Partiamo dall’idea che “Dio vuole che siamo uomini e donne liberi, capaci di realizzare il nostro pieno potenziale sia materialmente che spiritualmente. […]
È nel Suo piano e nella Sua volontà che siamo noi ad avere il ruolo principale nel prendere decisioni nella nostra vita.
Dio non vivrà la nostra vita al posto nostro, né ci controllerà come se fossimo i Suoi burattini, come propose una volta Lucifero (“Per sempre liberi, per agire da sé”, anziano D.Todd Christofferson, Conferenza Generale, ottobre 2014).
Come citano, infatti, le scritture: Essendo così redenti dalla Caduta, nasciamo come esseri innocenti davanti a Dio e diventiamo “per sempre liberi, distinguendo il bene dal male; per agire da [noi stessi] e non per subire. (2 Nefi 2:26).
Essere liberi di agire da noi stessi, significa anche che “ciascuno sia responsabile dei suoi propri peccati nel giorno del giudizio”.
E’ così che ci chiediamo come sia possibile coniugare l’inclinazione di attrazione per persone dello stesso sesso con ciò che la chiesa mormone insegna, affermando che “il matrimonio tra l’uomo e la donna è essenziale per la realizzazione del Suo piano eterno” (La famiglia, Un proclama al mondo).
La storia di un membro
Recentemente, protagonista di questa situazione è stato un membro, un ragazzo che ha servito una missione per la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni a Milano, e si è poi trasferito in Spagna dove, la scorsa settimana, ha rilasciato un’intervista in cui spiegava i suoi sentimenti per superare la repressione religiosa ed accettare la sua omosessualità.
Fin da piccolo, è cresciuto nella fede mormone e gli sono stati insegnati valori per cui l’attrazione per persone dello stesso sesso fosse qualcosa da reprimere.
Esternò la sua inclinazione sessuale, per la prima volta a voce alta, mentre si trovava al centro di addestramento missionario, ad un dirigente della chiesa, che lo abbracciò con comprensione.
Ha servito due anni di missione a Milano, dopodichè rientrò a casa e riprese i suoi studi alla BYU dove, circondato da un’altissima percentuale di studenti membri della chiesa, sentì una crescente pressione verso la sua inclinazione.
Decise che sarebbe stato un buon membro della chiesa, controllando i suoi impulsi sessuali.
Aprì anche un blog, dove rese pubblica la sua situazione, in modo da aiutare chi, come lui, stava affrontando la stessa difficoltà nel cercare di coniugare istinto e valori religiosi.
Iniziò poi un percorso di terapia, dove incontrò altri membri mormoni omosessuali, che lo aiutò nella ricerca di un equilibrio.
Nel 2016, si trasferì in Spagna, visto che il suo programma di studi gli permise di trascorrere un semestre all’estero. Una volta in Spagna, smise di frequentare le terapie di gruppo, ed inizió a sentirsi solo e spiritualmente debole.
Provò a frequentare dei gruppi di terapia simili, ma lontano dalla famiglia e dallo Utah fu difficile mantenere la stessa costanza.
Iniziò, così, a sentirsi con un ragazzo, tramite canali social, ma la loro relazione si limitava alle conversazioni in chat, poiché non si sentiva a suo agio ad andare oltre.
Quando tornò nello Utah, iniziò a scriversi con altri ragazzi omosessuali della zona ma ancora, preso dai sensi di colpa, il giorno seguente stroncava le conversazioni.
Questo andò avanti finché non parlò con un suo amico spagnolo, che non era membro della chiesa mormone, e si sentì dire: Beh, non credo che la chiesa di un Dio che ami tutti allo stesso modo, possa aver creato un’organizzazione con così tante disuguaglianze”.
Egli cita: “Quella piccola frase fu la chiave per me e, da quel momento, tutto iniziò a cambiare.
L’omosessualità è un peccato?
Avevo passato tutta la mia vita a servire un Dio in una chiesa che mi disprezzava. Nonostante ciò, non mi ero allontanato. Perché ero così masochista?
Il dolore e la solitudine che mi tormentavano non andavano via neanche con le migliori terapie o con le preghiere più intense, perché era una partita che non avrei mai potuto vincere.
Per farlo, avrei dovuto infrangere le regole e smettere completamente di giocare.
Ho iniziato a pensare in modo diverso al mio amico che aveva lasciato tutto, per stare con il suo ragazzo: ero invidioso e volevo amare qualcuno così tanto, da poter fare qualcosa di altrettanto coraggioso. Ed inoltre ero stanco di essere così solo.
Ho iniziato ad incontrare dei ragazzi gay della zona, non per fare sesso, ma per uscire, incontrare persone ed avere amici.
Quando rientravo dopo i miei appuntamenti, mi rendevo conto che uscire con i ragazzi non era peccato, altrimenti quello stesso concetto di peccato con il quale avevo vissuto per tutta la mia vita non esisteva, visto che non mi sentivo affatto male e mi sembrava la cosa più naturale del mondo.”
