Mentre si trovava in prigione Paolo scrisse diverse epistole tra cui quelle agli abitanti di Filippi. Nonostante si trovasse in una condizione molto difficile, le sue parole sono intrise di 

speranza e gioia. Uno dei temi centrali di queste epistole è il sacrificio. Nel capitolo 3 si legge:   

io…della tribù di Beniamino, ebreo d’ebrei; quanto alla legge, Fariseo;

quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile.

Ma le cose che m’eran guadagni, io le ho reputate danno a cagion di Cristo.

Anzi, a dir vero, io reputo anche ogni cosa essere un danno di fronte alla eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale rinunziai a tutte codeste cose e le reputo tanta spazzatura affin di guadagnare Cristo,

[…]

Fratelli, io non reputo d’avere ancora ottenuto il premio; ma una cosa fo: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno dinanzi,

proseguo il corso verso la mèta per ottenere il premio della superna vocazione di Dio in Cristo Gesù (Filippesi 3:4–14).

Da queste parole si evince a quanto Paolo dovette rinunciare per seguire Gesù Cristo: una posizione di rilievo nella comunità cui apparteneva, pratiche e abitudini radicate e molte delle cose in cui credeva.

Questo mi ha fatto pensare al ruolo che il sacrificio ha sempre avuto nel Vangelo e nel piano di Dio, e a come sia cambiato in forma e significato nel tempo.

I rapporti di Dio con l’uomo

dio e gesù cristoL’etimologia del termine sacrificio è molto interessante. Essa deriva dall’unione dell’aggettivo “sacer” e del verbo “facio”, che significano letteralmente “rendere sacro”.

Quindi, il termine che usualmente indica uno sforzo, una privazione, un dolore, generalmente sopportato per il bene di altri, racchiude in sé un senso di sacralità che scaturisce proprio dalla nobile azione dell’uomo.

Il sacrificio è sempre stato una prerogativa del rapporto tra Dio e il Suo popolo.

Nel tempo, è cambiato nella forma, ma il suo valore simbolico è rimasto sempre lo stesso, ricordare l’ultimo e supremo sacrificio che l’Agnello di Dio avrebbe compiuto per tutti noi.

La legge di Mosè prevedeva un sacrificio di tipo esteriore mediante lo spargimento di sangue animale. I rituali erano molti e molto specifici, e ognuno di essi rappresentava un aspetto simbolico del sacrificio di Gesù.

I primogeniti del gregge, proprio come primogenito era Gesù Cristo, nello spirito e nella carne, prendevano simbolicamente su di loro i peccati del popolo d’Israele, il quale poteva considerarsi nuovamente puro. 

Con Gesù Cristo, la legge del Vangelo pone fine a tutte le pratiche e rituali della legge antica, compreso il sacrificio di animali, ma introduce un nuovo tipo di sacrificio, più profondo ed interiore. 

Nel libro di Mormon il Salvatore annuncia al popolo Nefita: 

E non mi offrirete più spargimento di sangue; sì, i vostri sacrifici e i vostri olocausti cesseranno, poiché non accetterò più i vostri sacrifici e i vostri olocausti.

E mi offrirete in sacrificio un cuore spezzato e uno spirito contrito. E chiunque verrà a me con cuore spezzato e spirito contrito, lo battezzerò con il fuoco e con lo Spirito Santo (3 Nefi 9:19–20). 

Cosa vuol dire avere un cuore spezzato e uno spirito contrito?

Il sacrificio come rinuncia

Isacco e Abrahamo

Abraham and Isaac before the Sacrifice, Jan Victors, 1642

Avere un cuore spezzato e uno spirito contrito, in breve, vuol dire dolersi per i peccati commessi (cuore spezzato) ed essere disposti a cambiare la nostra natura carnale rinunciando all’uomo naturale (spirito contrito). 

Questo può voler dire abbandonare attività o abitudini che un tempo ci portavano “soddisfazione”, allontanare la compagnia di persone che non hanno una buona influenza su di noi o rinunciare a tutto ciò che potrebbe privarci delle benedizioni del Vangelo. 

