Nel corso di una recente lunga conversazione con una persona che sta affrontando una crisi della fede alla ricerca di Dio – lunga perché lei riportava i motivi per cui non credere mentre io rispondevo con motivi per cui credere, cosa che può andare avanti all’infinito – ho avuto una chiara impressione: non stavamo parlando della stessa cosa.
La sua religione è un insieme di idee pesate su una bilancia in cui il piatto di coloro che credono non raggiunge mai il piatto di coloro che hanno dei dubbi.
Invece, la mia fede è basata meno su una certezza scientifica e più sulla relazione che ho costruito con Qualcuno, con la Q maiuscola.
Egli mi ha condotto per mano nel mezzo di molti periodi difficili ed è stata la fonte delle mie gioie più profonde.
Mentre per lei abbandonare la religione significa scartare idee che non si adattano alla sua visione del mondo, per me, abbandonare la fede, sembra un tradimento.
Mi trovo in buona compagnia con un modello di relazione divina, aiutato e incoraggiato da scrittori come Pascal, che scrisse nei “Pensieri” che coloro che cercano di confutare la Bibbia attraverso la ragione, stanno solamente provando ciò che Dio stesso si definisce nelle scritture:
il Dio nascosto, che si manifesta solamente a coloro che lo cercano sinceramente.
C.S. Lewis fece notare che quando si crede in un Dio personale, “non ti trovi più di fronte ad una discussione che richiede il tuo consenso, ma ad una persona che richiede la tua fiducia.”
E il sentiero dall’incredulità alla fede di Anne Lamott è iniziato quando ella cominciò a sentire Gesù “vegliare su di me con pazienza e amore”, una sensazione che paragonò a “la sensazione che un gattino mi stesse seguendo, chiedendomi di chinarmi e prenderlo in braccio, di aprire la porta e farlo entrare.”
I loro incontri con un Dio-persona che guadagna la loro fiducia non esaudendo ogni loro desiderio come un genio o rispondendo ad ogni domanda come un professore celeste, rispecchiano il mio viaggio spirituale.
Sebbene trovi molte cose che abbiano senso, anche in modo profondo, nelle dottrine della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni e, sebbene abbia ricevuto delle risposte alle mie domande nel corso degli anni, non tutte le domande hanno ricevuto una risposta e non tutti i dubbi sono stati risolti.
Dubito che lo siano per chiunque.
Credo che vivere la religione porti nella mia routine mondana, emozionante, felice, triste e quant’altro una Presenza che occasionalmente la interrompe – a volte in modo delicato come un gatto, altre volte in modo miracoloso.
La ricerca di un Dio che ci conosca personalmente
Pensereste che i teologi della nostra fede, con la loro dottrina di Dio quale essere incarnato e relazionale, abbiano già scritto diversi libri come quello pubblicato di recente: Who is Truth: Reframing Our Questions for a Richer Faith (“Chi è Verità: rimodellare le nostre domande per una fede più ricca) di Jeffrey L. Thayne e Edwin E. Gantt, ma forse me li sono persi.
Questi due psicologi affiliati alla BYU, esplorano, in una terminologia filosofica accessibile a lettori amatoriali come me, la “persona-verità” al centro della visione ebraica della Bibbia: quella di un Dio dinamico e relazionale che ci parla personalmente.
Al contrario, le idee basate sul pensiero greco e illuminista permeano la nostra cultura ed enfatizzano “l’idea-verità” che è astratta, impersonale, non cambia mai e può essere raggiunta empiricamente.
Gli autori non si oppongono in alcun modo, e sono studiosi addestrati secondo un rigoroso pensiero accademico modellato su idee illuministiche di osservazione sistematica e analisi razionale.
Il punto saliente del loro libro è che fondere la religione con una serie di idee che richiedono prove empiriche porti a molti dei “labirinti intellettuali e spirituali dei nostri giorni”, labirinti meglio esplorati da una fede nata da incontri con il Divino.
Come altri che hanno descritto le sfumature del QI spirituale, essi fanno una distinzione tra il dimostrare un’ipotesi scientifica e scoprire la verità spirituale.
