“Queste cose disse Gesù; poi levati gli occhi al cielo, disse: Padre, l’ora è venuta; glorifica il tuo Figliuolo, affinché il Figliuolo glorifichi te” (Giovanni 17:1).
Il Vangelo di Giovanni contiene il resoconto più lungo degli ultimi istanti privati che Gesù condivise con i Suoi Apostoli subito prima del Suo sacrificio espiatorio, morte e Resurrezione.
Dopo aver pronunciato il discorso finale nella stanza superiore e lungo la strada verso il Getsemani, Gesù levò “gli occhi al cielo” e offrì la famosa preghiera di intercessione per i Suoi discepoli (Giovanni 17:1).
I significati dietro la preghiera di intercessione
Molti hanno sottolineato che questa preghiera è giustamente conosciuta come la preghiera sacerdotale di Gesù, in quanto precede il Suo sacrificio espiatorio.
Il professore William J. Hamblin (ex professore di storia presso la Brigham Young University) ha inoltre affermato che questa preghiera di intercessione “dovrebbe essere contestualizzata all’interno della più ampia narrazione pasquale degli ultimi giorni della vita di Gesù”.
Soprattutto data la natura dell’ultimo discorso di Gesù, questa preghiera “serve da tempio simbolico per il Vangelo di Giovanni— è il punto di intersezione tra cielo e terra, dove l’uomo incontra Dio” (N.d.T.).
Pertanto, molti aspetti della preghiera di intercessione di Gesù riflettono l’antico tempio ed i simboli ad esso correlati, con la speranza che i seguaci di Cristo possano ritornare alla presenza di Dio e diventare come Lui.
Nello specifico, Hamblin idententifica 6 di questi aspetti nella preghiera.
La casa del Padre
Primo: la preghiera di intercessione di Gesù può essere maggiormente compresa nel contesto che Gesù stesso offrì all’inizio del Suo sermone finale rivolto agli Apostoli.
Gesù disse “Nella casa del Padre mio ci son molte dimore; se no, ve l’avrei detto; io vo a prepararvi un luogo” (Giovanni 14:2 , enfasi aggiunta).
In particolare, la frase “la casa del Padre mio” compare solo un’altra volta nel Vangelo di Giovanni—ovvero quando Gesù purifica il tempio (vedere Giovanni 2:16).
Ad ogni modo, è chiaro che in Giovanni 14:2 Gesù non si stesse riferendo al tempio terreno di Gerusalemme ma piuttosto al tempio celeste in cui dimora Dio. Lo si capisce dalla seguente affermazione di Gesù:
“Tornerò e v’accoglierò presso di me, affinché dove son io, siate anche voi” (Giovanni 14:3; enfasi aggiunta).
Nella stessa preghiera di intercessione, questa idea viene ripetuta con qualche leggera variazione: “
io voglio che dove son io, siano meco anche quelli che tu m’hai dati, affinché veggano la mia gloria che tu m’hai data” (Giovanni 17:24).
Pertanto, Gesù chiarisce che Egli desidera che i suoi discepoli entrino “alla presenza del Padre nei cieli”, il quale dimora nel Suo tempio celeste.
Il nome del Padre rivelato
Secondo, nella Sua preghiera Gesù afferma per ben due volte di aver dichiarato o reso manifesto ai discepoli il nome del Padre, e che lo proclamerà di nuovo (vedere Giovanni 17:6; 16).
Al tempo di Gesù erano già state introdotte delle limitazioni relative a “la trascrizione e la pronuncia rituali del nome [Geova] che erano state rivelate a Mosè sul Monte Sinai” (vedere Esodo 3:15).
Tali restrizioni permettevano soltanto ai sacerdoti di proferire tale nome dentro il tempio, e in due circostanze molto specifiche: una volta all’anno “dal Sommo Sacerdote nel tempio nel Giorno dell’Espiazione” o “durante la declamazione della benedizione sacerdotale descritta in Numeri 6:22-27”.
Hamblin quindi osserva che quando Gesù dichiara il nome del Padre, “agisce all’interno del quadro di due importanti tradizioni bibliche”.
Primo, Gesù sta dichiarando di essere Egli stesso “il ‘profeta simile a Mosè’ al quale Dio ha rivelato il Suo nome”.
E secondo, “l’affermazione secondo cui Gesù rivelò il nome del Padre ai suoi discepoli implicherebbe anche che Gesù rivendicò l’autorità del Sommo Sacerdote di rivelare il Nome” e offrire un’espiazione per i figli di Israele.
Cristo è la manifestazione della Gloria di Dio
Terzo, nella preghiera di intercessione Gesù si riferisce alla Gloria di Dio. Nell’Antico Testamento, “la Gloria di [Geova] è la manifestazione visibile della presenza di Dio nel Tempio o nel Tabernacolo”.
Sebbene sia spesso descritta come una colonna di fuoco e fumo, in Ezechiele 1:28 si dice che la gloria del Signore fosse in forma d’uomo.
