Poiché siamo stati invitati, anzi ci è stato comandato, di rivolgerci all’Insegnante man mano che affrontiamo i problemi all’esame della vita, e poiché l’Insegnante tiene così tanto ad ognuno di noi, potremmo essere tentati di credere che se ci avviciniamo a Lui con fede sufficiente, Egli risolverà i problemi al posto nostro.
Ma che esame sarebbe? La differenza tra un esame in cui ogni domanda ha una sola risposta e un esame in cui l’insegnante fornisce tutte le risposte è irrilevante. Gli studenti impareranno molto poco in entrambi i casi.
Esaminando con attenzione il “libretto delle istruzioni” troviamo almeno due motivi per cui l’Insegnante si rifiuta di risolvere i problemi al posto nostro.
Il primo corrisponde al Suo desiderio di favorire la nostra crescita. La forza aumenta solo se esercitiamo i nostri muscoli, fisici e spirituali, ovvero, se ci spingiamo innanzi con costanza in Cristo (vedere 2 Nefi 31:20) contro ogni genere di opposizione.
Un progetto più eccelso: Dio ha in mente per noi molto più di quanto noi possiamo mai fare
La storia che segue è attribuita ad Harold W. Wood:
“Mentre mi recavo a casa dei James l’altra sera, ho visto un campo di grano che sembrava essere più verde e più alto di altri. Riflettendoci su, sono arrivato alla conclusione che di tanto in tanto un amorevole contadino passa sopra al campo con il trattore e vi versa del letame.
Ho pensato: ‘Caspita! È proprio come nella vita’. Siamo qui a farci gli affari nostri, mentre coltiviamo il nostro piccolo cuore. Siamo piuttosto verdi, abbastanza produttivi, e molto sinceri, quando dal nulla la vita ci sferra un duro colpo, e ci ritroviamo immersi nel letame.
Noi, ovviamente, arriviamo alla conclusione che la vita per come la conoscevamo è arrivata al termine e che non sarà mai più la stessa. Ma un bel giorno, quando la puzza e lo shock sono andati via, ci ritroviamo più verdi e più alti di quanto non lo siamo mai stati.”
Purtroppo, a prescindere da quanto spesso attraversiamo queste esperienze formative, non riusciamo mai ad apprezzare il suono del trattore o l’odore del letame.
Quando lavoravo all’ufficio della missione in cui servì per due anni, in Sud America, di tanto in tanto avevo il compito di contattare i missionari che erano stati trasferiti e informarli in merito alla nuova destinazione.
La nostra missione comprendeva alcuni rami che non avevano molto successo, e pochi anziani erano ansiosi di essere assegnati a queste aree.
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Tuttavia, era comunque necessario comunicare quelle destinazioni e quando toccava a me farlo, spesso facevo una premessa dicendo: “Anziano, l’aiuterò a crescere.”
Anche alla tenera età di diciannove o vent’anni, comprendevo che le esperienze difficili hanno la capacità di farci crescere spiritualmente. È sicuramente uno dei progetti che l’insegnante ha per i suoi studenti.
Vuole che siamo migliori di ciò che siamo. C.S. Lewis lo ha spiegato in questo modo:
Immaginate di essere una casa, una casa vivente; e viene Dio a ricostruirla. Dapprima, forse, capite quel che sta facendo. Aggiusta le tubature, ripara le crepe nel tetto e così via: sono lavori che andavano fatti; lo sapevate, e non siete sorpresi.
Ma ecco che egli comincia a mettere la casa sottosopra, a sconquassarla in modo orripilante […]. Dove diamine vuole andare a parare?
La spiegazione è che egli sta costruendo una casa tutta diversa da quella che avevate in mente voi: creando qui un’ala nuova, là aggiungendo un piano, innalzando torri, aprendo cortili.
Pensavate di diventare una casetta ammodo: ma lui sta costruendo un palazzo (C.S. Lewis, Il Cristianesimo così com’è, Adelphi, Milano 2007).
Mahonri Moriancumer, il fratello di Jared, obbedendo ad un comandamento del Signore, costruì otto imbarcazioni. Erano splendide, solide sia sott’acqua che sopra, perfette sotto ogni aspetto eccetto tre.
Le persone che avrebbero viaggiato al loro interno avrebbero avuto la tendenza a soffocare; non erano state date disposizioni per dirigerle; e all’interno erano buie come la notte.
Attraversare l’oceano in vascelli del genere sarebbe stato come infilare la testa dentro un sacco nero dell’immondizia e rimanerci per circa un anno. Mahonri presentò le proprie preoccupazioni al Signore.
“E avvenne che il fratello di Giared implorò il Signore, dicendo: O Signore, ho compiuto l’opera che mi hai comandato, e ho fatto le imbarcazioni così come mi hai indicato.
