Più vado avanti nello studio dell’Antico Testamento più rimango sorpresa da quanto tutta la scrittura sia impregnata dal simbolismo del sacrificio espiatorio di Gesù Cristo.
Lo abbiamo visto con Abrahamo; lo abbiamo visto con Giuseppe ed anche con Mosè, considerati “tipi” di Cristo.
Non fa eccezione la simbologia legata all’utilizzo del tabernacolo di Mosè, che Dio comandò di costruire al popolo d’Israele durante il suo esodo nel deserto.
Struttura e funzione del tabernacolo di Mosè
Il tabernacolo di Mosè era composto da tre sezioni: un cortile esterno, il luogo santo e il santo dei santi. Questi ultimi costituivano i due ambienti della tenda di convegno vera e propria, ed erano separati da un velo.
Si accedeva al cortile esterno attraverso una tenda, che invitava il popolo a lasciare il mondo ed entrare in un luogo incentrato su Dio. L’intera struttura poteva essere smontata e trasportata durante gli spostamenti.
Quando il popolo si soffermava in un’area per un periodo prolungato, il tabernacolo veniva rimontato e collocato al centro del campo.
Ogni famiglia doveva piantare la propria tenda tutt’attorno con l’entrata rivolta verso il tabernacolo. In questo modo il popolo poteva vederlo e ricordarsi del patto stretto con Dio.
La sua funzione era quella dimora di Dio. Allo stesso tempo era un memento concreto e visivo dell’alleanza tra Dio e Israele, e uno strumento di purificazione e santificazione.
La struttura del tabernacolo rappresenta la progressione attraverso tre livelli di santità, dal mondo caduto alla presenza di Dio; non a casa l’entrata era posta a est.
Quando vennero scacciati dal Giardino di Eden, Adamo ed Eva uscirono dal lato est del giardino. La parola ebraica che generalmente viene tradotta con “pentimento” è “teshuvah”, che vuol dire letteralmente “ritorno”.
Quindi, simbolicamente, il cammino verso la presenza di Dio attraverso il tabernacolo era un viaggio di ritorno al luogo di appartenenza divino precedente alla caduta.
Ecco alcune componenti del tabernacolo con le proprie funzioni e la simbologia di Cristo dietro ognuna di esse.
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L’altare dei sacrifici
L’altare dei sacrifici era posto davanti all’entrata del cortile esterno del tabernacolo. Era qui che venivano eseguiti i sacrifici previsti dalla legge di Mosè.
A seconda del tipo di sacrificio venivano impiegati esemplari senza macchia o difetto di capre (maschi o femmine), pecore o montoni.
L’animale veniva presentato alle porte del tempio e posizionato al lato nord dell’altare per essere sacrificato.
Colui che offriva il sacrificio, o il sacerdote in sua vece, poneva le mani sul capo dell’animale per consacrarlo come offerta a Dio al posto suo.
Si presume che mettendo le mani sul capo dell’animale si passassero simbolicamente a lui i peccati di chi presentava il sacrificio.
A quel punto l’animale veniva sgozzato. Con il sangue ricavato si aspergevano le pareti dell’altare, mentre quello rimanente veniva versato alla base.
L’animale veniva poi bruciato sull’altare per intero, in caso di olocausto, o soltanto in parte. Se il sacrificio lo prevedeva si procedeva con la consumazione dell’offerta come forma di comunione con Dio.
Vi erano istruzioni specifiche sulle parti che era consentito mangiare e su quali invece venivano considerate impure.
Nonostante le funzioni e le modalità fossero diverse (ad es. sacrificio di riscatto dal peccato, sacrificio di resa di grazie ecc.) ogni sacrificio era un simbolo e una prefigurazione del futuro sacrificio espiatorio di Gesù Cristo.
I nostri peccati sono simbolicamente trasferiti su Gesù Cristo come quelli del popolo d’Israele venivano trasferiti sull’animale. Grazie al Suo sacrificio noi siamo resi puri e possiamo prepararci per tornare alla presenza di Dio.
2. La bacinella di rame (o lavatoio)
Il lavatoio, fatto interamente di rame, era anch’esso situato nel cortile esterno, tra l’arca dell’alleanza e l’entrata della tenda di convegno. Veniva utilizzata dai sacerdoti per lavare via il sangue del sacrificio prima di accedere al luogo santo.
Da un punto di vista spirituale, il rituale rappresentava la purificazione dal sangue, dalla sporcizia e dalle impurità dei peccati del mondo.
In questo modo, i sacerdoti presentavano i sacrifici e sé stessi dinanzi a Dio in uno stato di purezza e santità.
Come i sacerdoti dell’Antico Testamento, anche noi per poter stare alla presenza di Dio dobbiamo prima essere purificati. Lo facciamo seguendo il comandamento di essere battezzati per immersione nell’acqua.
Ciò è a simbolo del potere di Dio di purificarci oltre le nostre capacità. Similmente, alcune ore prima di essere crocifisso, Gesù lavò i piedi dei Dodici Apostoli, in un rituale che poteva purificarli in modi che non avrebbero potuto fare da soli.
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La Menorah nel tabernacolo di Mosè
Il candelabro, o menorah, era fatto d’oro puro e composto da sette bracci (tre per lato più quella centrale). Nelle scritture viene descritto a forma di albero di mandorle con i rami, i boccioli e i fiori.
Ogni braccio culminava in una coppa, all’interno della quale veniva bruciato dell’olio di oliva puro che nell’Antico Testamento è spesso collegato allo Spirito Santo.