A questo proposito, la Chiesa non ha mai dichiarato essere peccato uscire con ragazzi gay e instaurare nuove amicizie. Inoltre, nel 2006, l’anziano Dallin H. Oaks ha dichiarato:
“La Chiesa non ha preso posizione su nessuna delle questioni riguardanti queste vulnerabilità o inclinazioni, incluse quelle legate all’attrazione verso lo stesso sesso” (Intervista con l’anziano Dallin H. Oaks e l’anziano Lance B.Wickman “Attrazioni verso lo stesso sesso”, 2006).
Provare questi sentimenti non è peccato e possiamo scegliere come reagire. L’anziano Russell M. Ballard ha dichiarato:
“Chiariamoci: la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni crede che ‘sperimentare attrazione verso stesso stesso è una realtà complessa per molte persone.
L’attrazione in sé e per sé non è un peccato, ma lo è agire su questo istinto. Anche se le persone non scelgono di avere queste attrazioni, scelgono come reagire ad esse.
Con amore e comprensione, la Chiesa da’ una mano a tutti i figli di Dio, incluso [coloro con attrazioni verso lo stesso sesso]” (“The Lord Needs You Now!’ Ensign, sett.2015, 29).
Sebbene l’attrazione verso lo stesso sesso non sia un peccato, può essere una sfida. Anche se non si può scegliere se provare o meno questi sentimenti, ci si può impegnare a obbedire ai comandamenti di Dio.
Il genitore di un figlio che sperimenta attrazione verso lo stesso sesso o si identifica come gay, dovrebbe scegliere di amare e accogliere ugualmente quel figlio.
Quale comunità di membri della Chiesa, dovremmo scegliere di creare una comunità accogliente.
Dio ci salva così come siamo?
Durante l’intervista, ha continuato dicendo: “È stato un processo molto lungo, ma necessario e difficile. Ho smesso di pregare. Ho smesso di leggere le scritture.
Ho smesso di chiedere perdono per dei peccati che non esistevano. Mi sono reso conto che non avevo bisogno di nulla di tutto ciò e che quelle erano soltanto catene che mi tenevano legato”.
In merito a questo, è importante ricordare che, a prescindere da tutto, il Signore ci ha chiesto di seguirLo.
“Ed ora, miei diletti fratelli .. se voi deste ascolto allo Spirito che insegna all’uomo a pregare, voi sapreste che dovete pregare; poichè lo spirito maligno non insegna all’uomo a pregare, ma gli insegna che non deve pregare.
Ma ecco, io vi dico che dovete pregare sempre” (2 Nefi 32:8-9); “Le scritture saranno date .. per la salvezza dei miei eletti” (D&A 35:20).
“Per quanto concerne le questioni spirituali, alcuni suppongono che gli uomini e le donne non debbano impegnarsi nella rettitudine personale — perché Dio ci ama e ci salva “così come siamo”.
Dio non ci salva “così come siamo”, primo perché, “così come siamo”, siamo impuri e “nessuna cosa impura può […] dimorare in sua presenza; poiché, nella lingua di Adamo, Uomo di Santità è il suo nome, e il nome del suo Unigenito è il Figlio dell’Uomo [di Santità]”.
E secondo, Dio non agirà per fare di noi qualcosa che non abbiamo scelto di diventare con le nostre azioni. Egli ci ama veramente e, perché ci ama, non ci obbliga né ci abbandona.
Al contrario, ci aiuta e ci guida. La vera manifestazione dell’amore di Dio si palesa nei Suoi comandamenti.
Fraintendere la giustizia con la misericordia di Dio è una cosa; negare l’esistenza o la supremazia di Dio è un’altra, ma il risultato di entrambe sarà che non raggiungeremo completamente — a volte saremo ben lontani dal farlo — il nostro pieno potenziale divino.” (“Per sempre liberi, per agire da sé”, anziano D.Todd Christofferson, Conferenza Generale, ottobre 2014).
L’anziano Neal A. Maxwell, ha dichiarato:
“La sottomissione della propria volontà è in realtà l’unica cosa personale che abbiamo da deporre sull’altare di Dio. […] Se ci lasciamo conquistare dalle cose del mondo, diventiamo schiavi di esse.
Se abbiamo l’animo rivolto alle cose della carne, non possiamo avere la mente di Cristo, perché i nostri pensieri, i desideri e gli intenti del nostro cuore, sono lontani da Gesù. […]
Se non siamo disposti a lasciarci guidare dal Signore, saremo inseguiti dai nostri appetiti” (“Assorbita dalla volontà del Padre, Conferenza Generale ottobre 1995).
Riconoscere le proprie debolezze è la chiave per essere forti
“Ricordo le prime volte che andavo nei bar e nei club di Chueca. Non potevo credere che ci fossero così tante persone come me e non capivo come potessero vivere così liberamente.
Pensavo che, se fossi stato buono, Dio mi avrebbe dato qualche premio o mi avrebbe tolto la maledizione dell’omosessualità”.
