Sulle sponde del Mar di Galilea, durante il famoso sermone sul monte, Gesù insegnò ai Suoi discepoli una “via più eccellente” della Legge di Mosè.
Immaginate le fondamenta come il pavimento di un grande edificio. Adempiere al suo scopo non vuol dire distruggerlo, ma usarlo per lo scopo previsto.
Con i muri costruiti e il campanile sul tetto, l’edificio è pronto ad entrare in piena funzione.
“Non pensate ch’io sia venuto per abolire la legge od i profeti; io son venuto non per abolire, ma per compire (Matteo 5:17).
La Legge di Mosè era la legge del sacerdozio di Aronne, o sacerdozio minore, che si concentrava sul sacrificio, sul pentimento e sul battesimo.
La legge superiore, rappresentata dal sacerdozio superiore, o di Melchisedec, si concentra sul dono dello Spirito Santo, sulla salvezza e sull’esaltazione.
Quando Cristo fu crocifisso, adempì completamente al sacrificio con lo spargimento di sangue, ma altre parti dell’antica legge erano ancora efficaci, soprattutto i Dieci Comandamenti.
La Legge di Mosè non era una legge basata sul castigo , come alcuni erroneamente ritengono (“occhio per occhio”), ma una legge basata sulla restituzione, un aspetto importante del vero pentimento.
Era “una legge di adempimenti e di ordinanze, … che [gli Israeliti] dovevano osservare strettamente, giorno dopo giorno, per tenerli nel ricordo di Dio e del loro dovere verso di lui.” (Mosia 13:29-30).
Coloro che comprendevano la legge “volgevano con costanza lo sguardo a Cristo, fino a che la legge sarà adempiuta.
Poiché a questo fine fu data la legge” (2 Nefi 25:24-25). Ma Cristo ha mostrato una via più alta e profonda. Di seguito alcuni dei passaggi più importanti del Sermone sul Monte.
Le Beatitudini
La prima parte del Sermone sul Monte è intitolata “Le Beatitudini” (Matteo 5:1-12). La parola Beatitudini proviene dal Latino beatus e vuol dire, fortunato, felice o benedetto.
Per un’analisi più approfondita delle beatitudini se ne consiglia la lettura qui.
Il sale della terra
Gesù chiamò i suoi discepoli “sale della terra” (Matteo 5:13). Cosa intendeva realmente? Il sale è sia un condimento che un conservante.
Senza di esso, il cibo è insipido e si deteriora rapidamente. Il Signore menziona il “sapore” e dice ai suoi discepoli che il sale che ha perso il suo sapore non è buono a nulla.
I seguaci di Cristo devono distinguersi dal mondo e dalla mondanità come buoni esempi di osservanza dei suoi comandamenti.
Tra le altre cose, il sale rappresentava l’alleanza tra Dio e Israele. (Levitico 2:13, Numeri 18:19) Sia il sale che il fuoco venivano usati per offrire i sacrifici nel tempio.
Il sale, come il fuoco, è anche un purificante. Con le illustrazioni del sale e della luce, idee che a prima vista possono sembrare casuali, il Signore passa al tema degli uomini che sacrificano se stessi a Dio.
L’immagine del sale che ha perso il suo sapore è interessante. Si può ripercorrere la storia del mondo attraverso la necessità di acquisire sale.
I soldati romani venivano spesso pagati con il sale invece che con il denaro, da cui la parola salario, proprio per i suoi svariati usi e la sua importanza nella vita di tutti i giorni.
Quando si è chiamati a essere il sale della terra, si è chiamati sia ad avere un’influenza positiva nella vita degli altri, ma, soprattutto, si è chiamati a preservare un mondo.
Questo bisogno di conservazione è ancora più forte quando il mondo è in declino.
Come fa il sale a “perdere il suo sapore”? Il sale non perde il suo sapore diventando vecchio. Non diventa stantio, né ammuffisce o marcisce.
Il sale perde il suo sapore quando si corrompe con qualcos’altro, un altro elemento. Se il sale non è puro, perde il suo sapore.
Questa è una metafora di ciò che il Signore si aspetta. Se siete il sale della terra, siete i preservatori della terra e il Signore vi santificherà, anche con le difficoltà, per rendervi puri. È il suo dono per voi.
