È possibile confidare nell’Eterno anche quando pensiamo che a Dio non importi di noi o delle nostre speranze? Quando ci sembra che le nostre preghiere non ricevano risposta? 

Durante un devozionale tenuto nel giugno del 2019, sorella Michalyn Steele, professoressa associata della facoltà di legge, ha parlato agli studenti della Brigham Young University di come quella di fidarsi del Signore sia una scelta consapevole.

Ha promesso che facendolo sarà più facile superare le difficoltà e ha condiviso tre principi che ha imparato nel corso della sua vita.

Di seguito un estratto del suo discorso:

Scegliere di confidare nell’Eterno

Sono un membro della Nazione Seneca degli Indiani di New York. Sono cresciuta in un piccolo ramo de La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni nella Riserva Cattaraugus.

Sono grata del mio retaggio Seneca e per la forza dei miei antenati pionieri. Molte sono le benedizioni che ricevo attraverso coloro che scelsero il sentiero del discepolato.

Riconosco con gratitudine coloro che mi hanno preceduto, che hanno mostrato la via, preparato il terreno affinché la mia fede potesse fiorire e che hanno aperto le porte alle opportunità che mi sono state offerte.   

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[…] Con questo spirito spero di condividere con voi un messaggio che vi aiuti ad attraversare i giorni difficili a venire e le molte prove della fede che si presenteranno nel corso della vostra vita.

Tutti ci ritroveremo ad affrontare le avversità intrinseche della mortalità—prove di fragilità fisica, malattia mentale, cordoglio, perdita, disordine politico e ingiustizia dilagante—e prove di natura spirituale che sicuramente metteranno alla prova il nostro impegno nei confronti del Salvatore e del Suo regno.

Il mio messaggio per voi oggi è che, a prescindere dalle vostre prove—fisiche o spirituali—potete scegliere di confidare nell’Eterno.

Mentre molto di ciò che vi circonda è mutevole e fugace, Egli è fedele. Egli non vi abbandonerà mai. Potete contare nel Suo amore quale verità infallibile.

Confidare nell’Eterno: Nel mezzo della fornace delle afflizioni

In tempi di difficoltà, potreste trovarvi a chiedere, come quest’inno:

Dove trovar potrò pace e conforto

quando ogni forza in me svanirà?… 

Come allevierò il mio dolore,

a chi gli occhi miei volgerò?

Dove è la quiete che calma ogni angoscia?

Solo il mio Gesù mi può capir.

Le mie esperienze di vita mi hanno insegnato la veridicità della risposta che troviamo nell’inno.

Il Signore è lì per comprenderci e calmare ogni nostra angoscia. In molti momenti ho visto la mano del Signore muoversi in modo miracoloso per mettere in ordine e benedire le circostanze della mia vita.

Ha preparato un cammino, aperto porte, suscitato amici e moltiplicato le gioie. Ho visto come tali benedizioni fossero state preparate su misura per me e adattate ai miei bisogni particolari.

Molte benedizioni sono state messe in moto prima ancora che si presentasse la necessità. Allo stesso modo l’avversario ha preparato ostacoli e prove adatti alle mie debolezze.

Ci sono stati anche momenti in cui ho desiderato che il Signore intervenisse in modi specifici, quando ho chiesto e implorato il Signore di darmi benedizioni che non si sono realizzate.

Ci sono state domande che non hanno ricevuto risposta e periodi in cui i cieli sembravano tacere. In quei momenti l’avversario ha tentato di sussurrare alle mie orecchie che nessuno avesse sentito le mie preghiere.

Confidare nell’Eterno: nel mezzo della fornace delle afflizioni

Ho pregato e digiunato per molti anni affinché la promessa della mia benedizione patriarcale e di altre benedizioni del sacerdozio—che trovassi un degno compagno e fossi  madre—si adempiesse.

Queste benedizioni non si sono adempiute per me secondo i miei tempi, nonostante le mie ferventi richieste. Ma non perché nessuno le abbia sentite.

Quella era una menzogna dell’avversario. Il mio Padre celeste ha ascoltato e risposto ad ogni preghiera, anche quando le risposte erano difficili da accettare.  

Certamente ho avuto una vita ricca, felice e soddisfacente.

Il Signore ha riversato benedizioni in abbondanza—distribuite con la “buona misura” del Signore, “pigiate” e “traboccanti”(Luca 6:38)—ben oltre i miei meriti.