Ed ecco, o Signore, in esse non v’è luce; dove ci dirigeremo? E periremo pure poiché in esse non possiamo respirare, salvo l’aria che è in esse; perciò periremo” (Ether 2:18-19). Il Signore promise di dirigere Lui stesso le imbarcazioni. “I venti sono usciti dalla mia bocca” (Ether 2:34), disse.
L’Insegnante spiegò a questo marinaio giaredita come risolvere il problema dell’aerazione e il fratello di Jared andò e fece “come il Signore gli aveva comandato” (Ether 2:21).
Due dei tre problemi che il fratello di Jared aveva presentato dinanzi al Maestro erano stati risolti, ma le imbarcazioni erano ancora molto buie. Si rivolse nuovamente al Maestro per un altro colloquio.
“Ed egli implorò di nuovo il Signore dicendo:
O Signore, ecco, ho fatto proprio come mi hai comandato; e ho preparato i vascelli per il mio popolo, ed ecco, non v’è luce in essi. Ecco, o Signore, permetterai che traversiamo queste grandi acque nell’oscurità?” (Ether 2:22).
Il Signore aveva fornito una soluzione agli altri due problemi. Mahonri aveva bisogno di una risposta ancora. Ma il Maestro non gliela diede. Piuttosto, gli chiese: “Che cosa vuoi che faccia…?” (vedere Ether 2:23).
Sembra che il Signore gli stesse dicendo “Perché non ci pensi un po’ su e poi torni da me?”. A cosa è dovuta questa differenza? Non è possibile conoscere la mente di Dio in tutte le cose (Isaia 55:8-9), ma il resto della storia ci suggerisce una risposta.
In qualche modo, lottando con questo problema, scoprendo una soluzione attualizzabile e mettendola in pratica, questo eccezionale discepolo sviluppò più fede di quanto avesse mai fatto prima; così tanta fede, in fatti, che vide il dito di Cristo.
Persino il Maestro stesso sembrò esserne sorpreso. “E il Signore gli disse:
A motivo della tua fede hai visto che prenderò su di me carne e sangue; mai un uomo è venuto davanti a me con tale grandissima fede come hai fatto tu; poiché se non fosse così tu non avresti potuto vedere il mio dito. Hai tu veduto più di questo?” (Ether 3:9).
Anziano John B. Dickson descrisse il valore di questo genere di prova:
“Le nostre difficoltà possono essere di natura fisica, spirituale, economica o emotiva; ma se sapremo considerarle come occasioni di progresso e trampolini di lancio per nuove imprese, invece che barriere e pietre di inciampo, la nostra vita e il nostro progresso saranno meravigliosi.
Ho imparato che tra una difficoltà e l’altra vi sono periodi di tranquillità, ma che il vero progresso che ho conseguito è sempre stato accompagnato da una difficoltà” (“Nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile”, Conferenza Generale di Ottobre 1992).
L’esame della vita non richiede semplicemente di scoprire la risposta migliore ad ogni domanda. Un obiettivo indispensabile dell’esame della vita è aiutarci a padroneggiare la mortalità e crescere spiritualmente.
Come nel caso di Mahonri Moriancumer, vediamo questa crescita verificarsi nelle vite di discepoli combattuti e fedeli.
Anche Paolo ebbe lo stesso problema, la sua “scheggia nella carne”, per la quale il Signore rifiutò di fornire una soluzione. Ma l’atteggiamento di Paolo fu magnifico.
“E perché io non avessi ad insuperbire a motivo della eccellenza delle rivelazioni, m’è stata messa una scheggia nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi ond’io non insuperbisca.
Tre volte ho pregato il Signore perché l’allontanasse da me;
ed egli mi ha detto: La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza. Perciò molto volentieri mi glorierò piuttosto delle mie debolezze, onde la potenza di Cristo riposi su me” (2 Corinzi 12:7-9).
Paolo, ascoltando attentamente, deve aver sentito la voce del Signore che diceva: “Ti aiuterò a crescere.”
In un magistrale sermone del 1995, Anziano Richard G. Scott parlò di queste esperienze istruttive.
“Proprio quando tutto sembra andare nel verso giusto, spesso ci troviamo davanti a molteplici problemi.
Quando questi problemi non sono la conseguenza della vostra disobbedienza, sono la prova che il Signore ritiene che voi siete pronti a progredire ulteriormente (vedere proverbi 3:11-12).
Egli quindi vi sottopone a esperienze che stimolano la crescita, la comprensione e la compassione, che vi raffinano per il vostro beneficio eterno.
Per arrivare da dove siete a dove Egli vuole che siate, ci vogliono molti sforzi che di solito sono accompagnati da dolore e sconforto” (“La fiducia nel Signore”, Conferenza Generale di Ottobre 1995).
