Il libro dell’Apocalisse sottolinea come Dio sia a conoscenza di tutte le cose presenti, passate e future, poiché nell’eternità il tempo non ha fine e non ha inizio.
Nonostante non sia subito comprensibile, il messaggio di Giovanni è portatore di conforto e di pace, poiché presenta, attraverso delle immagini simboliche, la natura di Gesù Cristo, il Suo ruolo di Salvatore e il Suo destino vittorioso.
Il compito del libro dell’Apocalisse è, quindi, quello di preparare i Santi a ciò che avverrà quando il Figlio di Dio tornerà sulla terra.
Come è stato detto, il libro può sembrare a primo impatto criptico e di difficile comprensione. Tuttavia, grazie al lavoro di molti studiosi e alla rivelazione degli ultimi giorni e della Restaurazione, abbiamo accesso al messaggio centrale di questo libro.
A causa della grande quantità di simboli che il libro dell’Apocalisse contiene, questo articolo ne esaminerà soltanto alcuni.
Pertanto, ci limiteremo a prendere in considerazione soltanto quelle scritture su cui Joseph Smith e le rivelazioni della Restaurazione hanno fin ora gettato luce.
Il libro dell’Apocalisse e la natura dello stile apocalittico
Il lettore non deve approcciarsi al libro di Apocalisse aspettandosi i temi logici e ben sviluppati contenuti nella maggior parte delle Scritture. L’opera è piena di cambiamenti bruschi e di combinazioni impossibili.
Uno stile apocalittico completamente logico e chiaramente comprensibile, tuttavia, sarebbe una contraddizione in termini, anche per l’Apocalisse.
Il lettore deve prepararsi ad affrontare un viaggio lungo un paesaggio surreale e onirico, talvolta angoscioso. Il profeta ha ricevuto una visione attraverso immagini poetiche svincolate da ogni necessità di coerenza esterna e di conformità alla realtà.
Ma è proprio questo che conferisce alla letteratura apocalittica la sua forza espressiva: lo stile permette a Dio di comunicare attraverso la forza delle immagini e dei movimenti che Egli crea.
Non è vincolato dalla necessità di rendere tutto razionale e logico. Un’incoerenza può persino sottolineare un concetto.
Ad esempio, la bestia che sorge dal mare nel capitolo 12 ha sette teste ma dieci corna e corone. Il Signore non intende che il lettore disponga le corna sulle teste, ma che le interpreti.
Ancora una volta, le teste rappresentano il regno di Satana sulla terra, simboleggiato dai sette colli di Roma (vedere 17:9) e la Traduzione di Joseph Smith afferma che la bestia rappresenta “i regni della terra” (Traduzione di Joseph Smith, 13:1).
Le corna simboleggiano quei poteri e le corone quei governi che sono sostenuti dalla bestia. Le dieci corna suggeriscono che il potere della bestia, come quello del drago, è limitato.
Questo esempio mostra come Dio usi i simboli come mezzo di comunicazione delle idee. I simboli hanno dato a Giovanni la libertà di rappresentare esperienze trascendentali e spirituali.
Il Signore utilizza i simboli in quasi tutte le frasi del libro dell’Apocalisse.
Ma non li ha creati ex nihilo; questi simboli sono coerenti con l’Antico Testamento e con la letteratura apocalittica ebraica.
In effetti, nell’Apocalisse, il Signore usa le parole, le frasi, le immagini e i modelli dell’antica alleanza come una sorta di arsenale linguistico che supporta e porta avanti il messaggio che i contemporanei di Giovanni hanno a suo tempo chiaramente compreso.
Tra i vari simboli utilizzati è importante quello dei numeri. Bisogna però fare attenzione a non prenderli troppo alla lettera. La letteratura del Vicino Oriente, non solo quella ebraica, rivela una predilezione per l’uso dei numeri per comunicare idee.
Quando vengono utilizzati in questo modo, assumono un significato qualitativo piuttosto che quantitativo.
Non si sa perché certi numeri si siano caricati di significati simbolici; nella maggior parte dei casi i significati sono emersi durante il periodo in cui le trascrizioni erano scarse o inesistenti e nel tempo sono andate perdute.
È interessante notare che esiste una coerenza generale tra le culture nel significato di alcuni numeri, che Giovanni non viola.