Ma la mia vita non assomiglia a quella che avrei cercato per me stessa.

Nel sopportare il consiglio del Signore di aspettare o di fare a meno, ho dovuto imparare a scegliere di confidare nell’Eterno.

Ho dovuto imparare a scegliere di lasciare che tali esperienze mi raffinassero e rafforzassero la mia fede piuttosto che cedere alla tentazione di disperare nel Signore e abbandonare la mia speranza e la mia fede

Tutti passano “attraverso la fornace”. So che molti di voi, nonostante la vostra giovane età, come il Salvatore siete familiari col patire. Molti di voi potrebbero essere oppressi dai propri dispiaceri, sfide o delusioni.

Molti di voi potrebbero essere in lotta con delle domande relative alla vostra fede. So che il Salvatore conosce intimamente il vostro patire e vede la vostra sofferenza.

Ha promesso che un giorno asciugherà tutte le lacrime. E lo farà.

Ma nel frattempo, durante i momenti passati nella fornace, come scegliamo di confidare nel Signore?—specialmente quando potremmo, per un momento, sentirci soli?

Confidare nell'eternoSpero che alcune delle lezioni che sto apprendendo vi possano essere in qualche modo di conforto, adesso o in tempi di necessità futuri. 

Proprio come le benedizioni che ho ricevuto, le sfide che ho affrontato sono state individualizzate, fatte su misura per coltivare i miei punti forti e rafforzare le mie debolezze.

Lungo il mio cammino mi è stata data l’opportunità di scegliere di amare ed obbedire al Signore, anche quelle volte in cui mi sono sentita dimenticata.

Sto imparando che la mia fede nel Signore non è condizionata dal ricevere ciò che voglio quando voglio.

Piuttosto, ho lavorato per sviluppare una fiducia e un amore nel Signore che non sia transazionale ma relazionale. Lo amo per chi Lui è. Confido in Lui e nel Suo amore per me. Egli è il mio Creatore e Salvatore.

Condivido con voi tre principi che mi hanno aiutato a scegliere di confidare nell’Eterno durante i momenti di difficoltà.

Ve li offro con umiltà—sapendo che state percorrendo un cammino fatto su misura per voi—ma anche con fiducia, confidando nella lealtà del Signore. 

Principio Numero 1: Il principio delle Sette Generazioni

Primo, vi offro una lezione della tradizione Seneca. È un’idea che in qualche forma è presente in molte culture indigene. Si chiama “principio delle sette generazioni”.

Nella cultura Seneca tutti sono obbligati a considerare quali conseguenze ed effetti avranno le proprie scelte sulle sette generazioni successive.

Sette GenerazioniÈ un valore culturale radicato nella pratica di essere lungimiranti quando possibile e agire nell’interesse del lungo termine piuttosto che del breve termine.

Il principio della settima generazione ci porta a fermarci e contemplare come le nostre scelte, quando moltiplicate e amplificate attraverso le generazioni future, possano influire sul nostro rapporto con il Creatore, con il prossimo e con la terra.  

Questo principio implica che ci sforziamo di mantenere lo sguardo sulle cose dell’eternità, anche—forse soprattutto—nel mezzo di sofferenze accecanti.

Come manteniamo tale lungimiranza e scegliamo di confidare nell’Eterno quando il dolore delle nostre prove fisiche e spirituali è così acuto e presente, quando la sofferenza è così forte e ostinata?

Quando parlo di mantenere un occhio sulle cose dell’eternità nel mezzo del dolore terreno, intendo che dovremmo cercare di tenere il nostro sguardo fisso sul grande ed eterno sacrificio, l’Espiazione infinita di Gesù Cristo.

L’avversario cerca di distrarci mantenendoci concentrati interamente sulle nostre sofferenze temporali e inducendoci a soffermarci sulle offese e le ingiustizie, offuscando l’amore del Signore.

Questo è uno dei motivi per cui è imperativo prendere il sacramento ogni settimana e rinnovare l’alleanza di “ricordarci sempre” del Salvatore. 

Gesù nel GetesemaniProprio come Lui soffrì, noi soffriremo come parte dell’esperienza terrena.

Scegliendo di confidare nel Signore, possiamo consacrare la nostra sofferenza ad una maggiore comprensione della Sua sofferenza e permetterle di rendere più profonda la nostra misura di compassione e misericordia verso la sofferenza altrui.

