Ed egli fece venir su di loro la maledizione, sì, proprio una grave maledizione, a causa della loro iniquità… pertanto, siccome erano bianchi e bellissimi e ben fatti, affinché non potessero essere motivo di seduzione per il mio popolo, il Signore Iddio fece venir su di loro una pelle scura (2 Nefi 5:21).
Il cosa
All’indomani della morte di Lehi, Nefi e coloro che lo seguirono furono costretti a fuggire da Laman e Lemuele perché i due fratelli cercarono, ancora una volta, di ucciderli.
Nefi e il suo popolo, tuttavia, stabilirono una colonia prospera, con tanto di tempio, dove seguirono la legge di Mosè e furono benedetti secondo le alleanze che il Signore aveva fatto con Lehi e la sua famiglia (2 Nefi 5:1-17).
Al contrario, Nefi riferisce che i suoi fratelli furono “recisi dalla presenza del Signore” e che una “maledizione… proprio una grave maledizione” si abbatté su di loro “a causa della loro iniquità”.
Di conseguenza, il loro cuore si indurì come una selce e mentre un tempo “erano bianchi, bellissimi e ben fatti, … il Signore Iddio fece venir su di loro una pelle scura” (2 Nefi 5:21).
Un altro resoconto, presumibilmente le grandi tavole di Nefi, riporta che il Signore “maledisse e… pose un marchio” sui Lamaniti, e quindi “la pelle dei Lamaniti era scura, secondo il marchio che era stato posto sui loro padri, che era una maledizione su di loro” (Alma 3:6, 14).
La Chiesa disconosce le teorie sulla pelle scura come maledizione
Per molti lettori moderni, questi e altri passaggi simili del Libro di Mormon sono comprensibilmente sconcertanti per i loro concetti apparentemente “razzisti di inferiorità delle razze non bianche in contrasto con la superiorità della razza bianca”.
“In passato, molti lettori e scrittori hanno accettato tali connotazioni razziali senza riserve, ma un saggio del 2013 autorizzato dalla Prima Presidenza e pubblicato sul sito web della Chiesa dichiara inequivocabilmente:
“Oggi la Chiesa disconosce le teorie avanzate in passato secondo cui la pelle scura è un segno di sfavore o maledizione divina”.
Nonostante questa dichiarazione, alcuni studiosi persistono nell’interpretare il Libro di Mormon attraverso una vecchia lente razziale, sebbene spesso con l’idea che questa lente sovverta in realtà il razzismo del XIX secolo.
Un esame più attento, tuttavia, indica che il testo non è affatto conforme alle moderne prospettive razziali.
Le fonti euro-americane dell’Ottocento, la maggior parte delle volte, descrivono i nativi americani definendo la loro pelle rossa, e queste sono le descrizioni tipicamente usate da Joseph Smith, Oliver Cowdery e altri primi Santi degli Ultimi Giorni.
Tuttavia, come Hugh Nibley ha sottolineato per primo negli anni Cinquanta, “nel Libro di Mormon non c’è alcun accenno a pelli rosse rispetto a quelle bianche; anzi, non c’è alcun accenno a pelli rosse in generale”.
Pelle scura nella simbologia del Vicino Oriente antico
Invece, il Libro di Mormon contrappone costantemente la pelle scura o nera a quella chiara o bianca in modi coerenti con la simbologia del Vicino Oriente antico. Per esempio, Nibley ha affermato:
“Per gli Arabi, essere bianchi di viso significa essere benedetti ed essere neri di viso significa essere maledetti”. Questo si può vedere nel Corano, in cui il giorno del giudizio è descritto come “il giorno in cui le facce diventeranno bianche o nere”.
Nibley ha notato un linguaggio simile anche in un antico testo egiziano, che descrive l’essere ḥḏ-ḥr, “bianco di viso”, e l’essere šw m snk.wt, “libero dalle tenebre”.
Kerry Hull ha recentemente richiamato l’attenzione su espressioni simili nella letteratura ebraica e cristiana antica, che non sono razziste ma simboliche e sono spesso tratte dall’immaginario poetico della Bibbia stessa.
Per esempio, Origene e Agostino si rifecero al Cantico di Salomone 1:5 (“io sono scura ma sono bella”) e lo associarono al Cantico di Salomone 8:5 LXX (“Chi è questa che viene fuori tutta bianca”) come metafora delle persone che sono scure a causa del peccato, ma vengono purificate attraverso il pentimento e il battesimo (confrontare con 3 Nefi 2:15-16).