Sempre l’anziano Neal A. Maxwell ha osservato: “Non è cosa facile essere messi davanti alle proprie debolezze.
Ma questo fa parte del venire a Cristo, ed è una parte vitale, sebbene dolorosa, del piano di felicità di Dio” (Speranza tramite l’Espiazione di Gesù Cristo, Conferenza Generale, ottobre 1998).
Alcune persone si sentono sconfitte dalle proprie debolezze e cedono alla disperazione. Alcuni tentano di nascondere o ignorare le proprie mancanze a causa del dolore e dell’imbarazzo.
Ma, come il Signore disse a Moroni, riconoscere e accettare una debolezza è un passo necessario per superarla:
“E poiché hai veduto la tua debolezza, sarai reso forte” (Ether 12:37)
A volte, nonostante tutto ciò che facciamo affinché “le cose deboli divengano forti”, il Signore, nella Sua saggezza infinita, non ci toglie la nostra debolezza.
L’apostolo Paolo lottò tutta la vita con “una spina nella carne”, che egli disse servì a renderlo umile “affinché non montasse in superbia” (2 Corinzi 12:7).
Paolo chiese tre volte al Signore di togliergli la sua debolezza, e tre volte il Signore si rifiutò di farlo. In seguito il Signore spiegò che la Sua grazia era sufficiente per Paolo e che, infatti, la sua forza fu “resa perfetta nella debolezza”.
Paolo poi scrisse:
“Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo.
Perciò mi diletto nelle mie debolezze, nelle ingiurie, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle avversità per amore di Cristo: perché quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Corinzi 12:9-10).
Quando sottomettiamo umilmente la nostra volontà al Signore, scopriamo che le nostre debolezze possono invero divenire fonti di forza, se poniamo la nostra fiducia in Lui.” (Making Weak Things become Strong, Anne C. Pingree, Ensign dicembre 2004).
Cosa vuol dire “essere liberi”
Infine, la sua dichiarazione dice: “In realtà, non si può scegliere la propria natura, ma si può scegliere come rispondere ad essa. Non cambierei la libertà che ho oggi per niente al mondo”, rispondiamo con la dichiarazione di anziano D. Todd Christofferson:
“Dio vuole che siamo uomini e donne liberi, resi capaci di realizzare il nostro pieno potenziale sia materialmente che spiritualmente; vuole che siamo liberi dalle limitazioni umilianti della povertà e dei legami del peccato, che godiamo di autostima e indipendenza, che siamo preparati in ogni cosa per raggiungerLo nel Suo Regno Celeste.”
In Mosia 3:19 leggiamo:
“Poiché l’uomo naturale è nemico di Dio, lo è stato fin dalla caduta di Adamo, e lo sarà per sempre e in eterno, a meno che non ceda ai richiami del Santo Spirito, si spogli dell’uomo naturale e sia santificato tramite l’espiazione di Cristo, il Signore, e diventi come un fanciullo, sottomesso, mite, umile, paziente, pieno d’amore, disposto a sottomettersi a tutte le cose che il Signore ritiene conveniente infliggergli, proprio come un fanciullo si sottomette a suo padre.”
Essere resi liberi significa cedere ai richiami dello Spirito.
Significa spingerci innanzi lungo il sentiero dell’alleanza, rimettendo la nostra volontà alla Sua, sottomettendoci alle Sue priorità e ai tempi che Egli ha stabilito per noi.
Significa credere il Lui, avere fiducia che le Sue copiose benedizioni sono a nostra disposizione e si applicano alla vita di ciascuno di noi e delle nostre famiglie.
Significa accettare il Suo potere e le Sue promesse come qualcosa di reale, invitando pace e gioia nella nostra vita, in una prospettiva eterna.
Essere liberi significa essere capaci di realizzare il nostro pieno potenziale sia materialmente che spiritualmente.
«Ciò che Cristo desidera da noi è una resa assoluta e totale … un dono volontario di fiducia, fede e amore». (“Gesù il Cristo”, Robert L.Backman, conferenza generale ottobre 1991).
“Non mi illudo che possiamo raggiungere tali obiettivi con le nostre sole forze, senza il Suo aiuto considerevole e costante.
Sappiamo che è per grazia che siamo salvati, dopo aver fatto tutto ciò che possiamo fare.
E non dobbiamo raggiungere un certo livello minimo di competenza o di bontà prima che Dio ci aiuti — l’aiuto divino può essere nostro ogni ora di ogni giorno, a prescindere dalla nostra posizione sul sentiero dell’obbedienza.
So, invece, che oltre a desiderare il Suo aiuto, dobbiamo darci da fare, pentirci e scegliere Dio perché Egli possa agire nella nostra vita nel rispetto della giustizia e del libero arbitrio morale.
Prego semplicemente che ci assumiamo la responsabilità e ci mettiamo all’opera, così Dio avrà qualcosa con cui aiutarci.” (“Per sempre liberi, per agire da sé”, anziano D.Todd Christofferson, Conferenza Generale, ottobre 2014)
Commenti