Per quanto sia comune sentir parlare di “la mia verità”, “la tua verità”, “la sua verità” e, persino, “nessuna verità”, vale la pena chiedersi: “C’è qualcosa di vero in realtà?”
Proveremo a convincervi che non c’è, affermando che una ricerca condivisa della verità (modellata dalle nostre percezioni uniche sì, ma non completamente vincolata ad esse) è l’unica cosa che rende la conversazione veramente significativa.
Se partecipiamo ad una conversazione presumendo che la verità stessa sia comune ad entrambi, ma riconoscendo che non la vediamo allo stesso modo, allora possiamo almeno iniziare a confrontare e contrastare le nostre percezioni della realtà per vagliare il vero frumento dalla fastidiosa pula (esagerazioni, omissioni, errori, bugie, notizie false, ecc…).
“Verità.”
Come reagite quando sentite qualcuno usare questa parola? Quali pensieri vi vengono alla mente? Come vi sentite? La “verità” (o comunque la definiate) è qualcosa che desiderate? Per cui sentite disperazione? Paura? Ripudio?
Qualcosa che preferite ignorare? Che valutate irrilevante? Un ostacolo alla pace? Che considerate irraggiungibile o addirittura inesistente? (Per favore, prendetevi un momento, ora, per riflettere.)
È interessante notare che, oggigiorno, le persone potrebbero spendere più tempo ed energia a giudicare le opinioni reciproche come “amorevoli” o “odiose”, “ignoranti” o “illuminate”, “bigotte” o “tolleranti”, “oltraggiose” o “esatte”, “scientifiche” o “antiscientifiche”, piuttosto che considerare semplicemente se le nostre opinioni sono vere o meno.
In altre parole, quando interagiamo con l’affermazione o l’opinione di qualcuno (soprattutto un’opinione che non ci piace), raramente ci limitiamo a chiederci: “È vero?”
Per secoli, i filosofi hanno contestato i punti più delicati della parola “verità”. In questo saggio, tuttavia, per “verità” si intende semplicemente “la realtà” o “ciò che è vero”; e per “vero” intendiamo semplicemente “preciso”, “reale”.
Potrebbe sembrare che stiamo facendo tante storie per qualcosa di piuttosto ovvio ma, in effetti, nel mondo di oggi, le parole “verità” e “vero” sono spesso usate come arma, oscurando così la semplicità del loro significato essenziale di buon senso ed il loro potenziale per unire le persone nella ricerca comune di ciò che è vero.
Per quanto il nostro istinto di verità (o menzogna) possa sbagliarsi, e per quanto possa essere criticato da una prospettiva filosofica, vogliamo convincervi che la ricerca della verità è una guida ed un obiettivo indispensabile nelle conversazioni con gli altri.
Infatti, alla fine, vogliamo convincervi che ricercare non solo la verità, ma l’intera verità, è l’unica base su cui possono tenersi conversazioni su temi importanti ed è l’unica struttura all’interno della quale possono essere perseguite le possibilità di una convivenza pacifica duratura.
In questo contesto, vogliamo convincervi con ciò che segue che è più saggio affrontare ogni opinione che incontriamo nel mondo con una domanda centrale: “È vero?”
Vogliamo portarvi a considerare come secondarie, rispetto alla domanda principale sulla veridicità, tutte le altre domande poste in merito ad un’opinione (“è amorevole?”, “è scientifico?”, “è politicamente corretto?”).
Sebbene questa attenzione sulla verità possa sembrare piuttosto severa o austera o, addirittura, fanatica, vogliamo anche convincervi che, alla fine, è probabilmente l’approccio più amorevole e più di sostegno alla vita da adottare nei nostri incontri con altri cuori, menti ed anime.
A volte sentiamo le persone dire che tutti hanno “diritto ad una propria opinione”. Questo è vero. Ma se lo riduciamo a questo, e non interagiamo (e forse, perfino sfidiamo) con quelle opinioni, non ci stiamo in realtà dicendo a vicenda che non vale davvero la pena discutere (o lottare) su alcune delle nostre convinzioni più importanti?
Se non siamo disposti a sfidare le credenze reciproche, non ci stiamo dicendo a vicenda che non ci fidiamo abbastanza di noi stessi e degli altri da essere disposti a vedere in che modo le nostre opinioni sulla realtà si sovrappongono alla realtà stessa?