La luce del mondo
Gesù ha chiamato i suoi discepoli “luce del mondo” (Matteo 5:14; vedere anche versetto Matteo 5:16).
Questo sta ad indicare che la santificazione personale non può essere fine a sé stessa, ma deve essere usata come mezzo per aiutare gli altri a fare lo stesso.
La nostra luce attira gli altri al Salvatore. Tuttavia, non siamo noi stessi la fonte della nostra luce, ci limitiamo a riflettere quella del Maestro.
In qualità di Suoi discepoli, siamo destinati a risplendere, in modo che gli altri vedano e cerchino Lui, la fonte di ogni luce.
Quando viviamo il Vangelo con intento reale non mostriamo quanto siamo buoni noi, ma quanto è buono Colui che il Vangelo ce lo ha donato.
Il Sermone sul monte: la legge superiore
Gli Scribi e i Farisei del tempo di Cristo erano estremamente attenti alle apparenze. Molti, però, non erano altrettanto preoccupati di ciò che facevano quando nessuno li guardava.
Per questo il Salvatore li chiamò ipocriti e “sepolcri imbiancati” (Matteo 23:27).
Il Salvatore continuò il suo sermone sul monte invitando i suoi discepoli a prendere la “strada maestra”, a essere più indulgenti, più gentili, più lenti nell’arrabbiarsi, più lenti nel litigare, più lenti nell’esigere la restituzione.
La “regola d’oro” (fate agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi), tuttavia, non era nuova per la legge di Gesù. Come si legge in Levitico 19:18:
“Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso: Io sono il Signore”.
Gesù disse anche ai suoi discepoli di stare attenti ai loro pensieri. Non siamo giudicati da Dio solo per le nostre azioni, ma anche per l’insieme dei nostri cuori, i nostri pensieri, desideri e intenzioni.
Una persona con un cuore adultero è colpevole di quei pensieri. (È importante capire che Satana non può leggere i nostri pensieri).
Il Sermone sul Monte: amate i vostri nemici
Nel suo commentario Biblico, lo studioso John R. Dummelow scrisse:
“Quando le truppe romane attraversavano un distretto, gli abitanti erano tenuti a portare il loro bagaglio.
Questo trasporto obbligatorio era riconosciuto come una forma di tassazione, ed è probabilmente ciò a cui si allude qui.
Tradotto in linguaggio moderno, questo detto significa che i Cristiani dovrebbero pagare le tasse e assumersi altri oneri pubblici con un cuore gioioso e ben disposto” (NdT).
Cosa significa “Amate i vostri nemici”? Potrebbe significare: “Trattare tutti allo stesso modo? Non avere un comportamento con gli amici e uno con i nemici?”.
La parola “amore” è scelta con cura. Non si chiede di amare i nemici con un affetto naturale e spontaneo (philios), ma con l’amore cristiano soprannaturale che riceviamo per grazia (agape).
Avere “agape” per tutte le persone. Desiderare il meglio per loro. Pregare perché si pentano e cambino.
In una sua famosa opera, l’autore CS Lewis scrisse riguardo a cosa significhi amare i propri nemici. “… desiderare che non sia cattivo, sperare che possa, in questo mondo o in un altro, essere curato:
In realtà desiderare il suo bene. Questo è ciò che si intende nella Bibbia per amare lui [il vostro nemico]: desiderare il suo bene, non affezionarsi a lui né dire che è simpatico quando non lo è (NdT)” (Mere Christianity, 108).
Dell’elemosina, della preghiera e del digiuno: l’importanza dell’intento reale
Continuando il Signore ci invita a prestare molta attenzione al motivo per cui facciamo le cose. Il capitolo 6 di Matteo comincia dicendo:
“Guardatevi dal praticare la vostra giustizia nel cospetto degli uomini per esser osservati da loro; altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli.”
In particolare, Gesù si focalizza su tre azioni: l’elemosina, la preghiera e il digiuno, e dopo ognuno di questi punti aggiunge “non come fanno gli ipocriti”.