Nonostante fosse perfetto, diede Sé stesso quale offerta di misericordia per soddisfare la giustizia. Avendo bevuto dalla coppa amara, sa come soccorrerci e confortarci nelle nostre infermità, se confidiamo in Lui.

Come Alma insegnò a Suo figlio Helaman:

“So che chiunque riporrà la sua fiducia in Dio sarà sostenuto nelle sue prove, nelle sue difficoltà e nelle sue afflizioni, e sarà elevato all’ultimo giorno”.

Confidare nel Signore non ci esula da prove, guai o afflizioni. Piuttosto, Dio ha promesso di sostenerci durante tali difficoltà terrene.

L’Anziano Neal A. Maxwell ha insegnato riguardo alle nostre prove:

“Piuttosto che semplicemente passare attraverso tali cose, esse devono passare attraverso di noi e farlo in modo che siano santificate per il nostro bene”.

Essere lungimiranti, come ci consiglia la cultura Seneca, e scegliere di confidare nel Signore e nel suo tempismo eterno, ci permette di passare attraverso le nostre prove e permette a queste di passare attraverso di noi mentre fortifichiamo—non abbandoniamo—la nostra fede e la nostra gentilezza. 

Principio Numero 2: “Non cercate di dar consigli al Signore”

In aggiunta al principio della lungimiranza sulle sette generazioni, permettetemi di suggerire un secondo principio che sembra essere particolarmente rilevante se vogliamo navigare con successo il mare delle nostre prove.

Confidare nell'eterno: Gesù e i bambini

‘Jesus and the Children’ by David Textiles

Questo principio proviene dalla supplica di Giacobbe ai Nefiti vacillanti. Li ha esortati dicendo:

“Pertanto, fratelli, non cercate di dar consigli al Signore, ma di prendere consiglio dalla sua mano.”

Se siete come me, siete pieni di grandi idee, speranze e sogni su come dovrebbe andare la vostra vita: quando debba cambiare o debbano avverarsi le benedizioni, quali esperienze di lavoro o di altra natura potrebbero piacerci, oppure quali opportunità  pensiamo potrebbero essere positive e aiutarci ad essere felici.

Infatti, ci è comandato di chiedere al Signore di darci ciò che il nostro cuore desidera. Con fede—e digiunando, quando appropriato—dovremmo supplicare e domandare a Dio di concederci le esperienze che desideriamo. 

Questo è molto diverso dal cercare di consigliare il Signore o opporsi al Suo consiglio. 

Cercare di consigliare il Signore, per me, vuol dire reputare la nostra saggezza e le nostre preferenze superiori a quelle del Signore.

Ciò riflette una fondamentale mancanza di fiducia nella Sua onniscienza, onnipotenza e, cosa più importante, nel Suo amore perfetto.

Potremmo supporre che se solo potessimo persuadere il Signore a fare le cose a modo nostro, la nostra vita sarebbe migliore.

Potremmo essere frustrati da quella che noi consideriamo la Sua resistenza ai nostri consigli riguardo a certe questioni. 

A prescindere da quanto siamo o possiamo diventare istruiti in un determinato settore, e a prescindere dal valore terreno dei nostri consigli, la nostra conoscenza e il nostro giudizio non supereranno mai quelli del Signore.

Questo è il motivo per cui non dovremmo mai cercare di consigliare il Signore ma dovremmo cercare consiglio dalla Sua mano. 

Giacobbe mise in guardia dal cercare di consigliare il Signore a causa di ciò che lui definisce “l’astuto piano del maligno”, riferendosi in particolare a coloro tra noi che hanno l’opportunità di studiare. Giacobbe reclamò:

“Oh, l’astuto piano del maligno! Oh, vanità e fragilità e stoltezza degli uomini!

Quando sono dotti si credono saggi, e non danno ascolto ai consigli di Dio, poiché li trascurano, credendo di conoscere da sé, pertanto la loro saggezza è stoltezza, e non giova loro. E periranno.

Ma è bene essere dotti se si dà ascolto ai consigli di Dio.”

[…]

Molti anni fa, fui chiamata come missionaria nella missione di Houston, Texas. La chiamata diceva che mi sarei recata all’MTC per prepararmi ad insegnare il Vangelo in Inglese.

sorelle missionarie

Quando il mio presidente di palo mi mise a parte come missionaria, ricordo che disse le seguenti parole: “La lingua che il Signore vorrebbe che imparassi è la lingua dello Spirito.”