D’altra parte, se affrontiamo le opinioni dell’altro con la domanda: “È vero?” e poi proviamo a rispondere a questa domanda… in una conversazione… insieme… stiamo iniziando a prendere in considerazione l’altro seriamente.
E stiamo iniziando ad usare la comunicazione (nella maggior parte dei casi) per il suo scopo primario: cercare insieme tutta la verità.
Questo non vuol dire che la “verità” dovrebbe essere il punto centrale di ogni conversazione o incontro di anime. A volte, vogliamo solo divertirci, o consolare, o interagire a livello sociale.
Ma in tutte le conversazioni su temi importanti (clima, matrimonio, guerra e pace, democrazia, salute, ecc…), sì, vogliamo convincervi che ricercare la verità – l’intera verità – insieme, è la via.
I molti strani dibattiti sulla verità
Stranamente, nel mondo polarizzato di oggi, la parola “verità” provoca spesso una reazione a catena di sfiducia reciproca ed incomprensione.
La sinistra secolare (in generale) tende ad andare in modalità “analitica” quando sente pronunciare la parola “verità” da un conservatore religioso (es: “la verità è che la salvezza può essere trovata solo tramite Gesù”), e le persone inclini a seguire la sinistra finiscono per sembrare così “relativiste” alle persone di destra.
Tuttavia, se la questione cambia e l’argomento della conversazione diventa, per esempio, “i cambiamenti climatici causati dall’uomo”, i ruoli si invertono e le persone della sinistra che “credono nel clima” diventano i sostenitori della verità sul cambiamento climatico e accusano gli “scettici climatici” di destra di essere “rinnegatori della scienza” e di dire “bugie”, mentre gli scettici di destra (e alcuni della sinistra) analizzano e mettono in discussione qualsiasi consenso scientifico “arrogante che sarà presto sfatato”.
Ciò che manca in questa sorta di tira e molla è il fatto che entrambe le parti stanno rivendicando la verità . . . cioè, entrambe le parti stanno dicendo che “la realtà è questa e quell’altra”. Allora perché non impegnarsi a quel livello?
Perchè non dire: “Non credo sia vero che la salvezza si trova solo in Gesù perché…”, oppure: “Non credo che il cambiamento climatico sia reale perché…”, o ancora: “Non credo che Marx mirasse alla libertà personale perché disse…”.
Con le motivazioni introdotte dalla parola “perché” ci sono (forse) alcune cose che possono essere effettivamente discusse o prese in considerazione, insieme. Ma le accuse di “bigottismo religioso”, se semplicemente lasciate lì senza dare ulteriori spiegazioni, creano le condizioni psicologiche che annullano qualsiasi conversazione reale (a parte su chi sia il più grande bigotto o bugiardo, ecc…).
Se un cristiano conservatore è accusato di essere “non amorevole” perché crede che gli insegnamenti della sua fede sulla sessualità LGBTQ+ siano veri, dove potrà mai arrivare questa conversazione?
Tuttavia, se coinvolgiamo lo stesso individuo dicendo: “Le tue convinzioni in questione non sono vere perché”… allora, con quella semplice parola – “perché”- mostriamo rispetto, prendendo abbastanza sul serio la sua pretesa di verità, per fornire le nostre ragioni per cui essere in disaccordo.
Questo lascia spazio ad una conversazione di reciproca influenza e ad un dialogo onesto su ciò che è, o non è, in realtà, vero, piuttosto che ad un dibattito difensivo chiuso o, peggio, uno spettacolo di reciproca recriminazione di malafede.
Invece di approcciarsi in questo modo, troppo spesso le persone prendono parte a strani dibattiti infruttuosi, poiché una o più parti coinvolte sostengono che la verità o è inconoscibile o è completamente e irrimediabilmente soggettiva, insistendo essenzialmente sul fatto che “la mia verità” e “la tua verità” esistono in mondi completamente diversi e i due non sono mai destinati ad incontrarsi.
Ancora più strano è che molte persone prendono parte a ferventi argomentazioni su ciò che sta “realmente” accadendo anche se negano con forza l’esistenza di qualsiasi verità conoscibile.
