I credenti parlano molto dell’importanza di cercare e seguire Cristo, ma è Lui che desideriamo nella nostra vita più di tutte le altre, tante, allettanti offerte che ci circondano? Non poi così tanto.
Gli ultimi due anni di pandemia, discordia politica e costante ambiguità sul futuro mi hanno fatto capire quanto i miei desideri si concentrino su cose che possono scomparire, come la sicurezza, l’armonia comunitaria e sapere se potrò o meno andare a trovare i miei figli che vivono all’estero.
Nel celebre romanzo di Dostoevskij, I fratelli Karamazov, il Grande Inquisitore accusa Cristo di fraintendere la natura umana perché il nostro desiderio di libertà trovata in Cristo impallidisce quando paragonato al nostro desiderio di altre cose, specialmente di ciò che Gesù rifiutò nel deserto: cibo e pance piene, grandiosi miracoli che offrono delle prove tangibili alla nostra debole fede, e potere e controllo temporali.
Così, dopo una scomoda analisi dei miei desideri più radicati, mi sono resa conto di desiderare Gesù meno delle altre cose, insieme al resto dell’umanità.
Un futuro stabile per i miei figli, piani di viaggio senza interrogativi che incombono, miracoli grandiosi (la fine istantanea del Covid sarebbe bello), e sì, un senso di controllo pre-2020 – probabilmente desidero tutte queste cose con più intensità di quella che ho per il Cristo bambino nella mangiatoia del mio presepe.
Desiderare Gesù più delle altre cose che vorremmo nella nostra vita ci aiuta ad affrontare meglio la delusione
Ma è anche vero che non voglio più desiderare le altre cose più di Lui. Diversi scrittori cristiani, insieme ad alcuni discorsi della Conferenza Generale, mi hanno aiutato a coltivare questa inclinazione più sana, con storie che hanno ravvivato i ricordi delle volte in cui non ho ottenuto ciò che volevo.
La maggior parte delle volte, in seguito ho ringraziato Dio per il dono di desideri ignoranti traumaticamente e benedettamente distrutti.
“Dio ti darà soltanto quello che avresti chiesto se tu sapessi tutto quello che Lui sa”, scrive il teologo Timothy Keller. I libri di Keller raccontano storie ammonitrici di coloro che hanno ottenuto ciò che volevano di più e sono diventati più infelici che mai.
I suoi scritti raccontano aneddoti simili a quello dei due attori che Keller conosceva, entrambi in lizza per un ruolo principale a Broadway. Nessuno dei due ottenne la parte, ma quello che mise Dio al primo posto affrontò la delusione, cominciò un’altra professione e trovò significato altrove.
L’altro, il cui amore per la recitazione superava tutto il resto, cadde in una persistente disperazione e nell’abuso di sostanze.
“La maggior parte delle storie di geni, lampade e desideri illustrano che i nostri desideri sono disposti in modo discordante e fatalmente poco saggio”, avverte Keller sul suo feed di Twitter.
“Anche quando abbiamo buone intenzioni, i risultati saranno fallimentari”. L’anziano Jeffrey R. Holland fa notare nel suo discorso del 2021 “The Greatest Possession”, che il desiderio discordante del giovane ricco va oltre la ricchezza e simboleggia qualsiasi altra cosa che vogliamo al di sopra del regno di Dio.
L’anziano Holland continua a far crollare diverse metafore attinenti di CS Lewis per illustrare ciò che Dio vuole veramente da noi: alberi interi, non solo rami; denti interi, non solo corone fissate; e interi sé, non solo tempo o denaro. In cambio, spiega Lewis, Dio dice: “Vi darò invece un nuovo sé. Anzi, vi darò me stesso”.
Desiderare Gesù, però, insieme al nuovo sé che Lo accompagna, non è per i deboli di cuore. Negli anni ’80, quello che volevo consisteva in una carriera editoriale di successo, così mi trasferì a est dove, nell’era pleistocenica pre-internet, risiedevano tutte le opportunità.