La sua funzione era quella di illuminare il luogo santo.
La simbologia dietro la menorah è molteplice. Può rappresentare la saggezza, la luce di Cristo che illumina la nostra vita, come anche la luce dello Spirito che ci guida per tornare alla presenza di Dio.
Inoltre, nella tradizione giudaica la forma ad albero del candelabro richiama quella dell’albero della vita.
I sette bracci vengono anche interpretati come i sette giorni della creazione e i sette giorni della settimana.
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Il tavolo dei pani
Il secondo dei tre oggetti del luogo santo è il tavolo dei pani. Era fatto di legno d’acacia ricoperto d’oro puro.
I sacrifici eseguiti sull’altare all’esterno avevano valore individuale; il sacrificio reso al tavolo dei pani aveva valore collettivo per il popolo d’Israele.
Ogni settimana, il sacerdote cuoceva 12 pagnotte di pane non lievitato che poneva poi sul tavolo dei pani nel giorno del riposo (sabato).
Il pane simboleggiava le dodici tribù d’Israele e la sua alleanza con il Signore. Il pane vecchio veniva poi spezzato e consumato dal sacerdote in un atto di comunione fra la divinità e il popolo d’Israele.
L’atto di spezzare il pane con il nemico era visto come modo per riconciliarsi con quest’ultimo. Allo stesso modo, tale rito era un ulteriore modo per essere riconciliati con Dio, visto come nemico del peccato.
Gesù Cristo stesso, durante l’ultima cena, prese del pane e lo spezzò affinché i discepoli potessero ricordarsi del Suo sacrificio.
Ancora oggi, molte delle denominazioni Cristiane usano spezzare il pane, o altri alimenti, per ricordare il Sacrificio del Salvatore e come segno di comunione con Dio.
Da un punto di vista esteriore, il pane serviva per ricordare a Israele il bisogno di essere nutrito quotidianamente dalla presenza di Dio.
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L’altare dei profumi
L’altare dei profumi era posto nel luogo santo davanti al velo che separava questo dal Santo dei Santi. Era fatto di legno d’acacia e ricoperto d’oro.
Ogni angolo culminava in un corno d’oro, così come gli angoli dell’altare dei sacrifici, e simboleggiava il potere di Dio.
Il sacerdote prendeva dei carboni dall’altare delle offerte e bruciava sali e profumi sull’altare dei profumi ogni mattina e ogni sera.
La combustione dell’incenso serale segnava la conclusione del servizio sacrificale quotidiano. Mentre il sacerdote bruciava l’incenso, offriva la benedizione sacerdotale.
L’altare degli incensi rappresentava il luogo delle preghiere nel tabernacolo. I fumi dell’incenso salivano a Dio come le preghiere dei fedeli.
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L’arca dell’alleanza nel tabernacolo di Mosè
L’arca dell’alleanza era un contenitore costruito con legno di acacia e coperto in oro, sia internamente che esternamente, situato all’interno del santo dei santi.
Il contenitore era coperto da un coperchio fatto degli stessi materiali, chiamato propiziatorio, alla cui sommità erano situati due cherubini.
Questi ultimi erano posizionati con il volto rivolto verso l’interno e le ali spiegate, e rappresentavano i guardiani dell’arca.
Secondo la Bibbia, l’arca dell’alleanza aveva due funzioni: da un lato, era vista come il trono del Signore, il quale stava seduto tra i due cherubini.
Una seconda funzione era quella di deposito dell’alleanza (da cui il nome). Al suo interno erano custodite le tavole con i dieci comandamenti, una ciotola con la manna, simbolo del nutrimento quotidiano fornito da Dio, e il bastone di Aronne.
Soltanto il sommo sacerdote poteva entrare nel santo dei santi, una sola volta all’anno, nel giorno dell’ Espiazione (Yom-Kippur).
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Quest’ultimo prendeva del sangue dall’altare dei sacrifici e lo portava all’interno del tabernacolo. Passando attraverso il velo spruzzava il sangue sull’arca dell’alleanza in segno di riconciliazione tra Dio e il Suo popolo.
Il sangue, ovviamente, rappresentava Gesù Cristo, il sommo sacerdote supremo, che avrebbe offerto il suo stesso sangue per permettere a tutta l’umanità di tornare alla presenza di Dio.
Pertanto l’arca dell’alleanza è diventata un simbolo centrale nella comprensione dottrinale dell’Espiazione di Gesù Cristo.
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Il velo
Il velo che separava il luogo santo dal santo dei santi era decorato con dei cherubini e serviva a nascondere la presenza di Dio da chiunque si trovasse all’interno del tabernacolo.
Era cucito con tessuti di colore blu, viola e rosso, gli stessi presenti sulle tende di ingresso e i paramenti del sommo sacerdote.
Vengono menzionati circa 14 volte in Levitico, e rappresentano rispettivamente: l’approvazione divina (blu), la regalità di Gesù Cristo e il Suo ruolo di nostro re (viola), e il sangue che avrebbe versato come riscatto per i nostri peccati (rosso).
Così come il sommo sacerdote era l’unico con il permesso di oltrepassare il velo una volta l’anno, oggi esso ci rammenta che dato che ora siamo nascosti dalla presenza di Dio, il grande Sommo Sacerdote — Gesù Cristo — è l’unico che può aprire il velo che un giorno ci darà accesso alla presenza di Dio da cui, come esseri decaduti, siamo stati scacciati.
7 simboli dell’Espiazione di Cristo nel Tabernacolo di Mosè è stato scritto da Ginevra
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