Diversi anni fa, una scuola cristiana privata mi chiese di tenere alcuni seminari sul libro di Giobbe nella loro facoltà.
Chiamai il mio amico e mentore, il dottor Robert L. Millet, e gli chiesi: “Qual è il nostro miglior libro su Giobbe?”. Speravo che una delle facoltà di Educazione Religiosa della BYU ne avesse scritto uno.
Fratello Millet mi rispose: “Non ne abbiamo. Leggi ‘La Bibbia che Gesù leggeva’ di Philip Yancey.
È un ottimo autore cristiano ed è editore della rivista Christianity Today”. Sono contento di aver seguito il suo suggerimento.
Drammi nella vita reale
Un tempo, Philip Yancey scriveva una rubrica per la rivista Reader’s Digest, intitolata “Drammi della vita reale”.
Raccontava storie di corridori che avevano incontrato orsi, escursionisti che erano rimasti bloccati nella natura selvaggia o persone comuni che si erano ritrovate improvvisamente nel mezzo di un disastro naturale.
Philip Yancey intervistava questi sopravvissuti e scriveva le loro storie. Da cristiano, aveva osservato:
“Ogni singola persona che ho intervistato mi ha detto che la tragedia che aveva vissuto l’aveva spinta contro un muro nel rapporto con Dio.
Purtroppo, ognuna di esse ha anche lanciato un’accusa devastante nei confronti della Chiesa: mi hanno detto che proprio i cristiani non hanno fatto che peggiorare le cose.
Uno per uno, coloro che hanno visitato le loro stanze d’ospedale hanno riportato teorie non proprio adorabili:
‘Dio ti sta punendo’, ‘No, non Dio, è Satana!’, ‘No, è Dio che ti ha scelto per dargli gloria’, ‘Non è né Dio né Satana, ti è semplicemente capitato di intralciare una mamma orsa arrabbiata’.
Come mi ha detto un sopravvissuto: ‘Le teorie sul mio dolore mi hanno confuso di più e nessuna di esse mi ha aiutato.
Da Dio e dal popolo di Dio, cercavo soprattutto rassicurazione e conforto. In quasi tutti i casi, i cristiani hanno portato ulteriore dolore e poco conforto’”.
Dio non è un Dio di spiegazioni!
Forse siamo tutti colpevoli quando cerchiamo di speculare sul motivo per cui altri subiscono certe prove o vengono colpiti da una morte prematura:
“Immagino che Dio avesse bisogno di loro, ora”. Peggio ancora, potremmo esprimere un giudizio:
“Magari non avrebbero dovuto essere lì” o “Se avessero vissuto il Vangelo, questo non sarebbe accaduto”.
In breve, stiamo cedendo alla nostra naturale tendenza a cercare di dare un senso a qualcosa che non ha senso.
Nel corso degli anni ho imparato che, per quanto mi piacerebbe che fosse così, Dio non è sempre un Dio di spiegazioni.
Non lo è, semplicemente. Almeno non in questa vita. Come ha insegnato sorella Sheri Dew:
“Sebbene il Signore ci rivelerà molte cose, non ha mai spiegato ogni aspetto di ogni cosa al Suo popolo dell’alleanza. Siamo esortati a ‘non dubitare, ma a credere’”.
Il libro di Giobbe è il posto perfetto dove cercare per imparare qualcosa su qualcuno che è stato sommerso di problemi i quali, semplicemente, non avevano senso.
Il libro di Giobbe
Giobbe è un libro di 42 capitoli, ma tutte le cose brutte che gli accadono vengono descritte in soli sei versetti.
Arriva un messaggero che porta cattive notizie e, prima che possa finire di parlare, un altro messaggero irrompe nel portare altre cattive notizie e poi un altro e un altro ancora!
“I buoi stavano arando e le asine pascevano lì appresso, quand’ecco che i Sabei sono piombati loro addosso e li hanno portati via; hanno passato a fil di spada i servitori, e io solo sono potuto scampare per venire a dirtelo”.
Quello parlava ancora, quando ne giunse un altro a dire:
“Il fuoco di Dio è caduto dal cielo, ha colpito le pecore e i servitori, e li ha divorati; e io solo sono potuto scampare per venire a dirtelo”.
Quello parlava ancora, quando ne giunse un altro a dire:
“I Caldei hanno formato tre bande, si sono gettati sui cammelli e li hanno portati via; hanno passato a fil di spada i servitori, e io solo sono potuto scampare per venire a dirtelo”.
Quello parlava ancora quando ne giunse un altro a dire:
“I tuoi figli e le tue figlie mangiavano e bevevano del vino in casa del loro fratello maggiore; ed ecco che un gran vento, venuto dall’altra parte del deserto, ha investito i quattro canti della casa, che è caduta sui giovani; ed essi sono morti; e io solo sono potuto scampare per venire a dirtelo” (Giobbe 1:14–19).
Il libro di Giobbe inizia dicendo che egli era “perfetto e retto” e che “temeva Dio ed evitava il male”.
Questi sono aggettivi piuttosto buoni: non molte persone nelle Scritture sono descritte in questo modo. In altre parole, quello che è successo a Giobbe non aveva senso.
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La risposta di Giobbe a tutte le sue disgrazie è una delle frasi più citate nell’Antico Testamento:
“Nudo sono uscito dal grembo di mia madre, e nudo tornerò nel grembo della terra; l’Eterno ha dato, l’Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell’Eterno” (Giobbe 1:21).
Dare un senso a quello che accade
Le tragedie spesso accadono in un istante. Poi trascorriamo una vita cercando di affrontarle e capirle.