Lavoravo come freelance mentre ero disoccupata, frequentavo la chiesa e pregavo con fervore di ottenere una posizione da redattore. Poi avvenne un miracolo grandioso.
Mi trovai ad essere una dei due candidati finali per un lavoro ideale in una prestigiosa rivista. Mi immaginavo finanziariamente stabile, a redigere manoscritti nell’accogliente ed esclusivo ufficio pubblicazioni, mentre sorseggiavo cioccolata calda.
Desideravo così tanto quel lavoro da starci male, ma non sospettavo che ciò che Dio voleva era salvare la mia anima da giovane donna ambiziosa in carriera.
Con mia grande disperazione, l’altro candidato ottenne il posto e io finii a lavorare nel reparto libri di testo di una grande e impersonale società dove, a parte essermi fatta qualche buon amico, ero infelice.
I desideri di Dio per noi sono migliori dei nostri desideri
Nel 2021, l’anziano Brent Nielson ha riadattato una storia del Nuovo Testamento ponendo enfasi sui temi del volere e del desiderio. Quel gruppo intraprendente che fece a pezzi un tetto per calarvi il loro amico affinché incontrasse Gesù, desiderava una guarigione fisica.
Invece, Gesù prima perdonò i peccati dell’uomo o, come disse l’anziano Nielson, guarì l’anima dell’uomo. Proprio come il giovane Brent Nielson, ha spiegato, aveva desiderato solo la guarigione fisica per il cancro di suo padre, il paralitico e i suoi amici desideravano la capacità di camminare più della salvezza interiore.
Ma mentre l’uomo calato dal tetto ottenne sia una guarigione fisica che spirituale, il padre dei Nielson morì, un colpo che richiese diversi anni per essere compreso dal figlio.
Desiderando solo quello che voleva lui, invece di quello che voleva Dio, l’anziano Nielson spiega: “Non sono riuscito a vedere il miracolo che si era verificato” – la resilienza della famiglia e un padre “spiritualmente guarito mentre cercava e riceveva la benedizione disponibile grazie all’Espiazione del Salvatore”.
Negli anni ’80, non volevo la guarigione spirituale e continuavo a pregare per un lavoro migliore.
Con orrore, però, continuavo a ricevere forti stimoli a servire una missione, decisamente non nella mia lista dopo essermi trasferita dall’altra parte del paese per un programma editoriale che costava i miei risparmi e per un lavoro che ne valesse la pena.
Ma in un atto di fede fuori dal comune, partii per una missione che non desideravo.
Nel processo, la mia vecchia vita è morta e ne è emersa una migliore che ha portato a priorità diverse, una famiglia, gioia, e quando tornai dal Brasile, ad un lavoro in una rivista della Chiesa piena di cacao, manoscritti e uno scopo che avrei voluto prima se avessi saputo tutto ciò che Dio sa.
Eppure, nuovi desideri sorgono continuamente e io vi ricado con frequenza deludente, finché un autore come Donald Miller mi motiva a desiderare Gesù più di una vita sicura e facile. In A Million Miles In a Thousand Years: How I Learned to Live a Better Story, Miller spiega che una buona storia comporta un personaggio che vuole qualcosa ed è disposto ad affrontare un’opposizione per ottenerla.
Tuttavia, la storia è buona solo quanto i desideri del personaggio, insieme alla crescita personale di quest’ultimo che ne deriva, e che si evolve attraverso un intenso conflitto nel perseguire quel desiderio. Migliore è il desiderio, maggiore è il conflitto. Maggiore è il conflitto, maggiore è lo sviluppo del personaggio.
Ma chi vuole lo sviluppo del personaggio? Amiamo tutta quella crescita e quel conflitto nei libri e nei film, ma non nella vita reale.
Giorno per giorno, vogliamo storie facili e poco stimolanti, come quelle che Miller descrive nella sua introduzione a A Million Miles, in cui un personaggio risparmia abbastanza soldi per una Volvo, controlla i tergicristalli e l’aria condizionata durante un giro di prova, e poi se ne va soddisfatto con il suo nuovo acquisto.