In un discorso della conferenza di aprile 2012, l’apostolo Dallin H. Oaks ha raccontato: 

Molti anni fa a questa conferenza sentimmo parlare di un giovane che trovò il vangelo restaurato mentre studiava negli Stati Uniti. Mentre quest’uomo stava per fare  

ritorno in patria, il presidente Gordon B. Hinckley gli chiese che cosa sarebbe avvenuto al suo ritorno a casa in qualità di cristiano.

“La mia famiglia sarà delusa”, rispose il giovane. “Potrebbero mandarmi via e considerarmi morto.

Per quanto riguarda il mio futuro e la mia carriera, immagino che non avrò più alcuna opportunità di avanzamento”.

“Ti senti disposto a pagare un prezzo così grande per il Vangelo?” chiese il presidente Hinckley.

Con le lacrime agli occhi il giovane rispose: “Il Vangelo non è forse vero?”.

Quando ciò fu confermato, replicò: “Allora, cosa conta il resto?” (Dallin H. Oaks, “Il sacrificio”, Liahona, maggio 2012, 21).

Contrariamente a quanto accadde a quest’uomo o a Paolo, non a tutti Dio chiederà di rinunciare alla propria posizione sociale o alla propria famiglia, ma proprio come al giovane ricco il Salvatore chiese di abbandonare tutto ciò che aveva per seguirLo, anche noi dovremo rinunciare a qualcosa cui teniamo o cambiare un determinato aspetto della nostra vita per seguire Cristo. 

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Questo potrebbe sembrare ingiusto ad una mente razionale, ma colui o colei che vive per fede sa che le benedizioni per coloro che mettono Dio al centro della propria vita superano di gran lunga qualunque cosa cui potrebbero mai rinunciare.

Il Signore ha detto: 

Poiché in verità vi dico: benedetto colui che rispetta i miei comandamenti, o in vita o in morte; e colui che è fedele nella tribolazione, la sua ricompensa è maggiore nel regno dei cieli.

Voi non potete vedere con i vostri occhi naturali, in questo momento, i disegni del vostro Dio riguardo alle cose che avverranno in seguito, e la gloria che seguirà dopo molta tribolazione.

Poiché dopo molta tribolazione vengono le benedizioni. Pertanto verrà il giorno in cui sarete coronati con molta gloria; l’ora non è ancora arrivata, ma è vicina (Dea 58:2-4).

Ovviamente, non è sempre facile avere una visione eterna dei sacrifici che comporta accettare il Vangelo, e sicuramente il cambiamento non è immediato.

È un processo che dura tutta la vita, ma provando con fede e pentendosi ogni giorno, a poco a poco impareremo a sottomettere la nostra volontà a quella del Padre celeste, che vuole sempre il nostro meglio.  

Come ha spiegato l’Anziano Taylor G. Godoy

“… il sacrificio personale è una forza inestimabile che motiva le nostre decisioni e le nostre risoluzioni.

Il sacrificio personale motiva le nostre azioni, il nostro impegno e le nostre alleanze, e dà significato alle cose sacre.

Il piano di redenzione è possibile grazie al sacrificio di Gesù Cristo. Lui stesso ha detto di quel sacrificio:

“[Fece] sì che io stesso, Iddio, il più grande di tutti, tremassi per il dolore e sanguinassi da ogni poro e soffrissi sia nel corpo che nello spirito — e desiderassi di non bere la coppa amara e mi ritraessi” (DeA 19:18).

È grazie a questo sacrificio che, dopo aver seguito il processo del pentimento sincero, possiamo sentirci sollevati dal peso dei nostri sbagli e peccati.

Infatti, il senso di colpa, la vergogna, il dolore, l’angoscia e il buttarsi giù sono sostituiti da coscienza pulita, felicità, gioia e speranza.”

Il sacrificio nel servizio reso al prossimo

Un altro aspetto importante del sacrificio è ciò a cui rinunciamo nel servizio reso agli altri.

