“Poiché e colui che santifica e quelli che son santificati, provengon tutti da uno; per la qual ragione egli non si vergogna di chiamarli fratelli” (Ebrei 2:11)
Il ruolo di Gesù nella famiglia di Dio
Nell’epistola agli Ebrei, Gesù è raffigurato come sommo sacerdote espiatorio nel tempio celeste, che permette a tutti i figli di Dio di “[Accostarsi]… con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per esser soccorsi al momento opportuno.” (Ebrei 4:16).
Un aspetto spesso trascurato dell’espiazione divina di Gesù, tuttavia, riguarda il ruolo di Gesù come nostro fratello.
Come ha sottolineato Matthew Bowen, “una componente chiave del messaggio di Ebrei su Gesù come Figlio divino e Sommo Sacerdote espiatorio è la sua solidarietà con gli uomini, che nasce dal suo rapporto di fratellanza con loro”.
In effetti, verso l’inizio di questa epistola l’autore nota che “Egli doveva esser fatto in ogni cosa simile ai suoi fratelli, affinché diventasse un misericordioso e fedel sommo sacerdote nelle cose appartenenti a Dio, per compiere l’espiazione de’ peccati del popolo” (Ebrei 2:17).
In altre parole, se Gesù non fosse diventato come i Suoi fratelli e sorelle, non avrebbe potuto compiere il Suo sacrificio espiatorio.
La figura di Gesù come fratello di tutta l’umanità non è un’immagine nuova nella Bibbia. Nel Vangelo di Giovanni, ad esempio, Gesù stesso afferma di essere nostro fratello:
“ma va’ dai miei fratelli, e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, all’Iddio mio e Iddio vostro” (Giovanni 20:17).
Allo stesso modo, Paolo descrive come Gesù fosse “il primogenito fra molti fratelli” (Romani 8:29).
In Ebrei, questo linguaggio familiare non è limitato ai capitoli iniziali, ma è utilizzato in tutta l’epistola, ribadendo che possiamo rapportarci a Gesù Cristo perché apparteniamo di fatto alla divina famiglia di Dio.
Infatti, questa famiglia divina è organizzata in modo tale che il nostro fratello maggiore presieda fedelmente la casa di Dio: “ma Cristo lo è come Figlio, sopra la sua casa; e la sua casa siamo noi se riteniam ferma sino alla fine la nostra franchezza e il vanto della nostra speranza” (Ebrei 3:6)
Gesù come go’el
Inoltre, Ebrei raffigura Gesù come fratello maggiore espiatore, simile al concetto di parente-redentore israelita, o go’el. Nell’antica Israele, un parente-redentore era il “membro della famiglia responsabile di riscattare gli altri membri della famiglia dalla schiavitù”.
Il ruolo di Gesù come ‘fratello’… si colloca nella stessa cornice concettuale del più antico concetto israelita-ebraico di “parente-redentore”.
Allo stesso modo, come notato da Benjamin Spackman, vedere Dio come nostro parente-redentore era un aspetto importante dell’antico credo israelita e “rivendicare Dio come ‘redentore’, o invocarlo per la redenzione, significava rivendicare la parentela attraverso un rapporto di alleanza con lui”.
Nel redimere i suoi molti parenti, il Go’el faceva un’opera di redenzione”. Riscattando i suoi numerosi fratelli e sorelle dalla morte e dall’inferno, Gesù ha aperto la strada a tutta la famiglia di Dio per diventare come Lui.
Questo è particolarmente chiaro fin dall’inizio dell’epistola: “per condurre molti figli alla gloria”, Gesù, “il duce della loro salvezza”, è stato reso “perfetto attraverso le sofferenze”.
“Poiché e colui che santifica e quelli che son santificati, provengon tutti da uno; per la qual ragione egli non si vergogna di chiamarli fratelli,” (Ebrei 2:10-11).
Inoltre, questa gloria si riflette ampiamente nella salvezza del Signore di cui si parla in Ebrei 2:3, portando Bowen a osservare che l’azione di Dio che “conduce molti… nella gloria” contiene “richiami del tempio”, soprattutto se si considera che “coloro che vengono condotti (agagonta) nella gloria sono i santi stessi”.