Ad esempio, i numeri 4, 7, 12 e 1.000 indicano aspetti di interezza o completezza: il primo il mondo, il secondo la totalità o la pienezza, il terzo il sacerdozio e l’ultimo la grandezza o la perfezione assoluta.
Alcuni numeri esprimono un’idea identica. Ad esempio: 1.260, 42 e 3½ sono tutti derivati dal calendario ebraico e indicano il numero di giorni e mesi in tre anni e mezzo. Ma tutti rappresentano il periodo in cui Dio permette al male di dominare.
È il periodo temporaneo in cui il drago e la bestia governeranno (vedere Apocalisse 11:2-3, 11; 12:6; 13:5).
In quest’ottica, si noti che solo dopo tre giorni e mezzo di gioia del male per quella che sembra una grande vittoria, i due testimoni di Dio per Israele risorgeranno e il bene trionferà (vedere Apocalisse 11:3-12; vedere anche DeA 77:15).
Poiché il numero 2 simboleggia i testimoni e il tre e mezzo il momentaneo trionfo del male, nessuno dei due numeri deve essere preso alla lettera.
I testimoni possono essere più di due e il periodo della loro morte può essere più lungo o più breve di tre giorni e mezzo.
Ciò che intende Dio è che ci sarà un momento in cui il male sembrerà aver vinto, ma quel sogno si infrangerà nel momento in cui sorgeranno questi profeti.
Il numero di quelli che saranno chiamati al servizio negli ultimi giorni (o “eletti”), 144.000, è istruttivo. Come si è detto, si tratta di sommi sacerdoti chiamati come missionari negli ultimi giorni.
Il messaggio, tuttavia, non è nella quantità, perché anche in questo caso il numero non deve essere preso alla lettera, ma nella qualità.
Dodici rappresenta il sacerdozio. Moltiplicando il numero per sé stesso si ottiene l’interezza (come moltiplicandolo per sette).
Quindi, il numero denota la qualità del sacerdozio di coloro che saranno servi di Dio negli ultimi giorni. Per questo motivo, non c’è da preoccuparsi se il capitolo 7 esclude la tribù di Dan dall’elenco dei chiamati al servizio di Dio. È tutto simbolico.
Ci saranno molti Daniti nel regno di Dio, ma Giovanni potrebbe aver lasciato fuori la tribù perché, secondo il mito popolare ebraico, l’anticristo doveva provenire da quella tribù e Giovanni ha cercato di abbattere ogni forma di idolatria.
La visione data in codice
C’è una buona ragione per cui il libro è poco chiaro.
Secondo il Libro di Mormon, la Bibbia passò per le mani di una “chiesa grande e abominevole, che è la più abominevole di tutte le altre chiese; poiché, ecco, essi hanno tolto dal Vangelo dell’Agnello molte parti che sono chiare e preziosissime; e hanno anche tolto molte alleanze del Signore” (1 Nefi 13:26).
I membri di questa chiesa hanno agito per pervertire il Vangelo e portare gli uomini fuori strada.
Il Signore aveva bisogno di far passare il suo messaggio sugli ultimi giorni attraverso i redattori della grande e abominevole chiesa. Un modo era quello di nascondere il messaggio nei simboli.
Non fu quindi Giovanni a scegliere la forma della visione, ma Dio. La forma è oggi chiamata “apocalittica”. Essa ha fornito a Giovanni i mezzi per poter scrivere in una sorta di codice divino e sembra aver funzionato bene per lui.
Sebbene esistano più varianti di lettura manoscritte del testo dell’Apocalisse che di qualsiasi altro libro del Nuovo Testamento, queste non sono sufficienti a causare incertezza sul significato di un singolo paragrafo preso nel suo insieme.
Siamo fortunati a vivere in un’ epoca in cui profeti viventi hanno riaperto il significato di molti di questi simboli.
Non si può apprezzare appieno il messaggio del libro, quindi, finché non si riesce a vedere al di là dei simboli delle vaste realtà che essi rappresentano.
Fortunatamente, l’Apocalisse è abbastanza utile in questo compito. In alcuni casi interpreta effettivamente il simbolo per il lettore.
Per esempio, le sette stelle del capitolo 1 rappresentano i capi delle varie congregazioni della Chiesa, mentre i candelabri rappresentano le chiese (vedere i versetti 12, 16, 20).