Sapevo che per imparare i vocaboli e la grammatica della lingua dello Spirito avrei dovuto studiare le scritture, individuare i suggerimenti e comprendere i sussurri dello Spirito Santo.

Sapevo che si trattava di una lingua che avevo studiato per tutta la vita, in quanto i miei genitori mi avevano insegnato ad obbedire ai comandamenti e ad amare il Signore.

Avevo avuto mentori e insegnanti che mi avevano dimostrato di parlare la lingua dello Spirito correntemente.

“Per prendere consiglio dalla mano del [Signore]”, come ha suggerito Giacobbe, dobbiamo sviluppare la nostra propria competenza della lingua dello Spirito.

Per provare ad imparare questa lingua, intrapresi uno studio approfondito del Libro di Mormon. 

Quando arrivai all’MTC, ero felice di imparare i principi del lavoro missionario, ma continuavo a chiedermi come si dicessero certe frasi in Spagnolo.

Quando accadeva, mi dicevo di rimanere concentrata sull’attività del momento. Ma la mia mente ritornava alle poche frasi di spagnolo che conoscevo, e continuavo ad interrogarmi sulla grammatica e sui vocaboli dello Spagnolo. 

In seguito mi resi conto che questi pensieri spontanei erano suggerimenti dello Spirito che mi stavano preparando ad andare a Houston, Texas, dove avrei incontrato molte persone che parlavano Spagnolo.

Così andai alla libreria dell’MTC e comprai una copia de El Libro de Mormón e lo misi tra le mie cose, compiaciuta del fatto che avessi riconosciuto un suggerimento dello Spirito e sicura che avrei avuto l’opportunità di condividere il libro con qualcuno in qualità di missionaria. 

Confidare nell'eterno: MTC

Quando arrivai a Houston alcune settimane dopo, il mio presidente di missione, Clark T. Thorstenson, mi prese da parte all’aeroporto. Disse:

“Sorella Steele, il Signore mi ha fatto capire chiaramente che vorrebbe che lei imparasse lo Spagnolo. La assegnerò al programma di lingua Spagnola”. 

Mi sentii come se il Signore avesse provato a sussurrarlo per tutto quel tempo e sorrisi, adesso che anche io ero coinvolta nel piano. Quella sera mi chiesi come avrei mai imparato lo Spagnolo, e sperai di poter tornare all’MTC.

Poi mi ricordai del mio Libro de Mormón. Lo tirai fuori e cominciai a leggerlo. Lo studio del Libro di Mormon fatto durante il periodo di preparazione alla missione mi aiutò a tenere il passo:

“Yo, Nefi, nací de buenos padres.” Buenos padres? “Buoni genitori”!

All’inizio non avevo altri libri per studiare lo Spagnolo al di fuori del Libro di Mormon. Ma mi ricordai del consiglio ispirato del mio presidente di palo: la lingua che il Signore voleva che imparassi era la lingua dello Spirito.

Mi affidai allo Spirito—il quale, a quanto pare, parla perfettamente Spagnolo—affinché magnificasse le mie capacità e mi istruisse tanto nella lingua Spagnola che nel linguaggio dello Spirito.

Queste due lingue sarebbero state cruciali nel mio servizio missionario. 

Dopo alcuni mesi trascorsi sul campo, ebbi una collega proveniente da El Salvador, Hermana Seravia. Era una missionaria e una collega maggiore fantastica. Un giorno mi disse:

“Hermana, te la cavi abbastanza bene con lo Spagnolo ma parli troppo come un Libro di Mormon! Noi non diciamo ‘Ora ecco, gioiamo nell’essere a casa vostra.’”

Ho riflettuto molto negli anni successivi a quell’esperienza sul modo in cui quella chiamata si evolse. So che il Signore è onnisciente.

Sicuramente sapeva che le persone cui ero stata chiamata ad insegnare a Houston parlavano Spagnolo, e che io non conoscevo lo Spagnolo quando la mia chiamata era stata emessa molti mesi prima. 

Quindi, perché il Signore mi mandò in Texas senza ricevere l’addestramento linguistico all’MTC? A quel tempo, se avessi progettato io quell’esperienza, avrei chiamato me stessa ad imparare lo Spagnolo all’MTC.