Per chi tra di voi è incline al relativismo, sicuramente potete prender parte ad una conversazione filosofica sulla ‘verità’ se volete, ma se avete intenzione di prender parte ad una conversazione su qualsiasi altro argomento esistente, dovete iniziare con l’istinto di verità e quella verità deve essere lo scopo.
Perché altrimenti . . . se volete provare a convincere qualcuno che il cambiamento climatico è reale (o che non lo è) eppure allo stesso tempo . . . insistere che “non c’è verità” . . . beh, perché qualcuno dovrebbe essere interessato a parlare con voi? Su cosa state cercando di convincere l’interlocutore se non c’è verità? Perché avere una conversazione tanto per cominciare?
D’altro canto, per le persone più inclini all’assolutismo, se volete provare a convincere qualcuno del fatto che già conoscete la verità – magari perfino tutta la verità – su qualsiasi tema di discussione, forse la vostra persuasività aumenterebbe se prendeste in considerazione la verità che l’argomento in discussione potrebbe apparire molto diverso quando ci si mette nei panni dell’altra persona.
La verità sulla nostra limitata comprensione delle verità
Naturalmente, riconosciamo che può essere difficile scoprire o determinare la verità su molte cose (soprattutto cose complesse come la sessualità, l’economia, il clima o persino noi stessi!).
Riconosciamo che la nostra capacità cognitiva limitata ci obbliga ad avere a che fare con una conoscenza incerta e verità parziali, lasciando “l’intera” verità della questione (a volte) al di fuori della nostra portata.
Inoltre, come persone, ognuno di noi è ad un punto diverso della vita, ognuno con una storia personale e familiare diversa, uno status socio-economico differente, ecc…
Tutte queste differenze, stranezze ed unicità imprimono inevitabilmente la loro impronta “prospettica” su ognuno di noi. Una sorta di “relativismo” (per così dire) è quindi inevitabilmente in gioco ogni volta che cerchiamo la verità insieme.
Le nostre posizioni “relative” tra loro e “relative” al mondo in generale influenzano ciò che ci sembra vero. Il cliché ‘abbiamo diversi punti di vista’ è ben giustificato: anche i gemelli della stessa famiglia hanno spesso prospettive diverse!
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Detto questo, tuttavia, affermeremmo che la verità stessa – la realtà stessa – non è relativa ad un punto di vista. Solo le nostre esperienze della verità, le nostre comprensioni della verità, le nostre espressioni della verità, e le nostre opinioni della verità possono variare “relativamente” alla nostra posizione personale nel mondo.
Si notiamo anche il tipo di “relativismo” che stiamo riconoscendo include affermazioni serie cu ciò che, in effetti, è vero. Cioè, stiamo dicendo che è vero che la verità può essere difficile da discernere.
Stiamo dicendo che è vero che le opinioni sulla verità possono variare. Stiamo dicendo che è vero che tutta la verità è inafferrabile. In altre parole, il “contestualismo” o “relativismo” (se non portato troppo lontano come spiegheremo) è reale e quindi parte di tutta la verità.
Infatti, è una verità importante (un fatto importante, una realtà importante) che molteplici prospettive siano utili per descrivere ciò che sta realmente accadendo nel mondo (ed in noi stessi).
La ricerca di tutta la verità su qualsiasi argomento è (e per natura deve essere) un’impresa collettiva di esperienze individuali condivise.
Senza questo, la nostra ricerca collettiva ed individuale di tutta la verità può trasformarsi in un pregiudizio chiuso, in fanatismo, bigottismo, o solitudine cinica che rifiuta la possibilità di una qualsiasi comprensione umana comune della verità o della realtà.
Avendo riconosciuto la sostanziale influenza del contesto e dell’esperienza personale su tutte le nostre prospettive riguardo alla verità, non dovremmo, quindi, commettere l’errore opposto e andare troppo lontano nella direzione che porta a dubitare della conoscibilità della realtà, o sopravvalutare la difficoltà di discernere la verità stessa o di trovare un accordo su ciò che pensiamo possa essere la verità (o qualsiasi altra cosa che potremmo star discutendo).
Le basi per una conversazione significativa
In un senso più ampio, noi umani scopriamo di poter conoscere abbastanza della verità – abbastanza della realtà – per raggiungere i nostri scopi in un mondo reale ordinato.