Nel capitolo 17, le “acque” simboleggiano le nazioni e i popoli sotto il potere della Babilonia spirituale (vedere versetti 1, 15).
Sebbene il veggente abbia interpretato i suoi simboli solo in alcuni casi, non ha concepito gli altri in modo da contraddire o confondere.
Infatti, l’uso dei simboli principali è uniforme in tutto il libro dell’Apocalisse. Le trombe, i sigilli, le coppe, le bestie e così via, hanno tutti un significato fisso e coerente.
Il contesto permette di accertare la maggior parte dei significati. Inoltre, la rivelazione moderna, come si è detto, chiarisce e fornisce la chiave per comprendere altri significati.
Dottrina e Alleanze è particolarmente utile a questo riguardo. La sezione 77 definisce esplicitamente alcuni simboli e agisce quindi come riferimento per il significato di altri.
Bisogna tuttavia comprendere che ci sono alcune immagini che rimangono oscure e la loro piena interpretazione deve attendere ulteriore luce.
Per esempio, nel capitolo 10, Dio rifiuta di far scrivere a Giovanni ciò che i sette tuoni pronunciarono. Non ne conosciamo il motivo.
Un altro esempio si trova nel capitolo 13, dove incontriamo una grande bestia. Secondo la Traduzione di Joseph Smith, essa rappresenta “i regni della terra” (v. 1), ma non è ancora stato rivelato quali regni.
Ciò che non sappiamo, tuttavia, costituisce solo una piccola parte del libro e non ostacola in alcun modo il messaggio.
Il lettore deve essere consapevole che Giovanni usa i suoi simboli come mezzo di presentazione, piuttosto che come tentativo di analizzare o dimostrare una tesi.
Uno dei valori della rappresentazione simbolica è la stratificazione di significato che può generare. I lettori devono quindi fissare la loro attenzione non sull’immagine, ma sulle idee che l’immagine raffigura.
Si tenga presente che Dio non ha inteso le immagini per la rappresentazione pittorica. Inoltre, Giovanni trascrive costantemente l’insieme delle sue immagini per far comprendere la matrice profetica su cui egli si concentra.
Ad esempio, nel capitolo 14, la visione si apre con un agnello insieme a 144.000 individui sul monte Sion. Abbiamo già incontrato l’Agnello. È il Salvatore.
I capitoli 5 e 6 lo raffigurano come l’Agnello immolato prima della fondazione del mondo che ha il potere di sciogliere i sigilli e aprire il libro di Dio.
La rivelazione moderna ci insegna che il libro contiene la volontà e le parole di Dio che devono essere eseguite per la salvezza dell’umanità (vedere DeA 77:6).
Dottrina e Alleanze ci dice che i 144.000 che stanno con Lui rappresentano i sommi sacerdoti ordinati da ogni nazione che hanno il compito di portare tutti coloro che entreranno nella Chiesa del Primogenito (vedere DeA 77:11).
Il capitolo 14 si concentra sul periodo immediatamente precedente la Seconda Venuta e mostra che Sion è stata stabilita e il Signore è con il Suo popolo.
La rivelazione afferma poi che “uno simile al Figlio dell’uomo” (un’altra immagine del Signore) mieterà la terra, cioè i campi di grano – una rappresentazione simbolica del raduno dei giusti (vedere DeA 86:1-6).
Solo quando questa raccolta sarà terminata, un altro angelo inizierà il suo lavoro, la vendemmia dei vigneti.
Quest’ultima vendemmia rappresenta il potere schiacciante che i malvagi sperimenteranno quando saranno “gettati … nel grande torchio dell’ira di Dio” (Apocalisse 14:19).
Si noti come le immagini si fondono insieme per mostrare che Dio metterà al sicuro il suo popolo prima di scatenare l’angelo distruttore. Inoltre, Cristo non agisce personalmente come distruttore.
Il suo ruolo è quello di Salvatore. Purtroppo, l’unico modo in cui può salvare la terra è far sì che i suoi angeli “distruggano quelli che distruggono la terra” (Apocalisse 11:18).
La forza dell’Apocalisse sta nella capacità di comunicare il suo messaggio profetico invitando il lettore a una partecipazione immaginativa.
Dio ha messo a punto i simboli per comunicare le idee in modo vivido e accattivante, mentre Giovanni ha sviluppato il flusso narrativo del libro per suscitare emozioni, reazioni e comprensione che sarebbe stato molto più difficile, se non impossibile, suscitare attraverso il linguaggio convenzionale.