Parlando di questi episodi, Anziano Scott fece anche una dolce promessa:
“Mentre passiamo attraverso ognuna di queste fasi, il dolore e le difficoltà della crescita continuano. Se tutto avesse una soluzione immediata alla vostra prima richiesta, non potreste crescere.
Il vostro Padre nei cieli e il Suo beneamato Figliolo nutrono per voi un amore perfetto.
Non permettono che affrontiate difficoltà superiori a quelle che sono assolutamente necessarie per la vostra crescita personale o per quella di coloro che amate” (“La fiducia nel Signore”, Conferenza Generale di Ottobre 1995).
Riconoscere il problema reale: quando sembra che Dio non ci risponda
Un altro motivo per cui il Maestro non è sempre disposto ad aiutarci o a risolvere i nostri problemi all’esame della vita, è che spesso non conosciamo, o non vogliamo riconoscere, quali siano i problemi reali.
Israele, sotto la direzione di Mosè, non era felice di dimorare nel deserto nei pressi di Edom.
“E il popolo parlò contro Dio e contro Mosè, dicendo: ‘Perché ci avete fatto uscire fuori dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Poiché qui non c’è né pane né acqua, e la nostra anima è nauseata di questo cibo tanto leggero [manna].’
Allora l’Eterno mandò fra il popolo dei serpenti velenosi i quali mordevano la gente, e un gran numero d’Israeliti morì” (Numeri 21:5-6).
Per questioni di sopravvivenza, gli Israeliti erano diventati esperti nel pentimento repentino. Il Signore li avvisava costantemente con fermezza (talvolta con il fuoco) quando era contrariato. Questa volta non fece eccezione.
“Allora il popolo andò da Mosè e disse: ‘Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro l’Eterno e contro di te; prega l’Eterno che allontani da noi questi serpenti’” (Numeri 21:7).
“Caccia via questi serpenti” implorarono. Ma a quanto pare il Signore non lo fece, anche quando Mosè pregò al riguardo, perché il problema non erano i serpenti.
Il problema era la mancanza di fede e un atteggiamento che portava gli Israeliti a lamentarsi costantemente e ad incolpare Dio e Mosè per ogni difficoltà.
Se gli Israeliti avessero detto a Mosè “Chiedi al Signore di estirpare via da noi questo atteggiamento corrotto” questa storia avrebbe probabilmente avuto un finale diverso.
Ma per loro il problema non era il cattivo atteggiamento. Il problema erano i serpenti. In risposta, il Signore predispose che Mosè facesse un serpente di rame e che lo ponesse in cima ad un bastone affinché le persone potessero vederlo e guardarlo.
Con il serpente venne la promessa: “e avverrà che chiunque sarà morso e lo guarderà, sopravvivrà” (Numeri 21:8).
Il numero di serpenti fiammeggianti non diminuì affatto. Rimasero in tutta la loro pienezza velenosa per ricordare al popolo di Israele quale fosse il problema reale.
Proprio come ci saremmo aspettati, la risposta che il Signore fornì riguardava il vero problema, e cercò di insegnare la fiducia, la fede e la gratitudine, più o meno alla stessa maniera in cui rispose al fratello di Jared riguardo alla questione dell’illuminazione delle imbarcazioni.
La reazione del Casato di Israele non fu altrettanto toccante quanto quella di Mahonri Moriancumer.
“Mandò fra loro dei serpenti volanti fiammeggianti; e dopo che furono morsicati, egli preparò un modo affinché potessero essere guariti; e la fatica che avevano da fare, era di guardare; e a causa della semplicità di tale modo, ossia per la sua facilità, ve ne furono molti che perirono” (1 Nefi 17:41).
I Lamaniti avevano uno scopo simile a quello dei serpenti fiammeggianti: il Maestro li condusse in America per ricordare ai Nefiti quale fosse il vero problema.
“A prescindere da quanto malvagi, feroci e corrotti fossero i Lamaniti (e lo erano!), a prescindere da quanto più numerosi fossero dei Nefiti, mentre li circondavano cupamente da ogni lato, a prescindere da quanto insidiosamente li spiassero e cospirassero ed escogitassero piani diabolici e proferissero le loro sanguinose minacce e facessero preparativi per uscire in guerra aperta contro di loro, essi non erano il vero problema dei Nefiti.
Essi erano lì semplicemente per ricordare ai Nefiti quale fosse il problema, ovvero “camminare in rettitudine dinanzi al Signore” (versione originale in Inglese: Hugh Nibley, Since Cumorah, p. 376).
Il Signore lo disse chiaramente a Nefi mentre la famiglia si trovava ancora nella Valle di Lemuele.
“E inquantochè tu obbedirai ai miei comandamenti, sarai fatto governatore e insegnante sui tuoi fratelli.