Mettiamo alla prova la nostra conoscenza della realtà in gran parte comunicando l’uno con l’altro. Pertanto, conversazioni reciprocamente interessanti con gli altri sono fondamentali per espandere la nostra conoscenza della verità – del mondo reale – che sarà di beneficio per la nostra vita.
Quindi, quando pensiamo o diciamo qualcosa che è vero, ci stiamo esponendo e facendo una “rivendicazione della verità”, un’affermazione secondo cui conosciamo la realtà (o parte di essa).
Quando diciamo onestamente che vogliamo la verità, ammettiamo che ci manca una completa comprensione della verità e desideriamo quindi una conoscenza più comprensibile e accurata della verità.
Prima di tutto, quindi, nonostante il fatto – nonostante la verità – che la nostra comprensione individuale della realtà possa differire, sosteniamo che l’idea che la verità stessa esista come qualcosa in comune per tutte le persone fornisca l’unica base sulla quale le conversazioni possano andare avanti.
In altre parole, la verità stessa – il mondo reale (o la realtà o comunque la vogliate chiamare) – non può essere diversa per persone diverse. Le nostre opinioni, i nostri punti di vista e i nostri discorsi sulla verità possono variare, ma non la verità – non la realtà – stessa.
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Questo è il caso se la verità in questione è la verità su qualcosa di così complesso e oggettivo come il clima, o la verità su cose più soggettive (anche se non necessariamente meno complesse), come i pensieri, i sentimenti e le parole degli altri:
“No, in realtà non penso X, ma piuttosto Y”; “Sì, è proprio quello che intendevo!”; “Quindi, non senti Q, ma S?”; “Non ha detto le parole ABC, ha detto QRT”; “Abbiamo detto V, ma intendevamo TRS”; “Puoi aiutarmi a capire cosa provi davvero?”… eccetera.
Se la verità non fosse veramente comune per tutte le persone, le nostre opinioni sulla verità si allontanerebbero semplicemente l’una dall’altra, senza essere legate ad alcune realtà verificabile.
Non ci sarebbe niente – nessuna realtà comune – su cui far convergere le nostre diverse opinioni. Forse anche più pericolosamente, non avremmo modo di scoprire quando abbiamo torto… quando abbiamo sbagliato… quando siamo nell’errore.
Questo riporta alla mente una nuova interpretazione della parabola dei ciechi e dell’elefante (“cieco” come i loro punti di vista individuali limitati) nella loro esperienza con l’elefante (la realtà).
Ogni uomo ha un’opinione differente “sull’elefante”: uno pensa che sia duro ed affilato (come la zanna che tiene in mano), e un altro (che tiene la zampa) pensa che l’elefante sia “davvero” più simile ad una specie di tronco d’albero gommoso (e in movimento!)… e così via.
Ognuno di questi uomini ciechi ha, ovviamente in parte, ragione. Tuttavia, ognuno di loro sbaglierebbe ad affermare di conoscere tutta la verità sull’elefante.
Potremmo aggiungere alla storia un altro uomo cieco che si ritrova ad abbracciare un albero lì vicino, ma che pensa di star abbracciando l’elefante e quindi afferma che l’elefante è davvero molto simile ad un albero . . . duro, cilindrico, ma per niente “gommoso” (o in movimento), come immaginano i suoi vicini “ignoranti”.
Questo povero illuso ha in parte ragione, ma solo per caso (poiché l’elefante ha degli arti “cilindrici”). Il pover’uomo non si rende nemmeno conto di abbracciare un albero.
In altre parole, potrebbe esserci una gamma – una gamma piuttosto ampia – di comprensioni della realtà: da “in gran parte vero” a “in parte vero” a “delirante”.
Ma, escludendo la rivelazione diretta di un terzo che in realtà “vede” (un dio, un profeta, un guru, ecc…), per le persone normali c’è solo una via d’uscita dall’ignoranza della loro cecità comune (le loro prospettive individuali limitate) imposta loro: la comunicazione. Tutta la comunicazione alla ricerca della verità.
Non c’è niente che sia “la tua” o “la mia” verità.
In altre parole, diremmo che non esistono cose come “la mia” verità o “la tua” verità” – “la mia” realtà o “la tua” realtà – almeno non in alcun senso letterale. “Ciò che è”, semplicemente è. La realtà è realtà.