Si consideri l’immagine del grande nemico del Signore, il drago, del capitolo 12.
Il termine greco drakōn è stato usato per descrivere il messaggio profetico.
Il termine greco drakōn indica un serpente o un mostro marino, ma è meglio inteso come la personificazione del caos impotente e ribollente, spesso rappresentato come le acque oscure e primordiali che si oppongono non solo a Dio, ma anche a tutto ciò che è santo.
Non si tratta di una potenza minore. Anzi, nell’Antico Testamento rappresenta quella forza che solo Dio può sottomettere.
La caratteristica distintiva del mostro è la sua insaziabile crudeltà. È demoniaco nella sua genesi e nelle sue intenzioni, e come tale è il perfetto tipo di Satana nella sua versione peggiore.
Giovanni contrappone questo simbolo a quello della donna virtuosa, che rappresenta il portamento, l’armonia, la bellezza e la creazione vivificante.
Gli insegnamenti della Restaurazione la identificano come la Chiesa, la cui questione è il regno politico di Dio (Traduzione di Joseph Smith, Apocalisse 12:2, 8), che “doveva governare tutte le nazioni con una verga di ferro” (Apocalisse 12:5).
In questo contesto, il significato del colore del drago si accentua. È rosso fuoco, il colore di ciò che inghiotte e consuma. Il colore sembra suggerire i mezzi spregevoli, violenti e omicidi con cui Satana, il drago, raggiunge i suoi scopi.
Il drago ha sette teste coronate e dieci corna. Le corone non sono gli allori di un vincitore, che la donna porta, ma diademi, simboli di dominio politico.
Le Scritture non raffigurano mai Satana con allori, perché non ottiene vittorie permanenti. Tuttavia, egli ha un potere temporaneo su alcuni regni e istituzioni rappresentati dalle teste.
I numeri sono significativi. Le sette teste coronate suggeriscono l’universalità del suo dominio come re del caos.
Esse rappresentano la pseudo pretesa regale di Satana, che Giovanni descrive come portatore di molti diademi (vedere Apocalisse 19:12-16), contrapposta a quella del Re dei re e del Signore dei signori.
Le corna denotano l’onni-pervasiva e falsa sovranità del drago. Le corna simboleggiano il potere. Dieci rappresenta la parte di un tutto, ma non il tutto stesso.
Così, il drago ha un grande potere, ma Giovanni mostra che non ha tutto il potere; ne manca una parte. Questo non vale per l’Agnello, che Giovanni raffigura con sette corna, simbolo di pienezza (5:6).
Così, le metafore di Giovanni mostrano sottilmente che il drago è davvero potente, ma l’Agnello lo è di più e quindi abbatterà il drago.
I grandi nemici degli ultimi giorni
Il quadro delineato da Giovanni nel capitolo 13 continua: il drago ha più di un assistente. L’altro è un agnello, un’immagine diabolica e perversa del Signore.
L’agnello ha due corna, il numero che suggerisce i testimoni, che aiutano a identificare ciò che rappresenta: filosofie e dottrine false. È l’acquisto di queste che induce le istituzioni e i governi a seguire il drago.
Con la venuta del falso profeta, un lupo travestito da agnello, il triumvirato del male è completo. Ora possono imitare con l’inganno la vera Trinità.
Come il Figlio ha i suoi due testimoni, così il drago ha i suoi due mostri; come il Figlio trae il suo potere dal Padre, così la prima bestia trae l’autorità dal drago; come lo Spirito Santo glorifica il Figlio, così l’agnello malvagio glorifica la prima bestia.
Ci sono pochi dubbi sul fatto che Giovanni li smascheri in termini simbolici come la divinità contraffatta, i rivelatori ingannatori e i falsi legislatori, i cui poteri governeranno negli ultimi giorni.
La seconda bestia non si fa mai vedere completamente, ma rimane sullo sfondo, la distanza ingannevole cattura coloro che altrimenti non sarebbero attratti dalla prima bestia, e in questo modo intrappola le persone nell’adorazione di quest’ultima. In effetti, la sua intera funzione sembra essere quella di sedurre l’umanità in questa falsa adorazione.
E qual è l’obiettivo del culto? In una parola, il materialismo: la capacità di comprare e vendere e di ottenere guadagni.