Quello che succede a Giobbe avviene nei primi due capitoli. I successivi trentacinque riguardano Giobbe ed i suoi amici che cercano di dare un senso a tutto questo.
Nei capitoli conclusivi di Giobbe, il Signore finalmente parla, rimproverando tutti per il loro ragionamento errato.
All’inizio, gli amici di Giobbe siedono con lui. Nessuna parola, nessun discorso: si limitano a dare Giobbe il conforto della loro compagnia.
Adoro quella parte. Poi, le cose peggiorano. Col passare del tempo, gli amici di Giobbe cercano di spiegare perché Giobbe soffra.
In altre parole, cercarono forzatamente di dare un senso alle cose accadute, affinché abbiano un senso almeno nella loro testa, con la loro comprensione limitata e mortale, con risultati disastrosi.
Traggono false conclusioni che causano a Giobbe ancora più dolore ed angoscia e ci danno quaranta capitoli in più da leggere nell’Antico Testamento.
Il libro di Giobbe ci obbliga anche a porci alcune domande profonde e difficili su noi stessi: perché amiamo il Signore?
Bene, è ovvio! Per tutto quello che ha fatto per noi.
In quasi ogni riunione di testimonianza esprimiamo gratitudine a Dio e dovremmo farlo, in effetti!
Intoniamo inni sulla bontà di Dio e su come Egli ci benedica, mentre contiamo le nostre benedizioni “una per una”.
Cantiamo “per la bellezza della terra” e “lodiamo Dio, dal quale scaturiscono tutte le benedizioni”.
Amiamo Dio solo per quello che ci ha dato?
Ma la storia di Giobbe arresta il nostro cammino quando ci chiede: “Amiamo Dio solo per quello che ci ha dato?”.
Lo amiamo, certo. Amo Dio perché è stato buono con me. Ma lo ameremmo comunque se non fosse buono con noi?
Lo ameremmo se ci portasse via tutto, compresi i nostri beni, la nostra famiglia e la nostra salute?
Potremmo ancora cantare “poiché io molto ho avuto, molto ridarò”, se Lui ci avesse tolto tutto senza un motivo che potesse spiegare quello che ci succede?
Potremmo ancora amare Dio se la nostra sofferenza non avesse senso?
La risposta di Giobbe alla propria sofferenza ci ha fornito alcuni dei versi più famosi e citabili di tutto l’Antico Testamento:
Giobbe 1:21: “L’Eterno ha dato, l’Eterno ha tolto; sia benedetto il nome dell’Eterno”.
Giobbe 2:10: “Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremmo di accettare il male?”
Giobbe 13:15: “Ecco, mi uccida pure; io spererò in lui”.
Giobbe 14:1: “L’uomo, nato di donna, vive pochi giorni, e sazio d’affanni”.
Giobbe 19:25–26: “Ma io so che il mio redentore vive, e che alla fine si leverà sulla polvere. E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Dio”.
Le prove richiedono una profonda sottomissione
Mentre leggiamo il libro di Giobbe, prevediamo che alla fine tutto avrà un senso, ma non è così.
Quando il Signore finalmente parla, non risponde a nessuna delle domande di Giobbe. Chiede semplicemente:
“Eri lì quando ho creato tutto?” e ricorda a Giobbe la Sua potenza, saggezza e grandezza.
Non ha mai detto a Giobbe, e non ha mai detto a noi, lettori della storia, perché è successo tutto. Non è un Dio di spiegazioni.
Cercando una nota più positiva, è interessante che Dio abbia ricordato a Giobbe che nel mondo preterreno gridavamo di gioia alla prospettiva di entrare in questo mondo di prove, anche quelle che non potevamo spiegare.
L’anziano Neal A. Maxwell ha osservato:
“Mentre la maggior parte delle nostre sofferenze è autoinflitta, alcune sono causate o permesse da Dio.
Questa realtà che fa riflettere richiede una profonda sottomissione, specialmente quando Dio non rimuove il calice da noi.
In tali circostanze, quando ci viene in mente il grido di gioia preterreno, mentre si dispiegava il piano di questa vita, possiamo forse essere perdonati se, in alcuni momenti, ci chiediamo per che cosa poi stessimo effettivamente gridando”.
Dio risponde ad ognuno dei Suoi figli
Sì, il messaggio positivo di Giobbe è che Dio risponde.
Non spiega tutto, ma il fatto che gli abbia risposto mostra che era consapevole di Giobbe, consapevole della sua sofferenza e consapevole delle sue lotte per dare un senso a tutto, dimostrando che Dio non è un padre disinteressato o assente.
Non ha creato il mondo come quando si carica un orologio, lo si posa e, poi, ci si allontana, poco interessati a quello che succede, con poca cura o preoccupazione. Ha ascoltato Giobbe e ascolterà noi.
Alla fine, Giobbe ha ricevuto due volte tanto di ciò che gli era stato tolto. Ha recuperato la sua salute e ha avuto nuove relazioni familiari amorevoli.
E, come crediamo, si riunirà nella prossima vita con la sua precedente famiglia. È interessante notare, tuttavia, che il Signore non gli abbia mai spiegato il perché di quanto accaduto.
Questo tipo di risposte tarda ad arrivare. Ma abbiamo comunque un punto di partenza: Dio è consapevole di noi e sa cosa stiamo passando.
Ed è davvero un buon punto di partenza, quando la vita non ha senso.
Questo articolo è stato originariamente scritto da John Bytheway ed è stato pubblicato su ldsliving.com, intitolato John Bytheway: God is not a God of explanations—lessons from Job. Italiano ©2020 LDS Living, A Division of Deseret Book Company | English ©2022 LDS Living, A Division of Deseret Book Company
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