quindi non sappiamo con esattezza se si trattasse effettivamente di 40 giorni.
Tuttavia, anche tra i più valorosi e abili combattenti, nessuno si fece avanti.
Davide, che nel frattempo era tornato a Bethlehem, venne inviato da suo padre al campo dove erano stanziati i suoi fratelli per portargli delle provviste. Quando seppe di quanto stesse accadendo si propose senza esitazione.
“Saul disse a Davide: “Tu non puoi andare a batterti con questo Filisteo; poiché tu non sei che un ragazzo, ed egli è un guerriero fin dalla sua giovinezza”.
E Davide rispose a Saul: “Il tuo servo pascolava il gregge di suo padre; e quando un leone o un orso veniva a portare via una pecora di mezzo al gregge,
io gli correvo dietro, lo colpivo, gli strappavo dalle fauci la preda; e se quello mi si rivoltava contro, io lo prendevo per le mascelle, lo ferivo e l’ammazzavo.
Sì, il tuo servo ha ucciso il leone e l’orso; e questo incirconciso Filisteo sarà come uno di quelli, perché ha coperto di obbrobrio le schiere dell’Iddio vivente”.
E Davide soggiunse:
“L’Eterno che mi liberò dalla zampa del leone e dalla zampa dell’orso, mi libererà anche dalla mano di questo Filisteo”. E Saul disse a Davide: “Va’, e l’Eterno sia con te” (1 Samuele 17:33-37).
Armato di fionda, 5 pietre ben lisce e tutta la fede che aveva, Davide riuscì a sconfiggere il gigante.
Come accade per ogni storia delle scritture, anche la storia di Davide e Golia, oltre che contenere fatti storici, contiene degli insegnamenti spirituali che possiamo imparare.
In qualche modo Davide rappresenta ognuno di noi contro le nostre sfide personali, di qualunque natura, e ci insegna che grazie alle nostre capacità, pur se limitate (come limitata poteva apparire una fionda), una fiducia assoluta in Dio e nel Suo incomparabile aiuto, possiamo superare anche le prove più difficili.
La fede di Davide scaturisce dalle sue esperienze pregresse. Lui era convinto che Dio lo avrebbe liberato dalle mani del Filisteo proprio come più volte lo aveva liberato dalle mani del leone e di altre bestie feroci.
Allo stesso modo, le nostre esperienze e testimonianze del passato possono aiutarci e darci la rassicurazione che riusciremo a superare anche le difficoltà del presente.
La vittoria di Davide contro Golia gli fece guadagnare gli onori del popolo e contestualmente la gelosia, e a poco a poco l’odio, di Saul, aggravate dal profondo affetto che invece Gionathan (suo figlio) provava per Davide.
La caduta di Davide
Dopo aver sposato la seconda figlia di Saul, quest’ultimo attentò più volte alla vita di Davide, cosa che lo costrinse a fuggire.
Quando i Filistei attaccarono nuovamente Israele, Davide si offrì di combattere e a questa si susseguirono altre battaglie che lo videro vincitore, ma fu solo con la morte di Saul e di Gionathan che poté effettivamente insediarsi sul trono, nella città di Hebron (vedere 2 Samuele 1-2).
Davide continuò a regnare per diversi anni con il favore di Dio e a sconfiggere molte delle popolazioni nemiche.
Nel capitolo 11 di 2 Samuele troviamo il resoconto dell’inizio della fine:
Ora avvenne che l’anno seguente, al tempo in cui i re sono soliti andare in guerra, Davide mandò Ioab con la sua gente e con tutto Israele a devastare il paese dei figli di Ammon e ad assediare Rabba; ma Davide rimase a Gerusalemme (2 Samuele 11:1).
Il primo errore che Davide commise fu quello di non trovarsi dove avrebbe dovuto trovarsi, ovvero in guerra, come era usanza per i re in quel periodo dell’anno, quindi non adempì al suo dovere.
La frase “Davide mandò Ioab” è indice del fatto che il re, ormai sedentario, lontano dal campo d’azione e dotato di una pericolosa quantità di tempo libero, viene visto operare costantemente attraverso l’intermediazione di altri, inviando messaggeri all’interno di Gerusalemme e nel territorio ammonita.
Lavorare attraverso intermediari, come la storia dimostrerà abbondantemente, crea un nuovo ordine di complicazioni e conseguenze impreviste.
La prima fra queste è che, non trovandosi nel luogo in cui era suo dovere stare, sul campo di battaglia e non a Gerusalemme dove invece rimase, Davide si trovò in un luogo in cui NON sarebbe dovuto stare: le terrazze del suo palazzo da cui potè scorgere Bathsheba.