Giovanni pone davanti al lettore la prospettiva terrificante di un sistema economico completamente dominato da quello che è stato definito “il principio mahanico” Satana, che si erge a iniziatore di questo sistema, ne rivelò per primo il grande segreto a Caino, che a sua volta lo rivelò ai suoi seguaci (vedere Mosè 5:29-31).
“Ed egli [Satana] tramò con Caino e i suoi seguaci da quel momento in poi” (Helaman 6:27). E qual era l’obiettivo di tutti questi complotti?
Imparare il mestiere di trasformare la vita umana in proprietà. Uomini malvagi e cospiratori formarono una combinazione segreta, che poi attraversò gli oceani e sopravvisse nel tempo.
E Satana “tramanda i loro tranelli, i loro giuramenti, i loro patti e i loro piani di terribile malvagità, di generazione in generazione, secondo quanto riesce a far presa sul cuore dei figli degli uomini” (Helaman 6:30).
Il veggente mostra che questo potere alimenterà le forze distruttive degli ultimi giorni.
Lentamente l’umiltà e la fratellanza autentiche saranno sopraffatte da una vasta e complessa coercizione di una propaganda sofisticata e ammaliante e dalla brutalità del pragmatismo e dell’egoismo sfrenato.
Le bestie possono ottenere il controllo solo a causa dello stato decaduto e spiritualmente degenerato provocato dal male e dall’indifferenza e ambivalenza verso il bene dell’umanità.
Il vero problema è l’adorazione. La battaglia è per i cuori e le menti degli uomini. L’obiettivo del falso agnello è quello di indurre gli uomini ad adorare la bestia.
Così, il falso profeta assume un ruolo sacerdotale con un’autorità pseudoreligiosa. Una falsa religione spinge il popolo, accecato dall’egoismo e dalla lussuria, ad adorare un potere secolare che è in grado di spiegare i veri miracoli.
Il risultato è la vittoria universale dell’umanesimo secolare, in cui si nega Dio e si esalta l’uomo.
Da questa filosofia e dalla sua mondanità nascono i “miracoli” dell’epoca. Tali miracoli hanno ingannato molti in una falsa fede e accecato molti in una falsa sicurezza. Volentieri, gli illusi seguono le vie della prima bestia.
Apocalisse: Il marchio della bestia
Nessuna discussione sull’Apocalisse sarebbe completa senza menzionare almeno il numero più associato all’opera, il 666. Giovanni associa questo numero al marchio della bestia.
La comprensione della natura del marchio apre il significato del numero. Il veggente usa il termine greco charagma, “marchio”, che indica un timbro, un’incisione, un’impronta.
Descrive anche il marchio che il padrone appone su un animale o su uno schiavo. La connotazione più importante della parola, tuttavia, potrebbe essere quella di descrivere il segno lasciato dal morso di un serpente.
L’obiettivo della bestia è che “tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi” ricevano il marchio del drago “nella mano destra o nella fronte” (Apocalisse 13:16).
Nessuno sarà libero dal marchio. Questo marchio si contrappone ed è l’opposto del sigillo posto sui fedeli seguaci dell’Agnello (vedere 7:3). Mentre il sigillo designa coloro che sono di Dio, il marchio indica coloro che sono di Satana.
Il marchio del mostro consiste nelle lettere del suo nome scritte nel suo equivalente numerico. La maggior parte dei popoli antichi non disponeva di un sistema di numerazione e di un alfabeto separati, quindi le lettere servivano anche come numeri.
In genere le prime nove lettere dell’alfabeto corrispondevano ai numeri da uno a nove, le successive nove ai numeri da dieci a diciannove e così via.
Anticamente, alcuni si divertivano a inventare indovinelli traducendo un nome nel suo equivalente numerico. Ad esempio, in un graffito di Pompei si legge: “Amo colei il cui numero è 545”.
Il numero della bestia ha suscitato non poche speculazioni. Lì Giovanni lancia la sfida: “Chi ha comprensione conti il numero della bestia”, e poi indica il numero 666.
Sia gli studiosi che i dilettanti hanno suggerito molte soluzioni ingegnose, che vanno da singoli individui a intere istituzioni. Tuttavia, l’intero problema è irto di difficoltà.
In primo luogo, esistono due tradizioni manoscritte. La maggior parte riporta il numero 666, ma un numero significativo di altri riporta il 616.
