All’inizio del mio ultimo anno alla BYU, ho iniziato a preoccuparmi riguardo al prendere la decisione giusta sul mio futuro.

Stavo sostenendo gli esami di ammissione per i corsi di dottorato e persino mentre sottoponevo le domande di ammissione, nulla mi sembrava giusto per me.

Per trovare una guida feci domande a medici, avvocati, uomini e donne d’affari, insegnanti e praticamente tutti quelli che avevano un battito cardiaco.

Non ci fu nulla che mi colpisse particolarmente. Lisa ed io iniziammo a digiunare e pregare per avere una guida, ma non successe niente.

Continuammo a pregare e a digiunare.

Un giorno, in autunno, Lisa mi chiese se c’era qualcuno che potesse aiutarmi con cui non avevo ancora parlato.

Senza un attimo di esitazione dissi: “Sì. Se potessi parlare con il presidente della BYU, Jeffrey R. Holland, chiarirei tutto”.

Quindi Lisa, che possiede più passione, compassione e fede di Giovanna d’Arco, Madre Teresa ed Ester dell’Antico Testamento combinate insieme, disse: “Allora dovresti andare a parlare con lui!”

“Sei pazza?” pensai. E cosa avrei dovuto dire? “Uhm, mi scusi, Presidente. Sono uno degli oltre 30.000 studenti della BYU.

La prego di dirmi in cosa dovrei laurearmi”. Oh, ma per favore!

Invece passai i seguenti sei o sette mesi cercando di capirlo da solo. Ma non riuscivo ad orientarmi.

Mi sentivo come se fossi nella nebbia. Sembrava che tutti gli altri ricevessero rivelazione, guida e fiducia.

L’ironia era che mentre sapevo che Dio avrebbe risposto alle preghiere di chiunque Gli avesse chiesto con intento sincero, continuavo a dubitare che avrebbe risposto alle mie preghiere.

E quando sembravano essere le domande più importanti, mi sentivo ancora più solo, abbandonato e persino senza speranza.

Avevo raggiunto un punto in cui non mi importava di quello che facevo nelle mie giornate, ma soltanto di dover ricevere una guida divina.

Era chiaro che non stavo molto dritto in piedi, le mie mani pendevano e le mie deboli ginocchia avevano bisogno di rafforzarsi.

Bisogna credere

Solo alcune settimane prima della laurea stavo frequentando le lezioni sulla chiave di volta, nel seminterrato del Jesse Knight Building.

Mentre mi preparavo a lasciare l’edificio, notai una folla riunita alle porte occidentali.

Mi diressi verso la parte anteriore delle porte e scoprii che la ragione per cui nessuno se ne stava andando era perché pioveva: veniva giù un forte acquazzone.

Avendo insegnato all’MTC quel giorno, ero vestito con un abito elegante.

Riesco ancora a sentirmi mentre dicevo: “Tipico, proprio tipico” e guardavo fuori prendendo in considerazione la situazione.

Misi un giornale Daily Universe sulla testa ed iniziai a correre attraverso il parcheggio. Il giornale si trasformò in una poltiglia ed io fui fradicio quasi immediatamente. Così iniziai a camminare lentamente.

“Potrei anche prendere la polmonite e finire in ospedale”, pensai. Ero di umore nero.

Mentre passavo davanti al Brimhall Building, sentii qualcuno gridare: “Hai bisogno di questo, più di me!”

Guardai dall’altra parte della strada e il presidente Holland teneva un ombrello in mano. Gli offrii uno scambio: il mio zaino per il suo ombrello.

Rispose aprendo la portiera del passeggero dietro ed offrendomi un passaggio a casa. Corsi attraverso la strada, salii ed immediatamente creai una pozza d’acqua sul sedile posteriore.

Sorella Holland, che era già in macchina, mi salutò quando il presidente Holland salì al posto di guida.

“Dove posso portarti?” chiese il presidente Holland, mentre mi guardava attraverso lo specchietto retrovisore.