Desiderare Gesù più delle cose mondane ci aiuta ad accettare tutte le cose necessarie al nostro progresso e alla nostra crescita personale
Sì, la pandemia ha rivelato che voglio una vita da Volvo – non di auto, ma di sicurezza, comfort e benedizioni invece di un Monte Mordor da scalare. Desiderio i doni più del Donatore che mi strappi il dente marcio, sradichi il mio albero marcio e, peggio ancora, faccia sviluppare il mio carattere.
Ma saggi cristiani come l’autore medievale de L’imitazione di Cristo offrono questa intuizione, ancora potente cinque secoli dopo, per i credenti prudenti come me:
Il saggio amante [di Cristo] non considera tanto il dono di Colui che ama quanto l’amore di Colui che dà. Egli considera l’affetto di colui che dona piuttosto che il valore del dono, e pone il suo Amato al di sopra di tutti i doni.
Il nobile amante [di Cristo] non riposa nel dono ma in Me che sono al di sopra di ogni dono.
È difficile non dare più valore ai doni – quei benefici tangibili di cui gli scienziati sociali scrivono in articoli accademici che correlano l’osservanza religiosa con tutto, da una più rapida guarigione dalla malattia a una maggiore coesione familiare a una minore pressione sanguigna – che al donatore stesso.
Ma se lo faccio per le benedizioni che il vangelo offre, non sono diversa dai seguaci che cercarono Gesù solo perché, come disse il Signore, “avete mangiato dei pani e vi siete saziati”.
Alcuni lettori di Dostoevskij trovano gli argomenti del Grande Inquisitore contro Cristo troppo convincenti e “se ne vanno anche loro”.
Forse Gesù si aspetta troppo da noi semplici mortali che bramiamo i pani piuttosto che la parola di Dio, i miracoli piuttosto che la voce dolce e sommessa, e un sovrano del mondo che ci dica cosa fare piuttosto che Colui che ci dà il libero arbitrio.
Ma la sicurezza, il miracolo e il potere sono transitori. Come i servi in Isaia che “mangiate, ma avrete fame” e “bevete, ma avrete sete”, otteniamo ciò che vogliamo e poi ne vogliamo ancora di più, o qualcosa di completamente diverso.
Al contrario, chi beve l’acqua viva di Gesù, ha spiegato, non ha mai sete, e chi mangia il Pane di Vita non ha mai fame.
Potrebbero dover rinunciare a un braccio destro, un occhio, un’ambizione o altri beni; Timothy Keller fa notare che Giuseppe rinunciò alla sua reputazione sposando Maria incinta, poi rinunciò alla casa e alla sicurezza fuggendo in Egitto.
Come scrisse una volta Sally S. Wright nel romanzo The Pilgrimage of Malcolm Muggeridge sulla fama, il successo, il piacere e l’appagamento, “moltiplicate questi piccoli trionfi per un milione, sommateli, e non sono niente – meno di niente, un impedimento positivo – misurati contro un sorso di quell’acqua viva che Cristo offre agli assetati spirituali”.
Ho assaggiato l’acqua viva, sono emersa più integra ad ogni perdita, e forse non desidero la crescita personale che incontrare Cristo comporta, ma mi fido sempre più di Lui mentre i miei desideri perniciosamente implacabili muoiono di morte lenta.
Mentre ascolto “Jesus, Joy of Man’s Desiring” questo Natale e la sua espressione di intenso desiderio per l’onnipotente, voglio desiderare Gesù e condivido queste parole del pastore Keller: “non sai che Gesù è tutto ciò di cui hai bisogno finché Gesù è tutto ciò che hai”.
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Perché desiderare Gesù più delle cose del mondo è l’unica via verso la felicità è stato pubblicato da publicsquaremag.org. Questo articolo è stato tradotto da Ginevra Palumbo.
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