“Una sera Davide, alzatosi dal suo letto, si mise a passeggiare sulla terrazza del palazzo reale; e dalla terrazza vide una donna che faceva il bagno; e la donna era bellissima” (2 Samuele 11:2).
A questo punto Davide avrebbe potuto voltarsi dall’altra parte (come fece Giuseppe d’Egitto con la moglie di Potifar) e recuperare ancora la situazione, prendendosi le proprie responsabilità di re e raggiungendo il campo di battaglia, ma purtroppo non lo fece.
L’espressione “dalle terrazze” indica che il palazzo era situato su un’altura, così Davide poté vedere dall’alto Bethsheba che faceva il bagno, presumibilmente sul tetto di casa sua.
Questa collocazione del palazzo spiega anche perché Davide disse ad Uria di “scendere” a casa sua. Più avanti nella storia, gli arcieri attaccano dall’alto delle mura della città; l’ebraico usa la stessa preposizione, me’al, per trasmettere il senso di “dall’alto”.
Le scritture continuano:
“Davide mandò ad informarsi chi fosse la donna; e gli fu detto: “È Bathsheba, figlia di Eliam, moglie di Uria, l’Ittita”.
E Davide inviò gente a prenderla; ed ella andò da lui, ed egli giacque con lei, che si era purificata della sua contaminazione; poi ella se ne tornò a casa sua.
La donna rimase incinta, e lo fece sapere a Davide, dicendo: “Sono incinta” (2 Samuele 11:3-5)
Nell’immaginario collettivo spesso Bethsheba viene percepita come una seduttrice e in parte colpevole dei peccati di Davide. In realtà, però, non è altro che una vittima della vicenda.
Ella infatti non si trovava nella posizione di sottrarsi alle richieste del re, il quale “inviò gente a prenderla”.
Inoltre, non c’è alcuna censura palese di Bethsheba in nessuna parte della narrazione. Proprio lei, tra le mogli di Davide, emerge come madre dell’erede della dinastia davidica, ovvero Salomone.
Sarebbe stato incoerente da parte dell’autore censurare severamente Davide e scagionare completamente la sua amante per lo stesso atto di adulterio.
Nonostante il peccato di adulterio commesso da Davide fosse molto grave, anche in questo caso avrebbe potuto ancora rimediare e pentirsi. Purtroppo fu preso più dalla paura per le conseguenze terrene dell’uomo che da quella per le conseguenze eterne di Dio, cosa che gli fece oltrepassare il punto di non ritorno.
Nel tentativo di coprire i suoi misfatti Davide convocò Uria dal campo di battaglia e lo invitò a tornare a casa sua e riposarsi con sua moglie, in modo da attribuire la gravidanza di Bethsheba al marito.
Quando questi si rifiutò per rispetto ai suoi compagni che si trovavano a dormire in delle tende nel campo di battaglia, Davide diede ordine che fosse posto tra le prime file dell’esercito e lasciato solo, mandandolo a morte sicura.
Non soltanto Davide aveva peccato nei confronti della virtù di una povera donna, ma si era macchiato le mani del sangue di un uomo innocente, commettendo un peccato cui non poteva esservi rimedio.
Nel tentativo di coprire le conseguenze di un peccato grave ne aveva commesso uno imperdonabile.
Il Signore inviò il profeta Natan a rimproverare Davide. Questi gli raccontò la storia di un uomo molto ricco che per sfamare i suoi ospiti aveva sacrificato l’unica agnella di un pover’uomo.
A quel punto Davide si infuriò, ma quando il profeta gli fece capire che quell’uomo ricco era lui, fu riempito di amarezza.
Davide si pentì sinceramente, ma poiché non poteva rimediare alla morte dell’uomo fu perdonato da Dio solo in una certa misura (vedere 2 Samuele 12).
Dio mantenne le Sue promesse di dare continuità alla sua dinastia e di costruire il tempio mediante suo figlio Salomone. Dal casato di Davide discese il Salvatore.
Ma Davide perse la promessa di una gloria celesta ed eterna per sempre e dovette pagare tramite le sofferenza della propria anima per le sue colpe.
Da questa storia impariamo numerosi insegnamenti.
Innanzitutto, che un peccato minore può portarci a commetterne uno dalle conseguenze molto più serie se non stiamo attenti e ci pentiamo, e che anche coloro che sono spiritualmente più forti e più fedeli possono cadere se non prestano attenzione e temono l’uomo più di Dio.
E noi, quale Davide vogliamo essere? Quello che sconfisse Golia o quello che temette l’uomo più di Dio?
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