Un altro chiaro riferimento al tempio inizia in Ebrei 2:10-11. Nel descrivere che Gesù è stato reso perfetto, il testo greco usa una forma della parola teleiōsis.
Sebbene questa parola sia spesso tradotta come “perfetto”, nell’antico mondo greco-romano spesso connotava l’iniziazione in contesti religiosi.
Per questo motivo, Bowen osserva che tradurre questa parola con “perfetto” o addirittura “completo” è “insufficiente a catturare e trasmettere le sue sfumature”.
Infatti, la parola teleiōsis “aveva un’importante dimensione rituale” e nessuno poteva essere perfetto o completo senza aver prima “ricevuto tutte le iniziazioni, i riti (cioè le ordinanze) e i misteri necessari”.
Una volta che i discepoli erano stati pienamente iniziati a questi diritti, entravano in “uno stato di purificazione che rendeva idonei a svolgere le funzioni del tempio”.
Gesù, essendo stato pienamente iniziato al regno divino, era allora in grado di servire come Grande Sommo Sacerdote del Tempio celeste, compiendo un sacrificio infinito ed eterno “una volta per sempre” (Ebrei 10:10).
Quando siamo santificati da Cristo, Egli permette a ciascuno di noi di essere pienamente iniziati e di ricevere tutte le alleanze e le ordinanze necessarie per godere nuovamente della presenza del Padre.
Come nota Bowen, “il punto fondamentale di Ebrei è che i “figli” e le figlie di Dio devono seguire il Figlio, anche se attraverso una sofferenza ingiusta, verso la stessa gloria”.
Anche nei momenti più difficili della nostra vita, “la sofferenza può essere un’attività sacerdotale vicaria” che ha il potenziale di aiutarci a diventare più simili a Gesù, che “ha completato la sua missione e la sua preparazione personale per ricevere – una volta ancora, e questa volta, pienamente – la gloria del Padre” attraverso il suo sacrificio espiatorio.
Gesù, vero e proprio fratello maggiore nella famiglia di Dio, si è fatto pienamente mortale per poterci santificare, ed è sempre disposto ad aiutare i suoi fratelli e le sue sorelle a tornare a Lui, essendo “come Lui; perché lo vedremo come Egli è” (1 Giovanni 3:2).
Cosa comporta comprendere che Gesù è nostro fratello
Quando comprendiamo come la vita e la missione di Gesù possano essere descritte in un ruolo vicino e familiare, come ha fatto l’autore di Ebrei, possiamo comprendere meglio la natura dell’amore di Dio per noi.
Piuttosto che un essere distante, il Padre celeste è il nostro vero padre che vuole che diventiamo come Lui. Allo stesso modo, Gesù è il nostro fratello amorevole che vuole aiutarci ad avere successo in questo cammino.
Come ha osservato Bowen, quando comprendiamo che “siamo figli e figlie di Dio, nonché fratelli e sorelle di un Figlio divino”, siamo in grado di vedere noi stessi “all’interno di un piano divino che sta subendo il processo di “perfezione” o di “piena iniziazione” (teleiōsis), che il [nostro] “fratello” ha già fedelmente completato, e che Egli ci sta attivamente aiutando lungo il cammino dell’alleanza”.
In effetti, mentre veniamo fedelmente a Lui, veniamo santificati attraverso la sua espiazione, che ci rende più fedeli all’alleanza con Lui”. Quando ci avviciniamo fedelmente a Lui, veniamo santificati attraverso la sua espiazione, il che ci rende capaci di mantenere più fedelmente le nostre alleanze con Lui.
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Inoltre, “Ebrei indica che anche i fratelli e le sorelle di Gesù potevano essere “resi simili” a lui attraverso il servizio sacerdotale”.
Sebbene questo servizio possa assumere molte forme nella Chiesa, il significato più completo della parola teleiōsis indicherebbe che il servizio nel tempio è un aspetto chiave di questo.
Infatti, “per i Santi degli Ultimi Giorni di oggi, questo ha implicazioni per tutti coloro che ricevono le piene benedizioni del Sacerdozio di Melchisedec, benedizioni rese disponibili oggi nel sacro tempio”.
Questo articolo è stato pubblicato su https://latterdaysaintmag.com. Questo articolo è stato tradotto da Ginevra Palumbo.
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