Perché Gesù viene chiamato “il buon pastore”?

L’Anziano Brad Wilcox, consigliere nella presidenza generale dei Giovani Uomini e docente di scritture antiche presso la Brigham Young University, ha raccontato come visitare la Terra Santa abbia incrementato la sua comprensione del titolo di “Buon Pastore” di Gesù Cristo.

Di seguito il suo articolo.

Non una stalla ma una grotta

Un dicembre di tanti anni fa, notai un cartello sagace fuori da una chiesa Cristiana che diceva: “Natale non è il tuo compleanno!” Capii cosa intendessero dire, e tuttavia dovetti dissentire perché sono effettivamente nato il 25 dicembre.

NativitàQuando ero piccolo, i miei genitori temevano che il mio compleanno venisse surclassato dalle festività natalizie e la frenesia di quei giorni, quindi fecero un grande striscione da appendere in casa che diceva “Tanti auguri a Gesù e Brad!”.

Diedero anche inizio ad una tradizione familiare che consisteva nel decorare due alberi di Natale—uno per Gesù e uno per me.

L’idea era che i miei fratelli mettessero un regalo per me sotto ogni albero—un piano che sembrava funzionare abbastanza bene, fino a quando mio fratello maggiore non mi comprò un paio di guanti.

Mise un guanto sotto l’albero di natale e un guanto sotto l’albero di compleanno, e tutto degenerò da quel momento in poi.

Ormai, la maggior parte dei regali che ricevo sono accompagnati da una cartolina di “doppi auguri” per entrambe le occasioni. Ecco una delle cartoline ricevuta da mio cugino:

“Nascere a Natale è una cosa piuttosto unica, perché non sai mai chi ti abbia portato: la cicogna o Babbo Natale.”

Nonostante gli inconvenienti, il mio compleanno natalizio ha sempre aggiunto un tocco di luce alla stagione e mi ha donato una prospettiva diversa.

Un’altra cosa che ha cambiato la mia prospettiva sul Natale è stato visitare la Terra Santa. A

vevo sempre immaginato una stalla e una mangiatoia di legno, ma la nostra guida a Betlemme ci disse che probabilmente Cristo nacque in una grotta e che la mangiatoia fosse di pietra.

Allo stesso modo, avevo sempre pensato che i campi dei pastori fossero colline verdi e ondulate, come quelle che si vedono in Irlanda o in Nuova Zelanda.

Invece, scoprii che i “campi” erano colline ricoperte di rocce e prive di vegetazione. La nostra guida locale, un cristiano palestinese di nome Sam, ci parlò dei pastori.

Il ruolo di un pastore

Il ruolo di un pastoreSam ci disse che quello della pastorizia era un lavoro duro e oneroso nell’antica Israele—un lavoro a tempo pieno.

C’era sempre qualcuno disposto a farlo per denaro, ma queste persone mancavano della dedizione e devozione dimostrata dai pastori che effettivamente possedevano le pecore.

Non deve sorprenderci allora ciò che leggiamo nelle scritture:

“Il mercenario si dà alla fuga perché è mercenario e non si cura delle pecore” (Giovanni 10:13).

Sam attirò la nostra attenzione sulle grotte che punteggiavano le colline di fronte a noi. “Questi erano gli ovili notturni”, ci spiegò.

Ai tempi di Cristo, i pastori solevano pascere piccoli greggi di 30-50 pecore, in modo che potessero separarsi l’uno dall’altro durante il giorno e non invadere gli stessi pascoli e le stesse fonti d’acqua.

Di notte, però, riunivano le greggi per proteggerle da lupi, sciacalli e ladri. Alcune grotte contenevano più di 200 pecore.

Diversi pastori cooperavano per bloccare la parte anteriore della grotta con delle pietre, lasciando un ingresso stretto attraverso il quale potessero passare solo una o due pecore alla volta.

I pastori conducevano poi le pecore nell’ovile e facevano la guardia a turno, sedendosi in modo da bloccare l’ingresso della grotta mentre gli altri dormivano. Sam spiegò:

“Il pastore di turno non si limitava a sorvegliare la porta. Egli stesso diventava la porta”.

Non c’è da stupirsi che il Salvatore una volta abbia detto:

“Io son la porta delle pecore” (Giovanni 10:7) e “chi non entra per la porta nell’ovile delle pecore… esso è un ladro e un brigante” (Giovanni 10:1).

Al mattino, le pecore di diversi greggi finivano col mescolarsi.

Nessuno sapeva quale pecora appartenesse a quale pastore fino a quando i pastori a turno non si mettevano in piedi all’ingresso e fischiavano o richiamavano, ciascuno a proprio modo, gli animali.

A quel punto, le pecore di ciascun pastore riconoscevano il suo richiamo e si facevano avanti.

Mentre le pecore passavano attraverso lo stretto ingresso, il pastore le contava e si assicurava che non ne mancasse nessuna. Ricordate come il Salvatore disse:

“Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse mi seguono” (Giovanni 10:27).

Conforto tra le braccia del buon pastore

Conforto tra le braccia del buon pastore

Fonte: LDS Church

Anticamente, il pastore portava con sé una verga e un bastone. La verga era un tipo di bastone simile a una mazza da baseball e il pastore la usava per scacciare i predatori che si avvicinavano al gregge.