Origene scrisse:
“È chiamata scura, tuttavia, perché non è ancora stata purificata da ogni macchia di peccato… nondimeno non rimane di colore scuro, ma sta diventando bianca”.
Alcuni primi Cristiani si riferivano metaforicamente alla pelle scura o nera degli Etiopi in analogie di questo tipo.
Forse il parallelismo più diretto e illuminante del Vicino Oriente antico con la “pelle scura” del Libro di Mormon in termini di periodo, circostanze e lingua si trova nel Trattato di successione di Esarhaddon, recentemente discusso da T. J. Uriona.
Questo trattato fu inviato ai vassalli Assiri, tra cui Giuda, intorno al 672 a.C. per stabilire che il figlio di Esarhaddon, Assurbanipal, fosse il legittimo successore, nonostante non fosse il figlio maggiore.
Come era consuetudine nei trattati e nelle alleanze del Vicino Oriente antico, venivano pronunciate maledizioni su coloro che avrebbero violato i termini del trattato. Una delle maledizioni contenute nel documento recita:
“Possano [gli dèi] rendere scura la tua pelle e quella delle tue donne, dei tuoi figli e delle tue figlie. Che possano essere neri come la pece e il petrolio grezzo”.
Il profeta biblico Nahum, uno dei contemporanei di Lehi, sembra aver alluso proprio a questa maledizione in un “rovesciamento sovversivo” dell’immagine, applicandola alla caduta dell’Impero Assiro stesso intorno al 612 a.C.:
“Le facce [degli Assiri] si tingono tutte di nero” (Nahum 2:10).
Allo stesso modo, nelle Lamentazioni (tradizionalmente attribuite al profeta Geremia) un’immagine simile è usata per i Nazareni dopo la distruzione di Gerusalemme:
“I suoi principi erano più splendenti della neve, più bianchi del latte [ma] il loro aspetto è ora più cupo del nero” (Lamentazioni 4:7-8).
Nel suo contesto assiro, la “pelle nera come la pece” sembra essere un motivo di morte e di distruzione.
La sua riappropriazione nelle Lamentazioni, secondo Gideon Kotze, potrebbe non riferirsi alla morte letterale, ma potrebbe invece indicare che il popolo è diventato “un uomo morto che cammina”.
Allo stesso modo, la “pelle scura” che Nefi descrive ricadere sui Lamaniti non era necessariamente fisica, ma si riferiva al fatto che alcune persone avevano violato l’alleanza del Signore e quindi erano state “recise dalla presenza del Signore”, attirando su di sé la dolorosa maledizione profetizzata da Lehi in precedenza.
In altre parole, i Lamaniti avevano semplicemente sperimentato quella che Alma chiamerà in seguito “morte spirituale” e quindi le loro anime erano nelle tenebre spirituali (Alma 42:9).
Significato simbolico del nero (o scuro) e del bianco nel Libro di Mormon
Gli indizi presenti nel Libro di Mormon supportano fortemente l’interpretazione simbolica dei riferimenti alla “pelle” nera, scura e bianca. Per esempio, il primo riferimento a persone bianche o scure si trova nella visione fondamentale di Nefi.
Piuttosto che riferirsi letteralmente al colore della pelle, tali etichette sembrano collegare figurativamente persone o gruppi diversi ai simboli bianchi e scuri del sogno di Lehi, in 1 Nefi 8:20.
Allo stesso modo, in tutto il Libro di Mormon il termine scuro è frequentemente associato a termini come sporco e ripugnante, che sono chiaramente intesi a descrivere lo stato spirituale dei Lamaniti, non la loro mancanza di igiene o di bellezza fisica.
Inoltre, in tutto il resto del testo, i termini bianco, nero e scuro sono applicati in vari modi a oggetti, indumenti, pelli e persone, sempre in modi coerenti con la simbologia che associa il bianco alla purezza, alla santità e alla rettitudine, mentre associa il nero all’impurità, all’empietà e alla sporcizia del peccato.
Nella maggior parte dei contesti del Libro di Mormon, è chiaro che questi termini sono simbolici o metaforici.
Così, come ha osservato David M. Belnap, “le letture metaforiche [dei passaggi sul colore della pelle] portano coerenza ad altri versetti del Libro di Mormon che collegano la purezza, la delizia, l’oscurità, la sporcizia e parole simili allo stato spirituale di una persona o di un popolo”.