Di conseguenza, le affermazioni di Gesù relative alla gloria “avrebbero evocato idee di teofanie gloriose di Dio nel tempio, e la glorificazione postmortale di Cristo da parte del Padre implicherebbe una gloria-teofania nel Tempio celeste”.
L’espulsione del Maligno
Quarto: durante la preghiera d’intercessione, Gesù sembra scacciare ritualmente Satana dai discepoli, quando chiede al Padre di “preservarli dal maligno” (Giovanni 17:15, enfasi aggiunta).
L’espressione “il maligno” si riferisce ovviamente a Satana. In quanto tale, la preghiera di Gesù riflette la pratica, nel Giorno dell’Espiazione, di scacciare il capro espiatorio nel deserto.
Questo era un simbolico “prerequisito per la purificazione di Israele in preparazione dell’incontro di [Geova] con il Sommo Sacerdote nel Santo dei Santi del tabernacolo o tempio”.
Santificazione di Cristo e dei Suoi discepoli
Quinto, Gesù chiede al Padre di santificare i Suoi discepoli: “Santificali nella verità… E per loro io santifico me stesso, affinché anch’essi siano santificati in verità (Giovanni 17:17; 19).
Come sottolinea Hamblin, “le parole santità, virtù e consacrazione sono parte del linguaggio del tempio”.
Proprio come i sacerdoti del tempio dovevano essere sottoposti ad un rituale di purificazione e santificazione per potere svolgere il servizio nel tempio, Cristo santifica i Suoi discepoli per poterli mandare nel mondo a predicare il Suo vangelo (Giovanni 17:18).
Inoltre, nel Giorno dell’Espiazione, il sommo sacerdote santificava similmente sé stesso affinché “in una condizione santificata, potesse officiare nel tempio per santificare la comunità di Israele attraverso gli altri rituali del Giorno dell’Espiazione”.
Cristo pertanto dichiara di essere Egli stesso il Grande Sommo Sacerdote in quanto si prepara a compiere l’Espiazione. Egli prepara inoltre i Suoi Apostoli a diffondere le benedizioni della Sua Espiazione nel mondo attraverso la loro predicazione.
Ascesa Celeste e diventare come Dio
Infine, Gesù prega affinché i Suoi discepoli possano diventare come Lui e Suo Padre. Non soltanto i Suoi discepoli potranno vedere la Gloria di Dio ma potranno anche riceverla:
“E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno” (Giovanni 17:22).
Come ha osservato Hamblin, molti testi ebraici e paleocristiani culminano con l’ascensione dei discepoli al tempio celeste, dove seggono sul trono con Dio.
Similmente, gli apostoli Pietro, Giovanni e Paolo parlano della dottrina del diventare come Dio in vari punti dei loro scritti. I primi Cristiani vedevano tale dottrina come il destino finale dei Santi retti.
Altre tradizioni cristiane primitive associate alla preghiera di intercessione di Gesù
È significativo che altre tradizioni cristiane primitive colleghino la preghiera offerta da Gesù nel Getsemani con i riti del tempio.
In un testo chiamato Atti di Giovanni, è riportato che Gesù per primo “ci disse di formare un cerchio, tenendoci per mano l’un l’altro, e lui stesso stava nel mezzo” mentre offriva questa preghiera poco prima del suo arresto.
Anche altri primi Cristiani seguivano questa forma di preghiera nel loro culto. Hugh Nibley ha identificato diversi testi che ritraggono in modo evidente un cerchio della preghiera paleocristiano.
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Come nel caso della preghiera di intercessione, Nibley osserva che “lo scopo del cerchio della preghiera era quello di raggiungere la totale unità delle menti e dei cuori” e, in ultima analisi, di preparare le persone coinvolte e quelle per cui si pregava ad entrare alla presenza del Signore nel tempio celeste.
Discepoli antichi e i: la preghiera di intercessione è anche per noi
La preghiera di intercessione di Gesù deve essere stata un’esperienza molto profonda per la cerchia ristretta di discepoli che Lo sentirono personalmente pregare in loro favore.
Pur tuttavia, le sue parole sono veramente per tutti i discepoli di tutte le epoche, inclusa la nostra. Gesù stesso chiarì:
“Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, ed io sono in te, anch’essi siano in noi” (Giovanni 17:20-21).
Possiamo essere uno con Dio quando stringiamo e manteniamo le alleanze.
Sia al battesimo che al tempio, i Santi moderni prendono su di loro il nome di Gesù Cristo, sono purificati dal peccato mediante lo Spirito Santo, ricevono il potere di vincere il maligno ed infine imparano tutto ciò che devono fare per entrare nel regno dei cieli.
Se seguiamo continuamente l’esempio di Gesù, entreremo in una sacra unità spirituale condivisa dal Padre, il Figlio e tutti i Santi di tutte le dispensazioni.
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