Tuttavia, nonostante abbia il potere di scegliere e una certa autonomia su molte cose, non sono l’architetto principale delle mie esperienze di vita.

missionari della chiesa mormone Sono chiamata a confidare nel fatto che il Signore ha un piano per la mia vita, proprio come so che ne ha uno per la vostra. Tanto il quadro generale quanto i dettagli più piccoli rientrano nei suoi infiniti ed amorevoli calcoli. 

Per come andarono le cose, l’esperienza era stata disegnata in modo da attingere ai miei specifici punti di forza e rafforzare le mie particolari debolezze.

La svolta avvenuta all’aeroporto voleva dire che non potevo fare affidamento sulle mie capacità di imparare lo Spagnolo come esercizio puramente intellettuale.

Dovevo affidarmi ai doni e alla tutela dello Spirito. Dovevo supplicare di ricevere il dono delle lingue.

Dovevo affidarmi alle preghiere dei miei cari—il cui potere sentii portare parole e frasi alla mia mente e sciogliere la mia lingua mentre insegnavo.

Il Signore previde che lo Spagnolo sarebbe stata una grande benedizione nella mia vita ma che imparare a fidarmi di Lui e ad affidarmi a Lui nell’apprendimento della lingua dello Spirito sarebbe stata una lezione ancora più importante.  

A volte ci viene chiesto di sottometterci a una continua ambiguità o a una lezione estenuante che preferiremmo non imparare.

Questi momenti ci offrono l’opportunità di realizzare uno degli scopi della nostra esperienza terrena: scegliere di confidare nel fatto che Lui ci benedirà con le esperienze di cui abbiamo bisogno piuttosto che con quelle che vorremmo.

Quando poniamo la nostra fiducia nel Signore e non ci appoggiamo sul nostro limitato discernimento delle cose eterne, il cammino individualizzato che Egli ha ideato per ognuno dei Suoi figli si dispiegherà.

È meraviglioso contemplare come nonostante Egli sia il grande Dio dell’universo e le opere delle Sue mani siano infinite, ognuno di noi è conosciuto e amato da Lui.

Siamo realmente “incisi … nel palmo della [Sua] mano. Per realizzare gli scopi di Dio nella nostra vita dobbiamo imparare a fidarci del Suo amore e della Sua bontà, anche nei momenti in cui ci sentiamo soli—proprio come Gesù si sentì solo.

Ciò non vuol dire che non sentiamo intensamente tutto il peso del dolore delle nostre prove—proprio come Gesù sentì il Suo dolore terreno. 

Il Salvatore provò la fame, la sete, la fatica, il rifiuto, il dolore e la solitudine delle sue esperienze mortali. Chiese persino che il peso inimmaginabile del suo fardello di dolore e di sofferenza fosse rimosso, se possibile.

Matteo raccontò che nel Giardino del Getsemani, Gesù disse ai suoi discepoli:

“L’anima mia è oppressa da tristezza mortale”.

La Scrittura ci dice che la sua sofferenza fu così grande che “andò un poco innanzi, si gettò con la faccia a terra, pregando, e dicendo:

Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi.”

L’esperienza di Gesù nel Getsemani mi insegna che non è un peccato desiderare che ci vengano risparmiate alcune esperienze o chiedere che ci vengano tolti alcuni fardelli.

Il dolore di quei bivi in cui la nostra volontà e quella del Padre divergono, è profondo.

Tuttavia, Gesù esemplificò la maniera migliore per risolvere tali momenti: scegliere, a motivo del nostro amore per il Padre, di fidarci della Sua volontà.

Ci fidiamo di Lui accogliendo il suo consiglio piuttosto che insistendo perché prenda il nostro.

Principio Numero 3: Amare abbondantemente

Il terzo principio che vorrei esortarvi ad adottare è quello di amare abbondantemente. In quasi tutte le situazioni che dobbiamo affrontare, l’amore è davvero la risposta.

Amare abbondantementePossiamo confidare nel fatto che la volontà del Signore sia motivata interamente da un amore perfetto.

Quando non riusciamo a capire le cose che accadono – o quelle che non accadono – l’unica vera costante è l’amore perfetto di Dio. Potete fidarvi completamente di esso.

Alma consigliò al popolo della Chiesa di evitare le contese e di avere “ i cuori legati in unità e in amore gli uni verso gli altri”.