Nel loro percorso, essi esplorano le ramificazioni della visione della verità di una persona su ogni cosa, dalle dichiarazioni contraddittorie di leaders della fede nell’affrontare le vicissitudini della vita che ci fanno sentire fuori controllo.
La prima parte del libro sottolinea le differenze filosofiche tra l’idea-verità, in cui “la religione diventa un insieme di dottrine” e la persona-verità, fede nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe che guida i Suoi figli in diversi periodi che comportano direttive mutevoli.
Mentre l’idea-verità della scienza richiede che i suoi precetti siano immutabili e coerenti, come il Teorema di Pitagora, la persona-verità della religione esiste in mutevoli storie scritturali che descrivono “le azioni salvatrici, soccorritrici ed edificanti di Dio.”
Mentre l’idea-verità si oppone all’ incongruenza nelle scritture e nei sermoni dei leader religiosi, la persona-verità vede queste incongruenze in modo diverso.
Gantt e Thayne fanno notare che i leader della Chiesa “con diverse esperienze e prospettive” presentano “decine di sermoni l’anno in svariati contesti nel corso dei loro decenni di servizio nella Chiesa.”
Ovviamente, sono giunti alla conclusione che una così elevata quantità di parole proferite da così tante persone, possa includere delle contraddizioni interne, così come le scritture.
Ma, secondo una visione personale della verità, lo scopo sia del sermone che delle scritture è coerente, nonostante le discrepanze: entrambi “ci invitano ad un rapporto di alleanza con Dio”, piuttosto che “generare un perfetto consenso di credenze astratte.”
Fissare l’idea-verità sulla persona-verità non solo ci porta ad aspettative surreali di un consenso perfetto, ma crea anche problemi in altre circostanze in cui non comprendiamo le differenze.
Mentre l’idea-verità richiede che i suoi esperti siano sottoposti ad una valutazione tra pari e contribuiscano al consenso scientifico, la persona-verità permette a Dio di scegliere umili profeti che spesso non cercano il consenso.
Mentre l’idea-verità richiede conformità solo alle idee corrette (l’infedeltà di Einstein, per esempio, non ha mai influito sulle sue teorie scientifiche), la persona-verità richiede di vivere nel modo giusto ed esige da noi richieste morali per giungere alla verità spirituale.
Altrettanto importante è che un approccio persona-verità implica la fedeltà. “Non volete andarvene anche voi?” Gesù chiese ai Dodici quando molti dei Suoi discepoli lo stavano abbandonando a causa del sermone del Pane della Vita.
Il Dio della persona-verità ci chiede di rimanere fiduciosamente con Lui nei periodi di dissonanza cognitiva e nelle prove, mentre una visione dell’idea-verità ci fa scartare in modo giustificato le idee che troviamo non scientifiche o inutili.
Tuttavia, Thayne e Gantt insistono sul fatto che la lealtà al Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe non derivi da una fede cieca ma da una fiducia, che deriva dall’esperienza, proprio come una stretta relazione matrimoniale si basa sulla fiducia derivata da un insieme di interazioni in cui la persona amata è tornata ancora e ancora.
Come arrivare ad una conoscenza del divino
Lo scopo di Thayne e Gantt, come reso noto da loro stessi, non è quello di “gettare benzina sull’ irritante conflitto tra scienza e religione”, ma di arrivare ad un’ umiltà epistemica, ovvero “considerare il naturalismo come un’ipotesi pragmaticamente utile, piuttosto che come un’assoluta verità.”
In altre parole, sì, in laboratorio o in classe, cercate il consenso nella valutazione di esperti alla pari, ma non aspettatevi che lo stesso approccio porti al Divino.
Similmente, mantenere l’ideologia politica entro i confini della politica aiuta a distinguere ulteriormente un insieme di idee da un paradigma religioso; diversamente, affermano Grantt e Thayne, rischiamo di opporre “la nostra visione ideologica del mondo (che si tratti di liberalismo, libertarismo, conservatorismo o qualsiasi altro sistema di credenze)” agli insegnamenti dei servitori di Dio.