Verso la fine del suo resoconto, Nefi parla di un giorno futuro in cui il residuo dei Lamaniti sarebbe stato “restituito alla conoscenza di… Gesù Cristo”, facendo sì che “le scaglie di tenebre cominceranno a cader dai loro occhi; e… saranno un popolo puro e delizioso” (2 Nefi 30:5-6).
L’immagine allude alla cancellazione della piaga della maledizione di 2 Nefi 5:21, e Joseph Smith chiarì questo passo nell’edizione di Nauvoo del Libro di Mormon con la dicitura “un popolo puro e delizioso”, rendendo molto chiaro che si intendeva la purezza spirituale piuttosto che il colore della pelle.
Una pelle scura autoimposta come segno distintivo
Se esisteva una differenza reale nel colore fisico della pelle tra Nefiti e Lamaniti, non sembra essere stata molto marcata, dal momento che una tale differenza non viene menzionata in diversi resoconti in cui ci si aspetterebbe avere un impatto notevole sugli eventi. John L. Sorenson ha spiegato:
“È probabile che la distinzione oggettiva della tonalità della pelle tra Nefiti e Lamaniti fosse meno marcata di quella soggettiva”.
Alcuni hanno suggerito che i Lamaniti potrebbero essersi mescolati in maniera più intensa con le popolazioni indigene o che il loro stile di vita abbia reso la loro pelle più scura a causa di una maggiore esposizione al sole.
Ciò avrebbe creato una differenza più sottile nella tonalità della pelle, che forse fu enfatizzata per scopi simbolici.
Altri, facendo riferimento alla storia degli Amliciti, sostengono che qualsiasi differenza nell’aspetto fisico “fu propagata dagli stessi Lamaniti… attraverso la marcatura della loro pelle”.
Gli Amliciti “si segnarono di rosso in fronte alla maniera dei Lamaniti”, ma questo fu interpretato come un adempimento della dichiarazione del Signore secondo cui “porrò un marchio su colui che combatte contro di te e la tua discendenza”, nonostante il fatto che essi “si segnarono da soli” (Alma 3:4, 13, 18). Nibley ha spiegato:
“Il processo fu così naturale e umano che non suggerisce nulla di miracoloso all’osservatore comune… Qui Dio pone il suo marchio sulle persone come maledizione, ma si tratta di un marchio artificiale che in realtà essi pongono su se stessi”.
Negli ultimi anni, diverse teorie hanno fornito possibili spiegazioni sulla natura di questo marchio artificiale. Si considerino, ad esempio, le tre proposte principali:
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Pelli scure come indumenti
Una teoria, proposta per la prima volta da Ethan Sproat e riassunta da John W. Welch, suggerisce che “quando il capitolo 3 di [Alma] viene letto nella sua interezza, diventa evidente che… le “pelli” scure erano probabilmente pelli di animali indossate come indumenti simbolici, non la loro carne naturale”.
“Sia nel Libro di Mormon che nella Bibbia, la pelle può riferirsi a indumenti di pelle animale, e in effetti questo sembra essere il contesto in cui le pelli dei Lamaniti sono descritte come scure in Alma 3:5-6:
“I Lamaniti… erano nudi, salvo una pelle che era cinta sui loro lombi. … E la pelle dei Lamaniti era scura, secondo il marchio che era stato posto sui loro padri”.
Se questa teoria è corretta, ha osservato Welch, “i Lamaniti e gli Amliciti si distinguevano per le cose che sceglievano di indossare o di mettere su di loro”.
Sproat si rifà alla tradizione del tempio israelita, che usava abiti cerimoniali speciali che rappresentavano il manto di pelli dato ad Adamo ed Eva quando lasciarono il giardino dell’Eden, e nota che ognuna delle principali affermazioni sul colore della pelle dei Lamaniti avviene in un contesto di tempio.
In tutto il Libro di Mormon, gli autori si riferiscono sia agli abiti che alle pelli in modo identico come simboli del proprio stato spirituale.
Tra i primi Cristiani, il simbolismo del mantello scuro di Adamo ed Eva era contrapposto a un abito di luce che essi indossarono all’uscita dal giardino; ogni indumento rappresentava simbolicamente la carne: il mantello di pelle rappresentava la carne nel suo stato mortale e peccaminoso, mentre l’abito di luce simboleggiava sia lo stato purificato dopo il battesimo sia lo stato glorificato della risurrezione.
