L’ordine esecutivo del presidente Trump che vieta l’entrata negli Stati Uniti agli immigrati, provenienti da sette paesi a maggioranza musulmana, non è il primo tentativo di limitare l’arrivo delle persone nel paese basandosi sulla loro fede.
Più di un secolo fa, erano i mormoni dell’Europa, immigrati ad aver trovato le amministrazioni presidenziali meno accoglienti.
Secondo l’articolo di William Mulder, dal titolo “Immigrazione e domanda Mormone”, nel 1879, il segretario di stato del presidente Rutherford B. Hayes, Wlliam Evarts, scrisse ai diplomatici degli Stati Uniti chiedendo loro di cercare aiuto da parte dei governi europei per evitare che i convertiti Mormoni decidessero di andare negli Stati Uniti.
E nel 1883 il presidente Grover Cleveland chiese al Congresso di “impedire l’importazione di mormoni nel paese”.
La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni ha affrontato la persecuzione sin dalla sua fondazione nel 1830, con i membri in fuga da New York verso l’Ohio nel Missouri.
Nel 1838, il governatore del Missouri Lilburn Boggs emise un “ordine di sterminio” chiedendo che tutti i mormoni venissero “sterminati o cacciati dallo Stato”.
I membri si stabilirono in quello che più tardi divenne lo Utah, ma l’opposizione continuò.
L’opera missionaria Mormone ha portato convertiti provenienti da tutto il mondo nello Utah e questi immigrati sono stati spesso visti come estranei e pedine di una sinistra teocrazia antiamericana.
Come per i cattolici, la loro fedeltà ad un dirigente della Chiesa – nel loro caso, il profeta Mormone – veniva vista con sospetto.
Il reverendo J.M. Coyner, nel 1882, ha immaginato le ramificazioni politiche degli stranieri immigrati Mormoni “sparsi nelle grandi regioni di montagna dell’Ovest” con ben 16 senatori negli Stati Uniti.
Questi immigrati venivano visti come le reclute povere ed ignoranti della poligamia mormone (una pratica della Chiesa bandita nel 1890), come rappresentato nel 1882 nel disegno seguente di Thomas Nast.
L’articolo di Mulder riporta che la rivista Harper, nel 1881, scrisse: “E’ chiaro che il regno Mormone in Utah è composto da stranieri e figli di stranieri.
Si tratta di un’istituzione così assolutamente non-americana in tutte le sue esigenze, che sarebbe morta nelle proprie infamie entro venti anni se non fosse per l’infusione annuale di sangue fresco proveniente dall’estero”.
L’immigrazione mormone alla fine è diminuita. Tra il 1840 e il 1910, c’era una media di 2.000 immigrati ogni anno, ma dal 1911 al 1946 si è scesi ad una media di 291, secondo quanto riporta l’Enciclopedia del mormonismo.
Ma gli effetti di questi sentimenti anti-mormoni si sentono ancora oggi.
Nel 2015, dopo che l’allora candidato Trump ha chiesto un temporaneo “arresto totale e completo dell’entrata dei musulmani negli Stati Uniti”, il governatore repubblicano dello Utah Gary Herbert si è espresso contro tale proposta, facendo riferimento al tentativo dell’amministrazione Hayes di limitare l’immigrazione Mormone in un post di Facebook, scrivendo:
“Lo Utah esiste oggi perché i paesi stranieri hanno rifiutato di esaudire i desideri sbagliati di un presidente e del suo segretario di stato”.
Ci sono ovviamente delle differenze tra gli sforzi per rallentare l’immigrazione Mormone nel 1800 e l’ordine esecutivo di Trump.
Nonostante la prima chiamata di Trump intendesse vietare espressamente l’ingresso dei musulmani negli Stati Uniti, domenica, in una dichiarazione, egli ha detto che il suo ordine esecutivo “non è un divieto islamico, come i media falsamente hanno riferito, non è una questione di religione.
Si tratta di terrorismo e di mantenere il nostro paese al sicuro”. Ma la Chiesa mormone percepisce ancora alcune somiglianze con la persecuzione del passato e sabato ha rilasciato una dichiarazione “in risposta alle recenti notizie dei media”.
“La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni è preoccupata per il benessere materiale e spirituale di tutti i figli di Dio in tutta la terra, con particolare preoccupazione per coloro che sono in fuga dalla violenza fisica, dalla guerra e dalla persecuzione religiosa” si legge nella dichiarazione.
“La Chiesa invita tutti i popoli ed i governi a cooperare pienamente nella ricerca delle migliori soluzioni per soddisfare le esigenze umane e alleviare le sofferenze”.
La chiesa rilascia una dichiarazione dopo il divieto sui rifugiati
La chiesa Mormone ha rilasciato una dichiarazione, sollecitando soluzioni che allevino le sofferenze dei rifugiati.
Il divieto sui rifugiati blocca l’ingresso ai rifugiati siriani a tempo indeterminato e per 90 giorni a coloro che provengono dai paesi con problemi di terrorismo.
Il Dipartimento di Stato ha detto che questi paesi sono sette nazioni a maggioranza musulmana: Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen.
Coloro che guidano le fedi religiose negli Stati Uniti esprimono preoccupazione per la libertà religiosa. Questa è la seconda volta che la chiesa Mormone risponde ad un’iniziativa di Trump per bloccare l’immigrazione.
I dirigenti della chiesa hanno rilasciato una dichiarazione nel dicembre 2015, subito dopo che Trump, durante la campagna elettorale, aveva chiesto un divieto di immigrazione musulmana negli Stati Uniti.
Proprio come la dichiarazione di sabato, anche quella di dicembre non ha nominato Trump né si è riferita specificamente alla controversia, ma viene detto che, nonostante la fede sia neutrale per quanto riguarda la politica dei partiti e delle campagne elettorali, “non è neutrale rispetto alla libertà religiosa”.
Ha riportato due affermazioni del fondatore della chiesa Joseph Smith, per ribadire la sua posizione di sostegno al pluralismo religioso.
Nel 1841, Joseph Smith era il sindaco della città (in gran parte Mormone) di Nauvoo, in Illinois, quando firmò un’ordinanza sulla libertà religiosa che proteggeva i diritti di tutte le fedi.
Nel 1843, egli si disse disposto a morire per difendere il diritto alla libertà religiosa delle persone di qualsiasi fede.
Nel mese di settembre, l’anziano Jeffrey R. Holland del Quorum dei Dodici Apostoli, ha chiesto ai governi di fare di più per aiutare i rifugiati.
“I governi oggi non rispondono in modo urgente al problema dei rifugiati, né su larga scala” ha detto.
Ha sostenuto che la situazione dei 60 milioni di rifugiati al mondo dovrebbe generare indignazione.
“Il mondo ha bisogno di essere più indignato di quanto non sia, quando leggiamo della persecuzione, della violenza, della violenza sessuale, dell’omicidio, dello stupro, della distruzione delle famiglie e di qualsiasi struttura sociale che queste persone hanno avuto: intere culture quasi distrutte”, ha detto.
Infine, l’anziano Holland ha fatto un chiaro riferimento al programma “Ero un forestiero”, partito la scorsa primavera.
Il programma chiama i Mormoni, in particolare le donne della Società di Soccorso, ad aiutare i singoli rifugiati a reinsediarsi nelle loro comunità.
“Abbiamo bisogno di incoraggiare i cittadini locali ad accogliere i rifugiati nella loro vita di tutti i giorni”, ha detto.
Questo articolo è stato scritto da Hunter Schwarz e pubblicato sul sito edition.cnn.com. Questo articolo è stato tradotto da Cinzia Galasso.
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