In secondo luogo, il significato potrebbe richiedere l’uso del digamma, una lettera arcaica che era stata abbandonata nell’alfabeto greco prima dell’epoca di Giovanni, ma che a volte è stata mantenuta per essere utilizzata come numero 6.
Considerando il greco così com’è, l’indovinello di Giovanni indica “un uomo”, cioè un individuo. Storicamente, l’uomo che ha lasciato il segno come arci-persecutore dei cristiani perché disposto a usare tutta la forza dello Stato contro il popolo di Dio è stato Nerone.
Dal suo nome-titolo si può dedurre “Seicentosessantacinque”, ma probabilmente era già morto da quasi un quarto di secolo prima che Giovanni scrivesse.
Tuttavia, ai tempi di Giovanni, c’era un altro che portava la natura spirituale di Nerone. Si tratta di Domiziano. Come imperatore, cercò di sterminare la Chiesa di Dio. A Giovanni poteva sembrare la reincarnazione di Nerone.
Ma non è detto che Giovanni avesse in mente un’entità storica specifica. È possibile che stesse raffigurando una condizione spirituale.
Come il marchio e il numero non possono essere separati, così anche il marchio e l’adorazione della bestia non possono essere separati.
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Il marchio sta per la bestia. In questo caso, il numero 6 sarebbe in contrasto con il numero 7, il numero di Dio. Il numero 6 sarebbe quindi quello che si avvicina di più alla perfezione, mentre il 666 è imperfetto in ognuna delle sue cifre.
In questa luce, rappresenta una trinità di imperfezioni: il drago, la bestia e il falso profeta (vedere i capitoli 12 e 13).
L’adesione al marchio significa la devozione spirituale alla bestia. Designa coloro che nel corso del tempo sono stati morsi dal serpente del mare e che portano il suo veleno nelle loro vene.
Possiamo notare che, sebbene i simboli rendano l’Apocalisse difficile da leggere, essi conferiscono al libro una profondità e una ricchezza incredibili se interpretati correttamente.
Per esempio, alla fine della sua visione, Giovanni vede il futuro regno celeste e coloro che lo conquisteranno. Una caratteristica della visione è sorprendente.
L’angelo guida di Giovanni gli mostra “un fiume puro di acqua di vita, limpido come il cristallo, che usciva dal trono di Dio e dell’Agnello” (Apocalisse 22:1).
Giovanni afferma specificamente che il fiume rappresenta le acque della vita. Ma c’è di più. La fonte dell’acqua è importante. Essa sgorga dal “trono di Dio e dell’Agnello” – non due troni, ma uno solo.
Il punto sembra essere che c’è una sola fonte di vita: Dio stesso. A condividere la responsabilità, tuttavia, è il Figlio, che si erge sempre come “l’eterno Padre dei cieli e della terra e di tutte le cose che sono in essi” (Alma 11:39).
Per questo Giovanni lo chiama “il Verbo” (Giovanni 1:1; vedi anche vv. 2-3) e nota che tutte le cose hanno il loro essere grazie a Lui.
In effetti, il Vangelo è simboleggiato come “acqua viva” e “chiunque beve dell’acqua che [il Signore] gli darà non avrà mai sete; ma l’acqua che [il Signore dà] sarà in lui un pozzo d’acqua che sgorga in vita eterna” (Giovanni 4:14).
Così sia il Padre che il Figlio occupano lo stesso trono, perché la vita sgorga da entrambi. Esiste, tuttavia, un altro e più significativo simbolo dell’acqua.
Nefi vide che le “acque sono una rappresentazione dell’amore di Dio” (1 Nefi 11:25). Qui sta il potere dell’acqua. Essa lascia in eredità e sostiene la vita perché è amore puro e inalterato.
Vediamo così come i simboli operano per il fine del Signore. A un certo livello, hanno protetto il messaggio dalla perdita o dalla diluizione, nel corso di due millenni, da parte di mani corrotte.
Su un altro piano, basato sulle intuizioni della Restaurazione, hanno fornito al messaggio una ricchezza e una profondità di comprensione che permette ai Santi degli Ultimi Giorni di apprezzare meglio il Signore e la Sua opera.
Questo articolo è stato pubblicato su https://rsc.byu.edu. Questo articolo è stato tradotto e adattato da Ginevra Palumbo.
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