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Pelle scura come pittura per il corpo
Un’altra proposta, avanzata di recente da Gerrit M. Steenblik, è che i Lamaniti marchiassero sé stessi con una pittura scura.
L’arte del periodo classico Maya mostra che molte élite “scurivano la loro pelle con pitture, tinture e pigmenti per scopi cerimoniali e per mimetizzarsi durante la guerra, la caccia e il saccheggio”.
Ciò è coerente con il riferimento di Nefi a una “pelle scura” in stretta associazione con la descrizione dei Lamaniti come cacciatori “nel deserto di bestie da preda”.
Inoltre, la prima occasione in cui Nefi e il suo popolo incontrarono i Lamaniti dopo essersi separati da loro fu probabilmente durante le loro “guerre e contese” (2 Nefi 5:24, 34). Anche gli Amliciti si marcano in un contesto militare (Alma 3:4).
La pelle scurita dalla pittura o dalla tintura poteva essere associata a maledizioni che venivano pronunciate durante i rituali preparatori alla guerra mentre si applicava la tintura.
Il carbone e la fuliggine erano spesso usati in queste pitture per scurire la pelle, il che avrebbe potuto collegare le pelli scurite dalla pittura alla sporcizia dal punto di vista dei Nefiti.
Per alcune cerimonie maya, i partecipanti al rituale digiunavano per diversi giorni e “si coprivano di pittura nera o fuliggine, per poi essere purificati dalla fuliggine nera – sia fisicamente che simbolicamente – alla fine del digiuno”.
Forse qualcosa di simile avveniva attraverso il rituale di purificazione del battesimo, quando ad alcuni Lamaniti veniva “tolta la maledizione… e la loro pelle diventava bianca come quella dei Nefiti” (3 Nefi 2:15).
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Pelli scure come tatuaggi
Altri hanno suggerito che il marchio potrebbe essere un antico tatuaggio. Tatuare era una pratica conosciuta nell’antico Vicino Oriente e nelle Americhe tra le varie tribù indigene del Nord e del Sud America.
In Mesoamerica, ve ne sono tracce documentate sin dal 1400 a.C. tra gli Olmechi e, più tardi, tra i Maya, e la pratica è stata portata avanti fino alla conquista spagnola.
La maggior parte dei tatuaggi nell’America antica erano neri, ma esistono prove di tatuaggi rossi a Chichen Itza, il che spiega sia la pelle nera o scura dei Lamaniti sia il marchio rosso degli Amliciti (Alma 3:4).
Dal punto di vista linguistico, “il termine ‘marchio’ nel Libro di Mormon potrebbe… riferirsi alla parola tatuaggio”, poiché originariamente significava “scrivere, dipingere o segnare”.
Parole con una gamma di significati simile sono attestate nelle lingue maya. In ebraico, qaʿaqaʿ significa “incisione, impronta, tatuaggio” e viene tradotto come “segno” in Levitico 19:28: “Non dovrete… imprimere alcun segno su di voi”.
In quanto violazione della legge di Mosè, un tale marchio sarebbe stato letteralmente una “maledizione” sulla pelle dei Lamaniti, e avrebbe segnalato visibilmente la loro ribellione contro le alleanze del Signore.
Dopo che i Lamaniti si convertirono, smisero di attuare questa pratica e così le generazioni future non ebbero il marchio: “E i loro giovani e le loro figlie divennero estremamente belli” (3 Nefi 2:15-16).
Il perché
È facile, anzi naturale, che i lettori moderni del Libro di Mormon percepiscano la suscettibilità contemporanea riguardo alla razza e al colore della pelle nei passaggi che parlano di una “pelle scura” o “nera”, ma tali interpretazioni sono fuori luogo quando si legge un testo antico.
Come ha spiegato John W. Welch, “quando si leggono testi storici antichi, come il Libro di Mormon, è assolutamente necessario non imporre le idee moderne di razza e identità culturale sulle persone del passato”.
Tali interpretazioni rappresentano ciò che Sam Wineburg definisce “una lettura anacronistica del passato”. Come ha osservato Frank Snowden Jr. “nel mondo antico non esisteva nulla di paragonabile al virulento pregiudizio sul colore dei tempi moderni”.
I contesti culturali e storici sono fondamentali per superare questi presupposti presentisti moderni quando si leggono i documenti antichi.