Talvolta (o forse la maggior parte delle volte) servire gli altri comporta una rinuncia da parte nostra, che sia in termini di tempo, di risorse o di comfort.

Il buon samaritanoIl presidente Thomas S. Monson, ex profeta e presidente della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, è un esempio lampante di vita vissuta al servizio degli altri.

Molti sono i racconti che lo vedono coinvolto nel soccorso di amici, parenti o sconosciuti. 

Lui ha detto: 

“Quando guardiamo verso il cielo, impariamo inevitabilmente a conoscere la nostra responsabilità di guardare verso l’esterno.

Per trovare la vera felicità, dobbiamo cercarla al di fuori di noi stessi. Nessuno ha imparato il senso della vita finché non ha ceduto il proprio ego al servizio del prossimo.

Il servizio agli altri è simile al dovere, il cui adempimento porta la vera gioia. Non viviamo da soli – nella nostra città, nella nostra nazione o nel nostro mondo.

Non esiste una linea di demarcazione tra la nostra prosperità e la miseria del nostro prossimo. “Ama il tuo prossimo” è più di una verità divina. È un modello di perfezione.

Questa verità ispira il familiare invito: “Andate e servite”. Per quanto alcuni di noi ci provino, non possiamo sfuggire all’influenza che la nostra vita ha sulla vita degli altri.

Abbiamo l’opportunità di costruire, di sollevare, di ispirare e di guidare.

Il Nuovo Testamento insegna che è impossibile assumere un atteggiamento corretto verso Cristo senza assumere un atteggiamento altruistico verso gli uomini.”

Il Salvatore andava in giro facendo del bene, e quando ha lanciato l’ingiunzione di amarci come Lui ci ha amati, non intendeva semplicemente di provare sentimenti di benevolenza gli uni per gli altri, ma di servirci a vicenda.

È bello servire il prossimo quando ne abbiamo voglia o nel tempo libero. Fare del bene ci rende felici. Ma quando servire il prossimo diventa “scomodo”?

Quando dobbiamo rinunciare ad un momento di relax per correre in soccorso di qualcuno? O quando siamo pieni di impegni e incombenze e proprio non abbiamo il tempo?

Oppure ancora quando la richiesta d’aiuto arriva da qualcuno che non ci va a genio o che ci ha addirittura feriti in passato? È in queste occasioni che ci viene chiesto un sacrificio.

In questo modo dimostriamo realmente di possedere la carità, il puro amore di Cristo, e di amare il prossimo. Questi sono i sacrifici che ci santificano, e che Dio consacrerà per il nostro bene.

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Anche in questo caso, più facile a dirsi che a farsi, ma per questo siamo sulla terra, per questo il Salvatore ci ha mostrato la via, vivendo una vita d’amore e compiendo il sacrificio supremo. 

Nello stesso discorso menzionato sopra, l’apostolo Dallin H. Oaks ha espresso questa grande verità:

“La nostra vita di servizio e sacrificio è l’espressione più appropriata del nostro impegno a servire il Maestro e i nostri simili.

L’incomprensibile sofferenza di Gesù Cristo mise fine al sacrificio con spargimento di sangue, ma non mise fine all’importanza del sacrificio nel piano evangelico.

Il nostro Salvatore ci chiede di continuare a fare sacrifici, ma i sacrifici che ora Egli comanda sono che Gli offriamo “in sacrificio un cuore spezzato e uno spirito contrito” (3 Nefi 9:20).

Egli inoltre comanda a ciascuno di noi di amarci e servirci a vicenda” quindi, sostanzialmente, di offrire una piccola imitazione del Suo stesso sacrificio sacrificando il nostro tempo e le nostre priorità egoistiche.

In un inno ispirato, cantiamo:’Il sacrificio produce le benedizioni del cielo’”.

Soltanto seguendo l’esempio del Salvatore nel donare un po’ di noi stessi agli altri saremo in grado di trovare la gioia vera e duratura.

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