Poiché ecco, nel giorno in cui essi si ribelleranno contro di me, io li maledirò, sì, con una grave maledizione, ed essi non avranno alcun potere sulla tua posterità, a meno che essi [i Nefiti] pure si ribellino contro di me.
E se accadrà che si ribellino contro di me, essi saranno un flagello per la tua posterità, per spronarli sul cammino della rimembranza” (1 Nefi 2:22-24 enfasi aggiunta).
E tuttavia, è certo che innumerevoli preghiere da parte dei Nefiti ascesero al Trono di Grazia supplicando il Maestro di risolvere il problema dei Lamaniti.
Non appena Gesù ebbe finito di sfamare i cinquemila con due piccoli pesci e cinque pagnotte di pane d’orzo e di riempire cinque ceste con quanto era rimasto, alcune dei Giudei decisero di “rapirlo per farlo re” (Giovanni 6:15).
Sarebbe stato un re grandioso! Sarebbe stato in grado di nutrire gli affamati, guarire gli infermi, fare resuscitare i morti, pagare le tasse con le monete venute fuori dalla bocca di un pesce; sicuramente sarebbe stato in grado di sconfiggere ed espugnare i Romani.
Con un gesto della mano avrebbe potuto risolvere ogni problema sociale che affliggeva la nazione Israelita. Ma i problemi che gli Ebrei dovevano risolvere non erano di natura né sociale né politica.
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Erano di natura spirituale. E fintantoché non avessero prima risolto il proprio dilemma spirituale, gli Ebrei non potevano aspettarsi che il Signore li aiutasse a risolvere gli altri problemi.
Spesso mi chiedo se questa incapacità di riconoscere il vero problema non sia uno dei motivi per cui le mie preghiere relative alla mia famiglia non ricevono delle risposte più dirette e significative. Mi inginocchio e imploro:
“I miei figli non sono molto grati. Talvolta sono disubbidienti e indifferenti. Devo corromperli per convincerli a partecipare allo studio delle scritture e litigano durante la serata familiare.
A volte non vengono in chiesa. E a volte la nostra casa è ricolma di spirito di contesa e rabbia. Perfavore, aiuta i miei figli ad essere migliori!”.
Se fossi più sensibile e sincero, potrei sentire la voce dolce e sommessa del Maestro che sussurra: “Guardati allo specchio. Il problema qui non sono i tuoi figli.
Le vostre lezioni della serata familiare (quando la tenete) raramente vengono preparate in anticipo. Vi dai uno sguardo mentre li chiami per venire ad ascoltare.
E quante volte lo scorso mese avete saltato la preghiera familiare o lo studio familiare delle scritture a causa di contrattempi banali? Ricordi cosa vi ho detto per mezzo dei profeti?”.
“Consigliamo ai genitori e ai figli di dare la massima priorità alla preghiera familiare, alla serata familiare, allo studio e all’insegnamento del Vangelo e a tutte le sane attività familiari.
Per quanto degni e necessari siano gli altri compiti e le altre attività, non si deve consentire loro di impedire lo svolgimento dei doveri che, per divino mandato, soltanto i genitori e gli altri familiari possono compiere adeguatamente” (Lettera della Prima Presidenza, 11 febbraio 1999).
Poiché l’esame della vita non è come la televisione e per risolvere alcuni problemi ci vuole più di mezz’ora, dobbiamo seguire l’esempio del fratello di Jared e di Paolo.
L’esame della vita
Dobbiamo essere sicuri di concentrarci sul vero problema, e poi dobbiamo lavorare, aspettare e fidarci, sapendo che alla fine saremo migliori per via dei nostri sforzi.
“Non esiste dolore che sopportiamo, o prova che attraversiamo, che sia sprecato. Serve alla nostra educazione, allo sviluppo di virtù quali la pazienza, la fede, la forza e l’umiltà.
Tutto ciò che tolleriamo e sopportiamo, soprattutto quando lo sopportiamo con pazienza, rafforza il nostro carattere, purifica il nostro cuore, espande la nostra anima e ci rende più dolci e caritatevoli, maggiormente degni di essere chiamati figli di Dio… ed è attraverso la sofferenza e il dispiacere, la fatica e la tribolazione, che acquisiamo quella conoscenza che venimmo ad apprendere e che ci renderà più simili al nostro Padre e alla nostra Madre celeste” (Versione originale in Inglese: Elder Orson F. Whitney, cited by Spencer W. Kimball in Faith Precedes the Miracle, p. 98).
L’esame della vita: non aspettatevi che l’insegnante vi suggerisca tutte le risposte è stato scritto da Ted Gibbons e pubblicato su ldsmag.com. Questo articolo è stato tradotto da Ginevra Palumbo
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