Così facendo, scrivono, saremo portati all’ “ideolatria, che è ciò che accade quando eleviamo un sistema astratto di credenze (o ideologie) al livello di verità assoluta.”
Le argomentazioni degli autori relativi ai limiti posti dall’ arrivare alla verità religiosa mediante l’ideologia, la ragione o l’insieme di informazioni, e il loro avvertimento rispetto ad una componente comportamentale per avere accesso al Divino, mi ricorda un altro libro utile:
How to Think (“Come pensare”) del professore di letteratura Alan Jacobs. Tra le ricette interessanti di Jacobs per pensare bene, troviamo l’enfasi sulle componenti emotive e relazionali per giungere alla verità.
Se vuoi sviluppare il tuo pensiero, suggerisce Jacobs, sviluppa il tuo carattere ed i tuoi sentimenti.
Apparentemente John Stuart Mill, cresciuto per diventare un genio razionale, all’inizio dell’età adulta attraversò una fase di esaurimento nervoso che trovò cura nelle letture di Wordsworth, il poeta dei sentimenti e della trascendenza.
Un’osservazione nel libro di Jacobs di G.K. Chesterton sui limiti della ragione, merita una lunga citazione:
“Se litighi con un folle, è altamente probabile che non otterrai nulla di buono; poiché la sua mente si muove per molti aspetti più velocemente per non essere rallentata dalle cose che seguono il buon senso.
La sua non è ostacolata dall’umorismo o dalla carità o dalle sciocche certezze dell’esperienza.
Lui è il più logico tra i due perché non da spazio a certi affetti sani. Infatti, la celebre frase sulla follia è fuorviante da questo punto di vista. Il folle è colui che ha perso tutto tranne che la sua ragione.”
Chesterton, Jacobs, Thayne, e Gantt sembrano essere d’accordo sull’esistenza di altri modi per giungere alla conoscenza—modi pratici che vanno al di là della ragione.
William James ed il suo Varieties of Religious Experience (“Varietà di esperienza religiosa”) concordano anche sul genere scientifico.
La psicologa clinica e docente alla Columbia University, Lisa Miller, nel suo libro The Spiritual Child (“Il bambino spirituale”) attribuisce lo sviluppo del suo QI spirituale alle preghiere ad alta voce di sua madre ed alla pacata condivisione di momenti spirituali di suo padre.
Ella trova scientificamente plausibile l’idea che gli esseri umani siano connessi per andare oltre la realtà tangibile e abbiano una spiritualità innata che deve essere usata – o persa – e suggerisce alcune attività spirituali e trascendenti per sviluppare un rapporto con il divino.
Siccome, secondo Thayne and Gantt, il peccato rappresenta una forma di malattia nel nostro rapporto con un Dio personale, “quasi tutto potrebbe essere un peccato e potrebbe allontanarci da Dio, mentre cose piccole e neutrali possono avvicinarci a Lui”.
È interessante notare che, il concetto di persona-verità, essi sostengono, comporti il concetto di persona-falsità—un’incarnazione del male che rappresenta non solo un insieme innocuo di false idee o credenze, ma un essere che cerca attivamente di condurci lontano da un essere benevolo.
Mentre la visione-idea della verità raccomandi giustamente confutazioni razionali per abbattere i falsi miti, la visione-persona della verità presuppone che, quando si ha a che fare il con diavolo, “i dibattiti razionali potrebbero essere insufficienti. Spesso è necessario il salvataggio divino.”
Chi è verita: forze benevole vs. forze tentatrici
Parlando del diavolo, concluderò con uno dei capitoli più persuasivi del libro Who is Truth (“Chi è verità”): “La persona-verità non ci da’ il controllo.”
In esso, Gantt e Thayne offrono saggi consigli ai nevrotici come me che cadono preda del consiglio di Berlicche al suo giovane diavolo: Mantieni il paziente umano ossessionato dall’incertezza e da “immagini contraddittorie del futuro” che fanno sorgere ansia e suspence.