Ancora una volta, questo non vuole negare il modo sostanziale in cui le nostre esperienze della realtà sono modellate e parzialmente create dai nostri vari quadri interpretativi.
Infatti, anche questo è vero. Ma anche se la verità fosse che tutti noi creiamo i nostri mondi completamente separati, ciascuno con le sue leggi della natura, le sue proprietà, la sua “realtà”, allora quella sarebbe la verità.
La prossima volta che qualcuno sembri mettere seriamente in discussione la realtà del mondo, o l’esistenza della verità, provate semplicemente ad avvicinarvi e pizzicarli – pizzicateli forte – e poi, quando si agitano, chiedete loro perché dovrebbero reagire così per qualcosa che non esiste.
O, meglio ancora, mentitegli e ditegli che non li avete pizzicati davvero. Lasciate che provino a sfidare la vostra bugia senza usare la parola “vero” o “reale”.
In altre parole, arriva un punto in cui la semplice speculazione deve essere abbandonata e le realtà che ci colpiscono – pizzicandoci perfino! – devono essere affrontate.
Cercare insieme tutta la verità quale opera primaria della vita pubblica.
Questa non è una semplice differenza semantica. Ha profonde conseguenze sul modo in cui interagiamo l’uno con l’altro.
Se partecipiamo ad una conversazione presumendo che la verità sia comune per entrambi, pur riconoscendo che non la vediamo allo stesso modo, allora possiamo almeno iniziare a paragonare e contrastare le nostre percezioni della realtà al fine di scindere la verità dall’errore.
Per questo motivo, concentrarsi sulla ricerca condivisa di tutta la verità è il modo migliore per superare i punti morti polarizzati ed improduttivi.
Quale progetto più utile e produttivo possiamo immaginare di quello di cercare, insieme, “ciò che è” e chi siamo veramente (e ciò che realmente vogliamo, ciò di cui abbiamo bisogno e che dovremmo fare)?
Questo non vuol dire che vogliamo o abbiamo bisogno tutti delle stesse cose. Infatti, la verità può essere che vogliamo cosa diverse ed incompatibili . . . o che SIAMO esseri incompatibili (lupi e pecore; leoni e gazzelle).
Anche così, se si scopre che la verità è che, sulla questione X, vogliamo cose completamente diverse ed incompatibili, almeno conosceremo entrambi questa verità ed avremo questa conoscenza in comune.
Questo e molti altri tipi di disaccordi potrebbero essere molto più reciprocamente tollerati se potessimo mantenere l’obiettivo condiviso di ricercare la verità insieme come una sorta di quadro o “accordo di conversazione” in cui analizzare la questione.
Ad esempio, un “sostenitore” del cambiamento climatico potrebbe accusare uno “scettico” del cambiamento climatico di essere “pazzo”, o “ingannatore”, o “egoista”, o “stupido”, e viceversa.
Eppure, immaginate se, invece, entrambi dicessero semplicemente: “Non credo che la tua posizione e la tua comprensione sul clima sia vera perché . . .” e poi procedessero semplicemente ad esporre le ragioni del disaccordo. In che modo potrebbe cambiare la conversazione?
Per prima cosa, l’attenzione verrebbe distaccata dalle persone e dai loro sentimenti e giudizi inquieti reciproci, e verrebbe invece posta su qualcosa che presumibilmente hanno in comune: non solo la verità (realtà) stessa, ma il desiderio (e la necessità) di conoscere la verità sulla situazione.
Potrebbero non essere d’accordo su quale sia quella verità, ma concordano sul fatto che esiste e che devono conoscerla.
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Avere questa “terza parte” in gioco – il bisogno condiviso della verità – può fornire una sorta di sostegno, o una sorta di spazio, all’interno del quale le persone attualmente in conflitto tra loro possono trovare uno scopo comune, qualcosa su cui possono immaginare di collaborare: vale a dire, la ricerca di una comprensione più accurata o più completa della realtà, del modo in cui le cose sono realmente, e persino una comprensione reciproca più veritiera di se stessi e dei propri punti di vista diversi. . . ad esempio, la ricerca di una comprensione più completa di tutta la verità sul mondo, su noi stessi e gli altri.