Ho scoperto che la mia felicità si moltiplica e che le mie difficoltà si attenuano quando permetto al mio cuore di essere legato amorevolmente ad amici, colleghi e familiari.

Il Salvatore ci ha comandato di amare i nostri nemici e di fare del bene a coloro che ci perseguitano. La mia vita non è definita dalle benedizioni che non ho ricevuto ma dall’abbondanza dell’amore e delle benedizioni che ho ricevuto.

Mia nonna materna, Norma Seneca, era un grande esempio di amore espansivo ed abbondante. Visse tutta la sua vita nella Riserva Cattaraugus.

Nonostante il suo quadro di riferimento geografico fosse limitato, la sua comprensione e la sua saggezza erano ampie e profonde.

Ciò che ammiravo particolarmente di lei era la sua capacità di gioire in modo sincero e sonoro delle buone cose che accadevano agli altri.

Adoravo raccontarle delle mie buone notizie, perché si emozionava moltissimo quando mi accadeva qualcosa di buono. Non provava mai invidia per il successo degli altri.

Lei gioiva con coloro che gioivano. Era la disposizione naturale di uno spirito generoso che moltiplicava ed espandeva la felicità della propria vita, persino nelle molte difficoltà che sopportò.

Non è sempre facile amare. Ricordo spesso il saggio consiglio che mi diede mia madre quando le raccontai di aver subito quella che consideravo un’ingiustizia.

Mi ripetevo che le mie lamentele fossero giustificate. Sapendo di non poter annullare l’ingiustizia, mia madre mi consigliò di “gettare una coperta di misericordia” sulla situazione.

In sostanza, mi consiglio di amare, perdonare e mostrare misericordia anche quando sentivo che la mia richiesta di giustizia fosse legittima.

Mi esortò a lasciare che la misericordia pagasse il debito e soddisfacesse le mie rivendicazioni. Questo consiglio mi ha risparmiato molta angoscia e mi ha fornito grande sollievo quando sono riuscita a seguirlo.

Scegliere di amare significa scegliere di guarire dalle ferite spirituali inflitte dall’ingiustizia e dalla sofferenza. 

Un modo importante con cui magnifichiamo il nostro amore per gli altri e per Dio è attraverso le parole che pronunciamo.

Molte storie sulla creazione dei Nativi Americani descrivono la creazione del mondo come se fosse avvenuta perché il Creatore parlò.

geova - creazione della terra

“Jehovah Creates the Earth” by Walter Rane

Parlare vuol dire, in un certo senso, dare alla luce idee e realizzare e dare forma alla realtà.

Similmente, nel resoconto della creazione di Genesi, comprendiamo che Dio disse: “Sia la luce!” E la luce fu. Uno dei titoli del Salvatore è “La Parola”.

Le parole sono possenti oltre misura. Le parole hanno il potere di creare e guarire, ma hanno anche il potere di distruggere e ferire.

Parliamo con amore abbondante e utilizziamo il potere che è in noi per guarire e sollevare gli altri, proprio come il Salvatore utilizza il Suo.

Cosa più importante, non dovremmo porre condizioni o limiti all’amore che offriamo al nostro Padre nei Cieli e a Suo Figlio.

Ma anche se lo abbiamo fatto, aver negato il nostro amore o la nostra obbedienza, Egli è sempre pronto a riceverci e guarirci.

Tutte le volte che ci pentiremo, Egli ci perdonerà. Le sue braccia sono sempre protese. Possiamo confidare nel Suo amore.

E così ci chiediamo: “Dove trovar potrò pace e conforto? … Dov’è la quiete che calma ogni angoscia?”

Ecco la risposta: “Egli risponderà al mio pregare, nel mio Getsemani sarà con me. Qual pace Ei mi darà nel supplicare; fedele amico è per l’eternità.”

Mie cari fratelli e sorelle, attesto che Egli è fedele per l’eternità. Egli è degno della nostra fiducia e adorazione. Prego che possiamo scegliere di confidare in Lui nei momenti di dubbio e difficoltà, nel nome di Gesù Cristo, Amen. 

E voi? In che modo potete dimostrare a Dio che vi fidate di Lui? Fatecelo sapere nei commenti!

chatta con noiIl discorso originale in Inglese è disponibile su https://speeches.byu.edu. Questo discorso è stato tradotto e adattato da Ginevra Palumbo.