Il diavolo maggiore assicura che, soffermarsi sul futuro e sull’incertezza, barrica la mente umana contro Dio, che “vuole che gli uomini si preoccupino di ciò che fanno; il nostro lavoro è farli soffermare a pensare su ciò che gli accadrà.”
L’idea-verità infatti ci dà un senso di controllo. Supportata dall’empirismo, “l’ideale tecnologico” della scienza moderna ci permette di predire cosa accadrà in futuro e, quando scientificamente possibile, anche esercitare il controllo per cambiare lo stato delle cose.
Inoltre, la qualità morale delle nostre vite e “la nostra disonestà e orgoglio, la nostra mancanza di compassione verso coloro che soffrono”, scrivono Thayne e Gantt, “sono tutte estranee alla nostra capacità di riportare osservazioni accuratamente o di trarre conclusioni logiche.”
In ogni caso, la persona-verità non solo include la condotta morale, ma ci richiede di rinunciare al controllo.
Gli autori scrivono che non è una novità che ci arrendiamo davanti alla tentazione di “applicare l’ideale tecnologico dell’idea-verità al Vangelo [in cui] la vita evangelica diventa una formula che seguiamo per garantire una vita prospera, un matrimonio felice, figli fedeli o altri tipi di benedizioni.”
Tuttavia, essi sottolineano che “volgersi a Cristo implica di abbandonare il controllo sulle nostre vite,” e illustrano questo aspetto della persona-verità intrecciando diverse storie lungimiranti di C.S. Lewis.
In Perelanda, uno dei protagonisti deve trascorrere le notti su isole che galleggiano con le correnti e viene tentata da un essere demoniaco di spostarsi sulla terra ferma per sicurezza, cosa a cui lei resiste.
Solo dopo essere stata guidata da un essere divino sulla terra ferma, si rende conto che lasciare le isole galleggianti prima, avrebbe significato “rigettare l’onda – per togliere le mie mani da quelle di Dio e dirgli: non così, ma così.”
Mettere in discussione Dio per riuscire nella ricerca
Proprio come i Castori raccontano ai bambini Pevensie nel libro Il leone, la strega e l’armadio, che Aslan, il leone che impersonifica Cristo, non è “al sicuro”, Gantt e Thayne spiegano che neppure Dio è “al sicuro”:
“Egli non è un idolo astratto che possiamo plasmare a nostra immagine o lasciare nelle nostre menti insieme a solchi totalmente razionali, attesi e familiari.”
Ancora una volta, usano C.S. Lewis per un bel colpo:
“La mia idea di Dio non è un’idea divina. Deve essere messa in discussione di tanto in tanto.
Lui stesso la mette in discussione. È un grande iconosclasta. Potremmo forse dire che questa messa in discussione sia proprio un segno della sua presenza?”
Questo grande iconoclasta, il Chi della mia fede, è abbastanza presente, anche dopo aver dubitato, per farmi sapere che posso affrontare isole galleggianti, domande del Vangelo, persino ciò che è sconosciuto, fintantoché sento i segni della sua presenza.
Camminare con Cristo è qualcosa di potente, sottolinea lo scrittore Timothy Keller, illustrando questo concetto nel capitolo conclusivo del libro Racconto di due città.
Quando il protagonista Sydney Carton si offre come volontario per prendere il posto della prigioniera Charles Darnay, una giovane sarta condannata a morte, ella scopre l’identità di Carton e si meraviglia del suo sacrificio di sostituirsi a lei.
Profondamente commossa, gli chiede di tenerle la mano per farsi forza mentre si recava alla ghigliottina.
Sebbene il Cosa della dottrina evangelica sia importante, e infatti riempie la maggior parte dei nostri discorsi e delle lezioni della Scuola Domenicale, alla fine dei conti non può camminare con noi o salvarci.
Guardare al Chi, come suggerisce il libro, offre una nuova prospettiva alla nostre domande evangeliche e, non solo ci porta ad una fede più ricca, ma ci aiuta ad attraversare persino la valle dell’ombra e della morte sapendo che non siamo soli.
Alla ricerca di Dio: Il nostro rapporto con il divino è stato scritto da Betsy Vanderbergher e tradotto da Sara Mondelli.
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