Data la complessità di molte delle questioni che ci si presentano, ovviamente è improbabile che le nostre opinioni alla fine convergano sempre su una comprensione condivisa della realtà. Le nostre opinioni sulla realtà – le nostre opinioni sulla verità – potrebbero non riconciliarsi mai.
Sembra probabile che, almeno, le possibilità di basare la nostra decisione collettiva finale su una comprensione più accurata della realtà aumenteranno se le conversazioni che abbiamo siano, in effetti, focalizzate sull’aiuto reciproco per ottenere una comprensione più veritiera.
E, sicuramente, questa è una buona cosa. Meglio ancora, sicuramente, sarebbe stabilire leggi sul matrimonio o sui cambiamenti climatici o su pistole o vaccinazioni basate sulla verità (nel modo più chiaro e accurato possibile), piuttosto che su incomprensioni della realtà.
Ancora una volta, anche se alla fine potremmo non essere d’accordo su quale sia quella verità, le possibilità di chiunque individualmente e di tutti noi collettivamente, di giungere ad una migliore comprensione della verità effettiva della questione sembrano aumentare se prendiamo parte a conversazioni in cui la ricerca della verità è consapevolmente il nostro obiettivo condiviso.
Ad veritatem, non ad hominem (Per la verità, non per l’altro)
C’è un altro importante vantaggio nello spostare la nostra attenzione lontano dai nostri sentimenti e giudizi inquieti l’uno verso l’altro (ad hominem) verso la ricerca condivisa di tutta la verità (ad veritatem). Potrebbe effettivamente aiutarci a rivalutare quei sentimenti e giudizi negativi.
Ad esempio, il dibattito sui diritti degli omosessuali contro la religione conservativa è spesso inquadrato in base al fatto che una particolare convinzione o proposta politica o intenzione personale sia “amorevole” o meno.
Ma come possiamo determinare se qualcosa è “amorevole” o no (o “buono” o no) a parte la questione se sia vero o meno?
Presumibilmente, qualsiasi opinione che riteniamo degna di censura non può essere considerata vera, giusto?
Diciamo che un cristiano evangelico conservatore crede che i gay, in realtà, in effetti in verità, dovranno affrontare le conseguenze eterne negative a meno che non cambino il loro orientamento sessuale o a meno che si astengano dall’agire in base ad esso, allora non è “amorevole” avvertire gli omosessuali di un pericolo che credono essere reale?
Allo stesso modo, se un attivista per i diritti degli omosessuali crede davvero che le credenze cristiane conservatrici sull’omosessualità siano sia false e dannose, allora non è combattere quelle credenze, in realtà, la cosa “amorevole” da fare?
In altre parole: se le persone agiscono in buona fede sulla base di ciò che credono essere vero, eppure le loro credenze di ciò che è vero differiscono notevolmente, allora anche il modo in cui dimostrano “amore” potrebbe differire notevolmente.
Per rendere il dibattito su quale parte sia, in effetti, “amorevole” (o quale parte sia “buona” o “cattiva”) manca il dissenso di base e la questione centrale: la differenza nella verità afferma essere fondamentali i diversi modi in cui esprimono il loro amore.
Cosa accadrebbe se volessimo volgere la conversazione ad esaminare esperienze, storie e fatti principalmente in termini di se quelle esperienze riflettano o meno l’effettiva realtà, se quelle storie sono veritiere o meno e se quei fatti sono interpretati o meno in modo veritiero ?
Come potrebbe cambiare la conversazione se si spostasse su una partecipazione più diretta al livello di tali affermazioni di verità?
Per prima cosa, entrambe le parti potrebbero sentirsi più rispettate e ascoltate, potrebbero non essere d’accordo, ma sentite per le effettive affermazioni sulla verità che stanno facendo.
Il modo più amorevole per andare avanti?
Persone provenienti da tutto lo spettro politico spesso caratterizzano i nostri tempi in termini apocalittici. Con che tipo di scenario finiremmo in questi tempi di “fine”?
Sarà una catastrofe climatica causata dalla specie umana; o un voto legislativo finale che determina l’esito della guerra culturale; o la liberazione finale delle persone dall ‘”oppio” delle masse; o “Fuoco dal cielo” che precipita sulla terra, mandando i non credenti nel Lago di Fuoco; o il Figlio dell’Uomo o il Mahdi che finalmente appare per separare il grano dal loglio (i buoni dai cattivi); o un risveglio finale da un sogno di conflitto nel mondo reale in cui tale conflitto non è mai accaduto; o un semplice sussurro del nulla che è emerso dal nulla e ritorna al nulla?