Quando dunque fai limosina, non far sonar la tromba dinanzi a te, come fanno gl’ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati dagli uomini. Io vi dico in verità che cotesto è il premio che ne hanno (Matteo 6:2).
E quando pregate, non siate come gl’ipocriti; poiché essi amano di fare orazione stando in piè nelle sinagoghe e ai canti delle piazze per esser veduti dagli uomini. Io vi dico in verità che cotesto è il premio che ne hanno (Matteo 6:5).
E quando digiunate, non siate mesti d’aspetto come gl’ipocriti; poiché essi si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. Io vi dico in verità che cotesto è il premio che ne hanno (Matteo 6:16).
La parola ipocrita deriva dal greco hypokrités, cioè attore, o per meglio dire colui che con la voce e col gesto imitava e rappresentava qualcun’altro di estraneo, ed è un termine che veniva utilizzato per indicare proprio gli attori o le maschere del teatro Greco.
Probabilmente Gesù volle prendere loro come metafora o esempio estremo di finzione, nel tentativo di utilizzare un’immagine forte che potesse essere compresa da chi Lo ascoltava senza nessun fraintendimento.
In parole povere, il Salvatore stava invitando i Suoi discepoli a compiere azioni giuste per i giusti motivi, edificare il regno di Dio, e non per ricevere le lodi del mondo, perché altrimenti non avrebbero ricevuto nessuna ricompensa da Dio.
Questo era valido tanto per le elemosine, che per le preghiere e i digiuni.
Questi versetti potrebbero sembrare in contrapposizione con l’ingiunzione di lasciare “risplendere la nostra luce”.
Al contrario, il Salvatore ha voluto mostrare anche “l’altro lato della medaglia” per completare il cerchio di questo principio dottrinale.
Se da un lato è vero che dobbiamo compiere buone opere affinché gli altri ci vedano e glorifichino Dio, dall’altro lato ci viene chiesto di non fare del bene per metterci in mostra, ma mostrare con il bene che facciamo la bontà di Dio.
Non dobbiamo mostrare la nostra luce, ma fare in modo che sia Dio stesso a mostrare la Sua luce attraverso di noi.
Gesù si sofferma in particolar modo sulla preghiera e sul modo in cui dovrebbe essere declamata. Innanzi tutto ci insegna dove dobbiamo pregare. Matteo 6:6 dice:
“Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta”.
Chiaramente non tutti all’epoca possedevano una cameretta, o noi oggi non sempre abbiamo la possibilità di chiudere una porta dietro di noi e pregare in tutta tranquillità, ma il Salvatore ci invita a farlo in maniera intima e privata.
Lo scopo deve essere quello di cercare un dialogo con il nostro Padre Celeste.
Ovviamente vi sono delle occasioni in cui è necessario e auspicabile pregare insieme ad altre persone, ma di nuovo, ciò che conta è l’intento del nostro cuore.
Il Salvatore continua poi mostrandoci un modello di preghiera da seguire, non necessariamente parola per parola, ma nei concetti e nella sostanza: la famosa preghiera del Padre Nostro.
Egli dice che dobbiamo cominciare rivolgendosi a nostro Padre, Abba, che denota una relazione molto intima con Dio quando Lo invochiamo.
Continuiamo chiedendo ciò di cui abbiamo bisogno, di perdonare i nostri errori, di darci la forza di perdonare quelli altrui, ed infine di aiutarci a rimanere sulla retta via.
In questo mondo moderno siamo abituati a chiacchierare in modo disinvolto, a mandarci messaggi, e viviamo in un’epoca di mancanza di rispetto. Ma il nostro rapporto con il Signore richiede molto di più.
Il Sermone sul Monte: i veri tesori e l’occhio puro
La via eccellente mostrata dal Maestro comporta anche un cambio di rotta nel valore che diamo alle cose.
Non vi fate tesori sulla terra, ove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri sconficcano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, ove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non sconficcano né rubano.
Perché dov’è il tuo tesoro, quivi sarà anche il tuo cuore (Matteo 6:19-21).
Ci mette in guardia dalle cose cui diamo importanza, o cui dovremmo darne meno.
La vita quotidiana, gli impegni e le responsabilità, come la famiglia, gli studi e il lavoro, portano via molto del nostro tempo.