Il solo fatto di vedere la verga in mano al pastore faceva sentire le pecore al sicuro e protette.

Il bastone consisteva in una lunga asta che il pastore usava per sostenersi mentre camminava su terreni accidentati e rocciosi, ma aveva anche un’asola in cima che poteva essere usata per guidare le pecore.

Se una pecora si avvicinava troppo a una buca, il pastore batteva il bastone contro una roccia per avvertirla del pericolo.

Se la pecora non ascoltava l’avvertimento e cadeva nella buca, il pastore allungava il bastone e lo avvolgeva intorno al collo della pecora per sollevarla e metterla al sicuro.

Nel Salmo 23, Davide scrive:

“Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei male alcuno, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano” (Salmo 23:4).

Le mosche non erano pericolose come i lupi e le iene, ma irritavano costantemente le pecore.

I fastidiosi insetti si aggiravano intorno al viso dei poveri animali e si posavano sugli occhi e sul naso, finché l’unico modo con cui le pecore potevano trovare sollievo era quello di strofinare la testa contro alberi e rocce.

Questo provocava ferite sul viso, che attiravano altre mosche, trascinando le pecore in un circolo vizioso.

Il sollievo arrivava solo quando un pastore premuroso metteva dell’olio d’oliva su un pezzo di stoffa e lo tamponava sul muso degli animali.

L’olio lenisce le ferite autoinflitte e agisce come repellente per gli insetti. Forse Davide alludeva a questa pratica quando scriveva del suo buon pastore: “Tu ungi il mio capo con olio” (Salmo 23:5).

Il Buon Pastore conosce ogni agnello

Il Buon Pastore conosce ogni agnelloPer anni, i dirigenti della Primaria del nostro rione hanno compiuto l’impresa erculea di allestire ogni anno una rappresentazione della Natività in concomitanza con la cena di Natale.

I bambini del rione si alternavano nei panni di Maria, Giuseppe, pastori e re magi. Naturalmente, la maggior parte di loro veniva scritturata nel ruolo di angeli e pecore.

Un anno, mentre stavo aiutando nell’organizzazione, una delle bambine si lamentò: “Non voglio essere una pecora.

Voglio essere Maria”. 

“Perché non vuoi essere una pecora?”. Chiesi. 

“Perché ce ne sono troppe”, rispose. “Nessuno mi vedrà mai”. 

“Ti vedrò io”, le promisi.

Non ci sentiamo tutti come quella bambina alle volte? Con tutti gli infiniti mondi di Dio pieni di infiniti bambini, chi nota la pecora numero 32 sul palco a sinistra?

Con tutti i seguaci di Cristo che ci sono, come fa a prendersi cura e ad amare ciascuno di noi individualmente?

L’amore del Salvatore per ogni individuo è dimostrato nella sua esperienza con Giairo, che lo cercò e gli disse: “la mia figliuolina è agli estremi.

Vieni a metter sopra lei le mani; affinché sia salva e viva” (Marco 5:23).

Il Signore acconsentì a venire, ma quando si avvicinarono alla casa, furono accolti dalla notizia: “La tua figliuola è morta” (v. 35). Gesù disse al padre affranto: “Non temere, solo abbi fede” (v. 36).

Quando il Signore entrò nella casa, annunciò a tutti coloro che erano in lutto che la ragazza non era morta, ma solo addormentata. Le Scritture riportano che essi “si ridevano di lui” (v. 40).

Tuttavia, Cristo prese la ragazza per mano e le disse in aramaico: “Talitha cumi”. La Bibbia ce ne dà la traduzione: “Giovinetta, io tel dico, levati!” (v. 41).

Tuttavia, nel Dictionary of Christ and the Gospels di James Hastings, leggiamo che Talitha è una traslitterazione del sostantivo aramaico “agnello”.

Leggi anche: Le parabole di Gesù Cristo: “perché a chiunque ha, sarà dato nell’abbondanza”

Proprio come in italiano “agnellino” può essere un termine affettuoso usato per riferirsi ad un bambino.

Cristo non stava chiamando una ragazza che non conosceva. Stava chiamando il suo agnellino, che conosceva e amava profondamente. “E tosto la giovinetta s’alzò e camminava” (v. 42). 

Realmente il nostro Salvatore è Colui al quale apparteniamo, Egli non è un mercenario.

Egli è il buon pastore. Siamo Suoi e ci conosce per nome. Non scappa quando arriva il pericolo. Ci protegge con la sua verga e ci guida con il suo bastone.

Quando cadiamo, ci rialza e unge le nostre ferite con l’olio. Cristo conosce e si prende cura di tutti i suoi agnelli.

Questo articolo è stato originariamente scritto da Brad Wilcox ed è stato pubblicato su ldsliving.com, intitolato 3 Insights from the Holy Land to Deepen Your Understanding of Christ’s Title as the “Good Shepherd”. Italiano ©2023 LDS Living, A Division of Deseret Book Company | English ©2023 LDS Living, A Division of Deseret Book Company

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