Per quanto apocalitticamente (o banalmente) si concepisca la “fine”, sosteniamo che ci si debba chiedere: che differenza potrebbe fare se si provasse effettivamente a fare “la verità, tutta la verità, e nient’altro che la verità” non solo come nostro giuramento per parlare nei tribunali della giustizia terrena, ma anche come nostra promessa reciproca mentre CERCHIAMO insieme di scoprire la verità nella più ampia corte dell’opinione pubblica che, di fatto, determinerà alla fine cosa accadrà a tutti noi nella nostra nazione e nel mondo.
Cercare di ottenere e dire la verità insieme non è un gioco da ragazzi. Quasi certamente condurrà a cambiamenti che ci preoccuperanno, poiché dobbiamo rivalutare ciò che pensavamo fosse la verità, “intera” o meno.
Questa inquietudine della propria precedente comprensione da riallineare con una nuova comprensione della verità è il prezzo psichico dei ricercatori sinceri, dopo aver umilmente riconosciuto che nessuno (probabilmente) ha capito tutto.
Ognuno di noi, sia conservatore che progressista nel temperamento, dovrebbe aspettarsi di cambiare le proprie opinioni mentre apprende di più su tutta la verità. Tutti noi, come i bambini, diventiamo più saggi man mano che impariamo più verità, anche a 90 anni.
Nelle piazze del nostro Paese e oltre, la pratica di cercare insieme tutta la verità invita inevitabilmente le persone di tutte le posizioni a relazionarsi a vicenda senza paura del disprezzo sociale dei rivali.
Questa pratica richiede l’espressione di punti di vita potenzialmente offensivi dal momento che gli avversari affidabili si incontrano nella ricerca in buona fede dell’intera verità.
Abbiamo visto come questo approccio di ricerca della verità sia convincente, siccome i sostenitori dei pareri opposti che dubitavano dell’integrità reciproca sono giunti ad una conversazione rispettosa basata sul loro desiderio di imparare continuamente di più e cercare l’intera verità, insieme.
I prossimi anni porteranno un mondo in cui la coercizione è la forza principale per il cambiamento o sarà la persuasione? Questa è la verità: l’amore muore con la coercizione e prospera nella persuasione reciproca.
Per coloro che amano molto il valore, affermiamo questa verità (sebbene aperti alle critiche): che gare di persuasione porteranno ad un mondo migliore rispetto ai conflitti di coercizione.
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Ciò significa che tutti coloro che danno grande valore all’amore dovrebbero unirsi “religiosamente” (se vogliamo) ad un movimento senza fine per la ricerca condivisa di tutta la verità.
La conversazione è il modo principale di partecipazione a questa sacra opera di contestazione e collaborazione. Smettete di starvene da soli ed unitevi ad una massiccia comunità che accetta di cercare, apprendere e sostenere mediante una fidata persuasione reciproca.
Per ribadire i precedenti avvertimenti sulla verità e la persuasione: se gli individui si astengono dalla partecipazione a conversazioni pubbliche, la gara includerà solo istituzioni distorte (grandi gruppi formali di persone) che hanno i mezzi per impadronirsi o acquistare la nostra attenzione, limitando i punti di vista che potrebbero rendere tutta la verità.
Per questo motivo, crediamo che la ricerca condivisa della verità dovrebbe diventare una normale responsabilità sociale per tutti i cittadini. Qualunque sia la nostra visione del mondo, dobbiamo credere nei nostri cuori che la verità più grande emerge dalle conversazioni aperte tra persone che non sono d’accordo.
Mentre guardiamo avanti ai conflitti su cosa dovremmo fare della nostra terra e su chi dovremmo diventare come esseri umani, questa conoscenza farà la differenza tra la vita e la morte.
Certamente ci sono possibilità, sogni, aspirazioni che MORIRANNO (senza dubbio) in un modo o nell’altro.
È probabile che intere visioni del mondo seguano la strada dei dinosauri, proprio come il culto di Giove, il diritto divino dei re, il sistema copernicano, il feudalesimo, la fisica newtoniana, il “peso” coloniale dell’uomo bianco, La Confederazione, lo Stalinismo o il Maoismo sono stati in gran parte persi (almeno per un pò!) nei molti secoli di guerre culturali.