Molte delle cose che facciamo non durano, e ci ritroviamo a farle ripetutamente. Ciò non significa necessariamente che queste cose siano cattive o inutili, ma se queste sono le uniche cose a cui diamo valore, alla fine della fiera non ci saranno di alcun profitto.
Gesù ci invita a trovare il tempo per fare ogni giorno qualcosa che ci accumuli un tesoro in cielo e che quindi sarà permanente, come servire il prossimo, condividere parole gentili, sviluppare i nostri talenti ecc.
Facendo queste cose anche il nostro cuore sarà rivolto alle cose celesti e non a quelle terrene.
A questo punto il Signore usa un’ennesima immagine, quella dell’occhio come lampada del corpo, e a primo acchito potrebbe sembrare che i due argomenti siano totalmente sconnessi.
Questo succede se supponiamo che la luce che l’occhio esprime, sia la luce che viene da dentro di noi.
Ma di nuovo, se ci ricordiamo che la luce che emaniamo non è nostra ma il riflesso di quella di Dio, allora le due cose sono connesse.
Se il nostro cuore è rivolto alle cose del cielo, e figurativamente tutto il nostro corpo lo è, allora la luce che emana il nostro sguardo sarà quella di Cristo che si rispecchia sul nostro volto.
Se abbiamo la luce negli occhi significa che stiamo guardando in direzione della fonte della luce, Gesù Cristo, e se guardiamo a Lui avremo la vita eterna e troveremo la felicità.
Considerate come crescono i gigli
E se il nostro cuore è concentrato sulle cose di Dio, perché dovremmo preoccuparci del resto?
Il passaggio che segue è riferito agli apostoli che stavano per cominciare il loro ministero di predicazione.
Perciò vi dico: Non siate con ansietà solleciti per la vita vostra di quel che mangerete o di quel che berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutrisce. Non siete voi assai più di loro?
E chi di voi può con la sua sollecitudine aggiungere alla sua statura pure un cubito?
E intorno al vestire, perché siete con ansietà solleciti? Considerate come crescono i gigli della campagna; essi non faticano e non filano;
eppure io vi dico che nemmeno Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro.
Or se Iddio riveste in questa maniera l’erba de’ campi che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà Egli molto più voi, o gente di poca fede?
Non siate dunque con ansietà solleciti, dicendo: Che mangeremo? che berremo? o di che ci vestiremo?
Poiché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; e il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.
Ma cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte.
Non siate dunque con ansietà solleciti del domani; perché il domani sarà sollecito di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno (Matteo 6:26-34).
Il Signore stava dicendo a loro, così come lo dice a noi, di abbandonare l’ansia e la preoccupazione per tutti quei dettagli della nostra vita che ci fanno sentire insicuri.
Perché quando siamo guidati dalla paura e cerchiamo nervosamente di controllare tutti gli aspetti della nostra vita, finiamo per concentrarci su noi stessi, sulla nostra paura e sul nostro stress piuttosto che sul fare la volontà di Dio.
Ma Egli dice che se ci concentriamo su di Lui un giorno alla volta, così come i fiori si dispiegano, tutte le cose andranno a posto per noi.
Questo non vuol dire che avremo tutto quello che vogliamo quando e come lo vogliamo, ma che Dio ci darà ciò di cui abbiamo bisogno.
Il Sermone sul Monte: non giudicare/ la regola d’oro
Il terzo e ultimo capitolo che compone il Sermone sul Monte, Matteo 7, comincia così:
Non giudicate, acciocché non siate giudicati; perché col giudicio col quale giudicate, sarete giudicati; e con la misura onde misurate, sarà misurato a voi.
E perché guardi tu il bruscolo che è nell’occhio del tuo fratello, mentre non iscorgi la trave che è nell’occhio tuo?
Ovvero, come potrai tu dire al tuo fratello: Lascia ch’io ti tragga dall’occhio il bruscolo, mentre ecco la trave è nell’occhio tuo?
Ipocrita, trai prima dall’occhio tuo la trave, e allora ci vedrai bene per trarre il bruscolo dall’occhio del tuo fratello (Matteo 7:1-5).