Come ha notato Kerry Hull, quando questo viene fatto con i passaggi del Libro di Mormon che descrivono il colore della pelle, si rivela “una metafora culturale più ampia in gioco”, mentre una lettura letterale “offusca la bellezza delle immagini figurative e invita a tensioni razziali ingiustificate nelle relazioni tra Nefiti e Lamaniti”.
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Illustra anche, come ha concluso Welch, che “ci sono diverse spiegazioni per il marchio o la maledizione dei Lamaniti” che non coinvolgono il razzismo moderno.
Certamente, alcuni sia tra i Nefiti che tra i Lamaniti avevano probabilmente dei pregiudizi nei confronti dell’altro gruppo, e le descrizioni di entrambi i gruppi dal punto di vista opposto spesso riflettono antichi stereotipi sui forestieri.
Questi non erano basati sulla razza, tuttavia, ma piuttosto su differenze religiose, culturali e tribali alimentate da costosi conflitti violenti verificatisi nel corso di quasi mille anni.
Inoltre, queste occasionali espressioni di pregiudizio non costituiscono il messaggio del Libro di Mormon, che estende in modo preponderante un invito inclusivo per tutte le persone a pentirsi e venire a Gesù Cristo.
In nessun punto del Libro di Mormon un individuo o un gruppo è escluso dalle benedizioni del Vangelo sulla base della sua razza o del colore della pelle.
Nefi insegnò che “il Signore stima tutta la carne come una sola” e “non rinnega nessuno di coloro che vengono a lui, bianchi e neri, schiavi e liberi, maschi e femmine; … e tutti sono uguali per Dio, sia Giudei che Gentili”.
Alma insegnò che “il Signore sarà misericordioso verso tutti coloro che invocano il suo nome” e Ammon disse: “Dio è attento a tutti i popoli, in qualunque paese essi si trovino” (Alma 9:17; 26:37).
Secondo Mormon, “la porta del cielo è aperta a tutti… coloro che crederanno nel nome di Gesù Cristo” (Helaman 3:28).
All’apice del Libro di Mormon, il Salvatore stesso afferma di essere stato mandato “per attirare tutti [i popoli] a me” (3 Nefi 27:14).
Il volume sacro si conclude poi con l’invito del suo profeta finale, Moroni, a “tutte le estremità della terra” a “venire a Cristo, a prendere ogni buon dono… e a essere resi perfetti in Lui, a rinnegare ogni empietà… e ad amare Dio con tutta la vostra forza, mente e facoltà… cosicché mediante la sua grazia possiate essere perfetti in Cristo; e… affinché diventiate santi, senza macchia” (Moroni 10:24, 30, 32-33).
Attraverso commoventi racconti storici, il Libro di Mormon non solo insegna un messaggio inclusivo, ma illustra anche il potere del Vangelo di abbattere le barriere culturali ed etniche e di unire le persone in Cristo.
Per esempio, il resoconto dei figli di Mosia che predicano ai Lamaniti fornisce esempi toccanti di Nefiti e Lamaniti che guardano oltre le generazioni di lotte etniche per servirsi a vicenda e seguire Cristo.
Uno dei più possenti testimoni profetici di Cristo nel libro è un Lamanita (Helaman 13-15). Al culmine del libro, dimostra che la chiave per superare ogni forma di pregiudizio è lasciare andare le identità che ci dividono in “ogni sorta di -iti” e diventare “uno, figli di Cristo ed eredi del regno di Dio” (4 Nefi 1:17).
L’anziano Ahmed Corbitt dei Settanta ha insegnato che i riferimenti alla “pelle scura” o alla pelle nera “non devono distrarre i lettori dalle prospettive e dagli scopi grandiosi ed eterni… che il Signore ha inteso per il Libro di Mormon”. L’anziano Corbitt ha testimoniato con forza:
Il Libro di Mormon è, a mio avviso, il libro più unificatore sulla terra dal punto di vista razziale ed etnico. … Insegna che Dio invita e guida l’intera famiglia umana verso l’unità, l’armonia e la pace, indipendentemente dal colore o dall’etnia.
Fornisce esempi di persone rette provenienti da culture contrastanti che hanno superato le differenze di colore e di tradizione per salvare i loro fratelli e sorelle con il vangelo di Gesù Cristo e con le sue ordinanze e alleanze. …
Il Libro di Mormon è un modello dal cielo, in bianco e nero, per stabilire la pace sulla terra negli ultimi giorni.
Questo articolo è stato pubblicato su What Is the “Skin of Blackness” in the Book of Mormon? ed è stato tradotto da Ginevra Palumbo.
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