E, senza dubbio, le persone reali moriranno prima di quanto avrebbero potuto altrimenti, a seguito di soluzioni che adottiamo per i problemi umani.
Sulla questione del cambiamento climatico, ad esempio, se i “sostenitori” hanno ragione, non agire ora per frenare i gas a effetto serra può rendere la terra inabitabile; se gli “scettici” hanno ragione, andare troppo in una direzione di “energia verde” potrebbe creare condizioni in cui molti potrebbero morire (e perdere le loro libertà) a causa di un disastro economico o di un superamento del governo autoritario.
E se ci fosse una verità – da una parte o dall’altra – in grado di salvarci davvero tutti? Forse anche questa è una possibilità: un gran numero di persone che invertono la rotta e cambiano idea per vedere la verità (da una parte o dall’altra); questo ci solleverebbe al di là delle minacce collettive.
Dato che alcuni meme o ideologie sembrano bloccati in una battaglia tra vita e morte, forse è anche possibile che idee particolari muoiano salvando la vita delle persone reali che hanno combattuto a favore o contro di loro.
Se tutto ciò è possibile, il punto più grande è questo: non sapremo mai se una sorta di “salvezza” così onnicomprensiva sia possibile se non ci impegniamo effettivamente a cercare insieme tutta la verità.
Pensiamo attentamente a questo. E, nel frattempo, vi chiediamo almeno di provarci.
Indipendentemente dalle difficoltà che potrebbero ancora esistere, riaffermiamo che non esiste un percorso “più amorevole” del sentiero della verità, il percorso della sincera contestazione, persino battaglia, sul campo delle affermazioni sulla verità.
È in gioco troppo per avere come obiettivo niente che sia meno della ricerca condivisa della verità assoluta.
Il Grande Invito: E se . . . partecipassimo ad una conversazione importante tenendo nei nostri cuori e nelle nostre menti la domanda: “Quello che sto dicendo – quello che stai dicendo – è vero?
E se invece di pensare a noi stessi:
“Mi piace”, “Non mi piace”, “Sono d’accordo”, “Non sono d’accordo”, “È’ buono”, “È cattivo”, “È razzista”, “È bigotto”, “È compassionevole”, “È odioso”, “È ragionevole”, “È irrazionale”, “È tipico di [quelle persone]”, “È progressivo”, “È un conservatore”, “È reazionario” ecc. ecc…
. . . Se invece di avere questi pensieri (non direttamente collegati alla verità) ricordassimo semplicemente e continuamente a noi stessi di porre una e una sola domanda su tutto ciò che viene detto e affermato: “È vero?”
Come potrebbe cambiare la conversazione?
La prossima volta che vi ritrovate in una conversazione difficoltosa o che vi sta “sfuggendo di mano”, fate un respiro profondo e volgete la vostra attenzione sulla ricerca condivisa di tutta la verità, e vedete cosa succede.
Per prima cosa, ci aspettiamo che scopriate di entrare quasi automaticamente in modalità “domanda”, perché probabilmente vi renderete conto che non comprendete appieno il punto di vista dell’altra persona.
Ci aspettiamo che scopriate di voler trovare modi migliori per comunicare le vostre idee in modo che siano più persuasive. Probabilmente inizierete anche a sospettare che le vostre idee possano aver bisogno di un po’ di sviluppo o addirittura di correzioni.
Probabilmente, noterete anche la frequenza con cui si insinuerà il desiderio di “vincere” la discussione e quale ostacolo possa essere per la ricerca di tutta la verità. Cambia così tanto! . . . Una volta che l’attenzione si sarà spostata (e ri-spostata, e ri-spostata di nuovo . . . e ancora . . . ) alla ricerca . . . condivisa . . . di tutta . . . la verità.
Questo è il terzo saggio di una serie scritta da Arthur Peña, Charles Randall Paul e Jacob Hess chiamata “Inevitabile influencer: Perché (in fondo) tutti noi vogliamo – e abbiamo bisogno – di convincerci a vicenda di ciò che vediamo come buono, bello e vero”.
Questo articolo è stato pubblicato su Public Square Magazine e tradotto da Sara Mondelli.
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