Con queste parole Gesù ci insegna che non dovremmo giudicare, o meglio, che non dobbiamo giudicare le persone, ma le loro azioni.
La capacità di giudicare è un dono che Dio ci ha fatto affinché potessimo esercitare il nostro libero arbitrio ed essere in grado di scegliere tra il bene e il male, ma qui Gesù ci sta dicendo che dobbiamo giudicare con rettitudine e saper discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, la verità dall’errore.
Viviamo in un mondo dove tutto è diventato molto relativo, e a stabilire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato sono i nostri desideri e le nostre inclinazioni.
Ma Dio ha stabilito una legge, e dobbiamo avere la saggezza per poterla comprendere e il coraggio di metterla in pratica, ricercando in tutte le cose la verità che Lui ha stabilito.
Nel versetto 12 Gesù dice: “Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro”.
La famosa regola d’oro.
Peccato però che spesso venga mal interpretata e che, sebbene il nostro intento di metterla in pratica sia sincero, il modo in cui lo facciamo non è sempre efficace.
Facendo agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi, a modo nostro, non è sempre ciò di cui le persone hanno bisogno.
Quindi, forse, un modo più efficace per applicare questa regola sarebbe fare agli altri, ciò che loro vogliono gli venga fatto.
In altre parole, non dovremmo trattare le persone per come vorremmo essere trattati noi, ma per come vorrebbero essere servite loro.
I falsi profeti
L’ultimo invito del Salvatore è quello di stare attenti ai falsi profeti, che si collega alla capacità di giudicare rettamente, e di mettere in pratica tutti i Suoi insegnamenti.
Si dice che alcune generazioni prima della nascita di Gesù, un uomo che anch’egli si chiamava Gesù, convinse il popolo d’Israele a seguirlo promettendo una vittoria sicura contro l’esercito dei Romani.
Questa vittoria non arrivò mai e, al contrario, molti di quelli che lo seguirono vennero trucidati e crocifissi.
Probabilmente è a persone come lui che il Salvatore si riferiva, e in particolar modo per gli Ebrei, a tutti coloro che sarebbero sorti dichiarandosi salvatori della patria, il cui solo intento sarebbe stato quello di guadagnare potere e riconoscimenti.
A noi oggi Gesù mette in guardia da tutti coloro che potrebbero condurci in sentieri sbagliati e pericolosi. E come possiamo non cedere all’inganno?
Vivendo il Vangelo che ci porta la guida dello Spirito. Sono molti coloro che studiano gli insegnamenti di Gesù, ma solo coloro che li mettono in pratica possono essere considerati Suoi discepoli.
Questi sono gli avveduti che hanno costruito la propria casa sulla roccia (Matteo 7:26).
L’essenza del sermone sul monte
I sacrifici inclusi nella legge di Mosè sono stati dati espressamente per volgere l’attenzione degli individui verso Gesù Cristo. Ogni elemento dell’offerta dei sacrifici riflette il ministero eterno di Cristo.
La legge del sacrificio è eterna, ma con il Sermone sul Monte, Cristo ne cambia la forma. Egli non è venuto a distruggere la legge di Mosè, ma a darle compimento. (Matteo 5:17) I
Giudei devono essere rimasti stupiti nel sentire queste parole! Per loro, la legge, che avrebbe dovuto essere un mezzo per raggiungere un fine, era diventata un fine in sé.
Erano arrivati a credere che la legge fosse la fonte della salvezza. Il messaggio di Gesù era che LUI, non la legge, fosse la fonte della salvezza.
Poiché l’antica legge era stata adempiuta, era necessaria una nuova alleanza con Israele.
Il Sermone sul Monte è una dichiarazione di questa nuova alleanza. La differenza principale rispetto all’antica legge di Mosè sta nell’ATTO ESTERNO e nello STATO INTERNO DEL CUORE.
La legge del Vangelo era un grande passo avanti rispetto alla legge di Mosè. Invece di richiedere sacrifici al tempio, l’individuo doveva fare sacrifici nel modo in cui si comportava e pensava.
Il Sermone sul Monte: una legge più alta ed eccellente è stato scritto da Ginevra Palumbo.
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