Mia moglie ed io stavamo in alcuni appartamenti a sud del campus ed esitai a dirgli dove vivevo perché non pensavo che sarebbe rimasto molto colpito.

Ma con il presidente dell’università che mi guardava negli occhi, anche se attraverso lo specchietto retrovisore, trovai il coraggio di dire il nome del complesso.

Il presidente e sorella Holland ridacchiarono e il presidente Holland disse: “Pat e io abbiamo vissuto in quegli appartamenti quando eravamo studenti universitari alla BYU”.

Ero sbalordito e senza parole. Il mio piccolo cervello non riusciva a capire come il presidente Jeffrey R. Holland avesse effettivamente vissuto negli stessi appartamenti in cui vivevo.

Impossibile! Vedete, ho ammirato a lungo il Presidente Holland e vedevo lui e sorella Holland nella categoria di quelle persone già “nate con una vita”.

Avevo immaginato che la sua vita fosse affascinante. Era stato un atleta perfetto alle superiori, era stato un perfetto missionario ed aveva una moglie perfetta, semplicemente perfetta.

Quindi, pensare che effettivamente io vivessi negli stessi appartamenti in cui aveva vissuto lui, era incomprensibile.

“Sei sposato?” mi chiesero.

“Sì” risposi, con la testa che ancora mi girava.

“Hai figli?”

“Abbiamo un figlio” dissi.

“Il nostro primo figlio è nato mentre eravamo in quegli appartamenti” mi dissero.

“Davvero?” riuscii a sussurrare.

Guidammo verso sud, lungo la Campus Drive oltre il Maeser Building.

Mentre ero seduto in macchina, mi resi improvvisamente conto che sette mesi prima avevo detto a mia moglie che solo se avessi potuto parlare con il presidente Holland sarei stato sicuro di avere delle indicazioni utili. Raccolsi tutto il mio coraggio e gli chiesi:

“Si è mai preoccupato del suo futuro?”

“Oh sì” rispose lui.

Ero sbalordito e tutto ciò che potei dire fu: “Davvero?”. Dopotutto pensavo che fosse un uomo che non avesse mai avuto una preoccupazione in tutta la sua vita.

Feci molte altre domande e scoprii che la mia risposta era ogni volta: “Davvero?”.

Alla fine chiesi: “Presidente Holland, si è mai sentito così scoraggiato da non sapere se le cose si sarebbero mai risolte? Si è mai preoccupato di non riuscire a farcela?”.

Mi guardò attraverso lo specchietto retrovisore e rispose, ancora una volta con mia sorpresa, “Sì, è successo”.

Fedele al modello della nostra conversazione dissi un altro, incredulo: “Davvero?”

Ricordo che sorella Holland disse: “Sì, Matt. Davvero.”

Andammo verso il complesso in cui vivevo (senza dare indicazioni, potrei aggiungere) e mi spostai verso lo sportello per uscire.

Ma il presidente Holland parcheggiò l’auto nel parco e lui e la sorella Holland si voltarono per guardarmi. Parlammo.

Ad un certo punto mi disse: “Matt, parte del tuo problema è che tu non credi”.

Ammetto di essermi sentito un po’ male, come se la mia testimonianza fosse considerata di scarsa importanza.

“Oh, non sto parlando della tua testimonianza” disse il presidente Holland. “Solo tu credi che Dio operi i Suoi possenti miracoli per tutti, tranne che per te”.

La sua valutazione era giusta.

E poi disse con il suo tipico fervore: “Bisogna crederei, Matt. Bisogna credere”.

Mi offrì solidi consigli e molti incoraggiamenti, poi scesi dall’auto. Mi alzai e salutai finché non furono fuori dalla mia vista.

Entrando nel nostro appartamento, condivisi la mia esperienza con mia moglie. Piangemmo insieme e, poi, scrivemmo nei nostri diari quello che era accaduto, così da ricordarlo per sempre.

Questo articolo è un estratto del discorso di Matthew O. Richardson, pubblicato sul sito speeches.byu.edu e tradotto da Cinzia Galasso.